Psichiatria

Il modello tossico della malattia mentale

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Pubblicato su “Il Sogno della Farfalla” n. 3 del 1998

Il modello “tossico” della malattia mentale

di domenico fargnoliVASO-TOSSICO-BI_3470

 

La trasmissione sulla droga andata in onda su Telesimpaty il 2 gennaio 1998 appartiene a quella categoria di eventi che hanno il potere di suscitare non solo curiosità e interesse, ma anche desiderio di approfondimento. Nel contesto di tale trasmissione due sono le affermazioni che ci hanno colpito e che vorremmo commentare compiendo un rapidissimo excursus storico. La prima affermazione è quella del professor Pancheri il quale sostiene che il caffè, l’hascisc e forse anche, sia pure con qualche incertezza, il pecorino sardo veicolano sostanze in grado di scatenare una psicosi; la seconda affermazione, di Massimo Fagioli, si riferisce all’esistenza di una “cultura della droga” che accomunerebbe il tossicodipendente e gli epigoni attuali della psichiatria organicistica e farmacologica. Il professor Pancheri nel proporre la sua tesi aveva presenti gli studi di J. Moreau de Tours, di Magnan  e di L. Lewin risalenti al XIX secolo ed agli inizi del Novecento? Ci poniamo questa domanda non perché dubitiamo della cultura di un illustre accademico, ma perché nel suo insieme la psichiatria organicistica appare stranamente amnesica riguardo alle ricerche dei suoi pionieri. La psicofarmacologia ha il vizio di proporre come novità modelli della malattia mentale spesso datati di secoli. Bisogna ricordare come J. Moreau de Tours elaborò nel suo libro Du hachisch et dell’aliénation mentale (1845) una ricca riflessione fenomenologica sugli effetti dell’hascisc e dei tossici. Secondo l’autore francese, all’uomo è stata concessa la facoltà di seguire due vie: la via della realtà e del sogno che sono separate fra loro dal sonno. Nella normalità, il sogno appare nel sonno mentre quando esso predomina nello stato di veglia si realizzerebbero gli “stati di passaggio” fra le due vie o “stati misti” costituiti dalla follia e dall’intossicazione. L’onirismo, il delirio sarebbe legato a cause tossiche: tutti i tossici, in particolare l’hascisc, possono determinare deliri onirici spesso gravi. È singolare che l’idea di un parallelismo fra sonno-sogno ed intossicazione appartenga alla tradizione razionalistica: essa può essere fatta risalire ad Aristotele. Nei Piccoli trattati di storia naturale il filosofo afferma che il sonno è un’affezione prodotta dall’evaporazione dovuta al cibo. Quest’ultima determinerebbe una sorta di ebbrezza simile a quella causata dai narcotici (oppio, mandragora, loglio) e dal vino. I sogni i quali si produrrebbero nel contesto di una specie di narcosi alimentare sarebbero condizionati, nel loro apparire o meno e nella loro veridicità, dall’entità dell’evaporazione medesima e dal movimento interno all’organismo che ne deriverebbe. Il movimento violento distruggerebbe la linearità del sogno e la verisimiglianza della rappresentazione. Magnan nel suo libro Alcoolisme et dégénérescence (1912) individua la categoria di “follia tossica”. Secondo questo autore, la tossicomania e l’alcolismo mettono in gioco la disposizione delirante del soggetto e non sarebbero altro che dei casi particolari di follia tossica. Intorno al 1924 L. Lewin pubblica Phantastica, una delle prime opere che indaga sistematicamente l’azione delle sostanze tossiche sull’organismo. L’autore insiste sull’idea che i disturbi psichici non sono altro che la conseguenza di processi tossici. Egli può essere considerato uno dei precursori della concezione dell’origine biochimica delle psicosi. La malattia mentale sarebbe derivata, in accordo con la sopradetta concezione, dall’effetto di energie estranee all’organismo. Le aberrazioni dei sensi degli ammalati di mente, gli stati visionari avrebbero alla base un substrato materiale. L’organismo avrebbe la capacità, in condizioni peraltro ignote, di produrre delle sostanze che darebbero luogo a realtà soggettive: non solo stati intermediari fra la salute e la malattia, ma anche malattie vere, inclusi i disturbi mentali. Lewin chiama queste sostanze phantastica hallucinatoria. Secondo l’autore, è lecito, in base a quanto i phantastica ci rivelano sulle illusioni dei sensi, allargare il cerchio e ritenere che le allucinazioni e le visioni transitorie, allorché si presentino in un individuo apparentemente sano di mente, siano dovute sempre all’azione di una sostanza chimica. 