Pubblicato in Left-Avvenimenti 28 Marzo 2008
LA DITTATURA FARMACOLOGICA
PSICOTERAPIA E/O PSICOFARMACI
Di Domenico Fargnoli
Quando uno psichiatra, in base ad una sua precisa ed insindacabile valutazione, della quale comunque si assume piena responsabilità, decide di somministrare psicofarmaci ad un paziente, dovrebbe avere bene in mente che egli interviene a livello dei sintomi: nessuno che sia stato sottoposto ad una terapia farmacologia è guarito, solo per effetto delle sostanze psicotrope, da una psicosi, da una nevrosi o da una psicopatia. Questo è un dato di fatto, una certezza a cui può giungere chiunque in base ad un minimo di esperienza clinica o solo osservando la vita quotidiana della gente . Il farmaco in psichiatria, come del resto in tutta la medicina, agisce all’interno di una relazione, assumendo significati e conseguentemente efficacia diversa a secondo dei contesti. Di fronte ad un’emergenza o all’impossibilità provata di intervenire altrimenti si può decidere di tentare di modificare la reattività psichica di una persona in previsione di comportamenti che possano essere violenti per sé e per gli altri o posti di fronte ad una condizione di sofferenza mentale che sembra al momento insostenibile.
Il terapeuta è costretto allora ad assumere un atteggiamento autoritario cercando, quando ci riesce, di addormentare, come nella tradizione dell’ipnosi, o di stimolare, come nel trattamento morale di Esquirol, agendo anche sul corpo, sul cervello della persona . Lo psicofarmaco è un rimedio estremo, un contenimento chimico provvisorio che si è sostituito all’assoggettamento fisico di una volta, a cui si dovrebbe far ricorso con molta parsimonia e consapevoli dei rischi che esso comporta. Accade invece che quello che è un intervento cui dovrebbe essere riconosciuto sempre il carattere d’eccezionalità diventa routine quotidiana, quello che è il più delle volte è solo un espediente per cercare di superare una crisi particolarmente grave, diventa “la cura”. La parte prende il posto del tutto ed il terapeuta si nasconde sistematicamente dietro una molecola evitando l’impatto con i problemi veri della persona. La relazione terapeutica entra così in stallo cristallizzandosi in una forma che deresponsabilizza il medico. Quest’ultimo si mette al servizio delle case farmaceutiche che dalla vendita di neurolettici ricavano enormi profitti.A partire dagli ultimo decenni del 900 ad oggi si è accumulata una vasta letteratura che dimostra l’ effetto nocivo dei trattamenti psicofarmacologici a lungo termine capaci di indurre non solo assuefazione grave , coi relativi problemi di astinenza ma anche vere e proprie malattie neurologiche per l’alterazione della sostanza nervosa e dei relativi neurorecettori.
L’ O M S, in un suo rapporto, consiglia che l’assunzione di neurolettici non sia protratta per periodi superiori ad alcune settimane. Non hanno senso i trattamenti a tempo indeterminato; di fatto i neurolettici vengono spesso somministrati per anni col risultato di cronicizzare la patologia , a volte in maniera irreversibile. I neurolettici agiscono solo sui sintomi ma non hanno efficacia sulle cause, inoltre quasi tutti possono provocare,come “effetto collaterale”, ciò contro cui sono somministrati (ad esempio, l’incremento di sintomi come le allucinazioni).
Nonostante che tutti noi siamo costretti ad opporci quotidianamente ad una cultura, da alcuni definita una cultura della droga che induce all’abuso di sostanze psicotrope, non ha comunque senso una crociata contro gli psicofarmaci e la psichiatra biologica nella forma e nei toni proposti per es. da personaggi come lo psichiatra americano Peter Breggin. Breggin, partendo dalla denuncia del danno che gli psicofarmaci possono provocare sul cervello, del loro uso indiscriminato e folle quando vengono somministrati a bambini, finisce pericolosamente per delegittimare concetti come quello di “schizofrenia” o di “malattia mentale”. Egli ripropone così le tesi che furono a suo tempo di Basaglia.
Sarebbe stata possibile, bisogna però chiedersi, l’apertura dei manicomi senza il contenimento chimico degli psicofarmaci? Certamente no perché in assenza di una qualunque teoria della malattia mentale e della schizofrenia che purtroppo esiste, l’unico presidio in caso di crisi gravi e di scompenso rimane il rimedio empirico dello psicofarmaco che si sostituisce alla segregazione manicomiale.
Inoltre la denuncia dell’abuso non deve diventare la demonizzazione degli psicofarmaci in quanto tali divenuti veri e propri oggetti persecutori. Non si può eliminare l’alcool perché la gente si ubriaca e si ammala di cirrosi epatica nè fare a meno della cocaina, che è anche un anestetico locale, perché ci sono i cocainomani.
Una domanda che frequentemente viene posta è se gli psicofarmaci possano affiancare la psicoterapia od avere un effetto coadiuvante. Scienziati come Eric Kandel che peraltro ha passato la vita a studiare le lumache di mare piuttosto che i malati di mente, sostengono che gli effetti degli psicofarmaci nel cervello sono sovrapponibili a quelli della psicoterapia. Personalmente penso che l’approccio farmacologico e quello psicoterapico siano in linea di principio incompatibili. Il farmaco altera lo stato di coscienza attraverso i recettori cerebrali. Ciò si lega a modificazioni, difficilmente prevedibili della sensibilità e dell’affettività, della qualità del sonno fisiologico che viene sostituito da uno stato di incoscienza senza immagini. La psicoterapia si rivolge al non cosciente ed all’irrazionale che si cerca in ogni modo di far emergere e di potenziare non certo di attenuare o mettere tra parentesi. Se il medico fa la psicoterapia e lui stesso od altra persona deve, in una situazione di emergenza, somministrare farmaci vengono proposte due immagini completamente diverse e si perseguono obiettivi, che , sul momento, sono in netto contrasto fra loro. Si è in grado di risolvere poi , all’interno della relazione terapeutica, la dissociazione fra mente e corpo che si è evidenziata? In molti casi ciò avviene.
Il fattore decisivo non è il farmaco ma la formazione e l’abilità dello psichiatra, la consapevolezza dei propri mezzi e possibilità oltre che di quelli del paziente che si ha di fronte. La psicoterapia è attivazione di un processo creativo che porta al superamento di contraddizioni ritenute all’inizio insolubili: si potrebbe affermare che la cura, se va veramente a fondo, fa emergere un pensiero, che, a partire dalla nascita, va oltre il dualismo cartesiano delle sostanze che la psichiatria biologica e le neuroscienze che si ispirano alla psicoanalisi freudiana hanno cercato invano di superare.
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