41595_128209533855987_8791_nLa causa delle allucinazioni può essere ricercata nella stimolazione di questo o quel territorio cerebrale da parte di sostanze chimiche prodotte dall’organismo o introdotte dall’esterno. Non possiamo ignorare la presenza di una sorta di sillogismo: poiché alcune droghe producono alterazioni del pensiero o della percezione, allora tutti i disturbi mentali possono essere considerati come la conseguenza di una sorta di avvelenamento. Viene così avvalorata la tesi di una corrispondenza meccanica e lineare, di un rapporto univoco fra sostanza chimica e disturbo psichico. La tossicomania fornisce il modello di una concezione della follia secondo la quale quest’ultima viene ad assumere il significato di un’autointossicazione volontaria, dovuta alla secrezione di sostanze che agiscono come un veleno per l’organismo. Le “psicosi” tossiche, sindromi cerebrali organiche dovute a fattori esogeni, forniscono il quadro di riferimento per la comprensione delle psicosi endogene.SET-ETP04 Si ipotizza che anche in queste ultime sia attiva una sostanza tossica prodotta all’interno del corpo. La psicofarmacologia attuale, che pure è progredita enormemente nella conoscenza della biochimica dei processi cerebrali, non è andata molto avanti rispetto a quest’idea di tossicità, salvo ipotizzare una specie di sindrome d’astinenza endogena. A causare la malattia non sarebbero solo sostanze nocive, ma anche il determinarsi di una carenza, dovuta a fattori genetici, di alcuni neurotrasmettitori normalmente presenti nell’organismo. Lo psicofarmaco agisce comunque esso stesso attraverso una sorta di intossicazione, che si suppone debba essere benefica, da opporre o all’intossicazione patologica o alla carenza. Ciò che trasforma le droghe cosiddette psicotrope in farmaci è l’atto della prescrizione medica: abbiamo sostanze psicotrope che “guariscono” e sostanze come veleni che determinano la tossicomania e la malattia mentale. La tossicomania non è altro che il volto nascosto e mostruoso della psicofarmacologia. L’atto della prescrizione medica trasforma magicamente la droga in farmaco, traccia la linea di separazione fra la normalità del rimedio e la mostruosità del veleno. Anche Freud, che è contemporaneo degli autori ai quali abbiamo fatto precedentemente riferimento, rimase implicato nell’ideologia della droga che condizionò i suoi tentativi di comprensione scientifica. Egli considerò, per un periodo, la cocaina come un possibile rimedio per la neuroastenia e la prescrisse con effetti devastanti. Ma al di là di questo è rilevante che egli per trent’anni, fino al 1926, rimase fedele ad una teoria tossicologica dell’angoscia secondo la quale la rimozione provoca un contenimento forzato della libido somatica che agisce come un tossico od un veleno per l’organismo. In tali condizioni la libido somatica subisce una trasformazione e si scarica attraverso la forma di un attacco di angoscia. Da quest’ipotesi dell’angoscia come ingorgo libidico legata a pratiche sessuali nocive nasce il discusso concetto di “nevrosi attuale”. La sessualità stessa viene considerata un’intossicazione: all’interno dell’organismo si accumulerebbe una sostanza sessuale chimica, una tossina che quando supera un certo valore di soglia ecciterebbe le rappresentazioni sessuali coscienti. L’atto sessuale, l’orgasmo, avrebbe la funzione specifica di scaricare l’accumulo di sostanza e la relativa tensione tossica. L’intero edificio teorico della psicoanalisi non è in realtà altro che una sovrastruttura che Freud vorrebbe far poggiare su di una concezione organica e tossicologica. L’energia psichica viene pensata come direttamente dipendente dall’azione di sostanze chimiche: la sostanza sessuale tossica può essere considerata il versante organico della pulsione. L’allucinazione diviene così inevitabilmente, per Freud, il paradigma fondamentale ed originario della vita psichica. Egli teorizza che nello stato primitivo dell’apparato psichico il primo atto dovette essere quello del “desiderio” che sfocia nell’investimento allucinatorio della soddisfazione. Nel sogno, che altro non sarebbe che una riviviscenza della superata vita psichica infantile, tutti noi saremmo allora indotti ad una condizione simile a quella del drogato il quale attraverso la funzione protesica di determinate sostanze chimiche tende ad allucinare una condizione di onnipotenza e di narcisismo assoluto.Tornando alla trasmissione di Telesimpaty da cui eravamo partiti, la demistificazione che in essa viene operata da Fagioli rispetto alla “cultura della droga” tende ad opporsi ed a rivelare l’aspetto violento e falso di proposizioni pseudoscientifiche che ratificano la scissione fra mente e corpo, la confusione fra oggetto fisico ed oggetto psichico. Se non si comprende la natura del  salto epistemologico che segna il passaggio dal biologico allo psichico, se non si acquisisce la conoscenza del processo di formazione dell’immagine interiore alla nascita, la psichiatria è destinata al fallimento terapeutico. Nel rituale della prescrizione medica  il farmaco rischia allora di non essere altro che droga, feticcio, merce destinata ad alimentare gli interessi giganteschi dell’industria farmaceutica.

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