La legge Basaglia non ha risolto il problema della segregazione manicomiale ma , togliendo credibilità alla psichiatria, ha favorito il ritorno alla concezione moralistico-punitiva della malattia mentale.
Domenico Fargnoli
L’opinione pubblica non ha la percezione esatta dell’emergenza psichiatrica in atto in Italia che ha legami con una situazione più generale.
Scrive Amanda Pustilnik ( University of Maryland)
” Oggi i nostri ospedali psichiatrici più grandi sono le prigioni.(…) Le prigioni di Stato spendono circa 5 miliardi di dollari per incarcerare detenuti affetti da patologie mentali che non sono violenti. Stando a quanto afferma il Dipartimento di Giustizia 1,3 milioni di individui con malattie mentali sono incarcerati nelle prigioni di stato e federali a fronte di soli 70.000 individui assistiti negli ospedali psichiatrici”
Si viene messi in carcere solo per essere afflitti da malattie mentali e per aver disturbato l’ordine pubblico e non perché si siano commessi reati penalmente rilevanti. Nel luglio del 2004 The House Comitte on Governement Reform ha pubblicato uno studio dal quale risulta che negli USA vengono incarcerati bambini (anche di sette anni) con gravi patologie mentali senza che essi siano responsabili di condotte criminali .
Rispetto agli ideali illumunistici che hanno ispirato la Costituzione americana la situazione sopra descritta è paradossale per il venire meno della fondamentale distinzione operata da Pinel durante la Rivoluzione francese:i malati di mente furono separati, dalla fine del 700, dai criminali e liberati dalle catene. Nasceva così una nuova branca della medicina : la psichiatria .
A distanza di di più di due secoli notiamo una inversione di tendenza,: si ritorna alla confusione fra criminalità e pazzia, al prevalere della logica della segregazione e della punizione .Il ritorno ad orientamenti preilluministici è dovuto al significato sociale che ha assunto la malattia concepita come un cedimento colpevole, una mancanza di cntrolloe e del senso di responsabilità personale. E’ la vecchia idea cristiana della pazzia come influenza demoniaca, come complicità con il male, la quale riappare in una forma secolarizzata.
Dalla mentalità religiosa deriva l’approccio punitivo, che ha prevalso negli USA, alla malattia mentale. La punizione dovrebbere rinforzare l’adesione all’ etica su cui è fondata la società e garantire , tramite la severità della pena, il rispetto delle norme. Per la concezione moralistico-punitiva le persone con malattie mentali avrebbero difetti della volontà o del carattere che li rendono incapaci di controllarsi: imporre loro criteri restrittivi aiuterebbe ad ottenere comportamenti accettabili ed aumentare il senso di responsabilità. Il giudice si sostituisce allo psichiatra poiché quest’ultimo considerando le malattie semplici “disturbi” od opinabili convenzioni diagnostiche , non è in grado di fornire criteri certi e non manipolabili di non imputabilità. Pertanto l’essere psichicamente malati anche gravemente non garantisce di solito negli USA, l’impunità rispetto ai crimini violenti.
In Europa Anders Breivik è stato dichiarato sano di mente con criteri diagnostici del DSMIV in un processo nel quale si è affermata la tendenza alla punizione piuttosto che alla cura.
Ed in Italia? Il caso di Erika ed Omar a Novi Ligure , quello di Franzoni a Cogne o dei coniugi pluriassassini di Erba hanno visto prevalere una logica punitiva estranea alla psichiatria.
Perché ci troviamo di fronte a questa tendenza?
La Prof. Amanda C. Pustilink non chiarisce il punto essenziale cioè il ruolo avuto dalle istituzioni psichiatriche nel permettere che il modello moralistico- punitivo della malattia mentale si affermasse: cento anni di freudismo hanno lasciato il segno . Proprio in USA , comunque, i media a partire daglii anni 90 hanno denunciato il fallimento della psicoanalisi mentre la psichiatria organicistica, subentrata al freudismo, si prepara ad un clamoroso “disastro “, dovuto alla mancanza di scientificità, con l’edizione del nuovo DSMV nel Maggio 2013.
I medici americani sono impegnati a distribuire psicofarmaci ad una popolazione di soggetti “normali” sempre più vasta , utilizzando diagnosi che sembrano create ad hoc per favorire gli interessi delle case farmaceutiche. I casi più gravi sono sottoposti a terapie,come l’iloperidone assunto da Adam Lanza ( l’autore della strage nella scuola di Newport), che possono amplificare la tendenza alla violenza.
Le carceri funzionano da contenitori per ogni sorta di patologie mentali che, in un regime di inaudita violenza e perversione, subiscono un aggravamento. Gli effetti sono devastanti sui singoli e sulla società. In Italia, patria di Cesare Beccaria che voleva la pena commisurata razionalmente al delitto e che era contro la tortura, si sta verificando qualcosa di analogo a quanto avviene in USA: l’adesione acritica ai modelli diagnostici americani, l’abuso degli psicofarmaci, il ricorso alla TEC (Terapia elettroconvulsivante), toglie credibilità alla psichiatria e favorisce l’affermazione del modello moralistico-punitivo della malattia mentale. Dato che i medici appaiono incapaci di prevenire e curare le patologie psichiche la gestione di queste ultime è demandata, ai giudici ed ai tribunali. La legge Orsini -Basaglia ha vuotato i manicomi di circa centomila degenti negli ultimi decenni ma , nello stesso lasso di tempo, si sono riempite in un modo inverosimile le carceri.
C’è un’emergenza psichiatrica nelle prigioni : secondo un’indagine epidemiologica dell’Agenzia Regionale di Sanità i detenuti con “disturbi psichiatrici” sono 1137 ,il 33.4% ,nella sola Toscana. Il carcere funziona come contenitore di patologie psichiche, che non entrano nel circuito dei servizi psichiatrici . Con la chiusura dei manicomi non sempre sono state create strutture alternative cosicchè molti soggetti sono rimasti senza controllo o rete di protezione e sono finiti nelle maglie della giustizia. Le prigioni sono gironi infernali. Prendono il sopravvento l’idea di rovina, il vuoto affettivo, l’umiliazione e l’ emarginazione: le varie patologie diventano manifeste e si aggravano. I quadri psicopatologici si strutturano in forme croniche, difficilmente curabili. L’identità sessuale, in un contesto di violenza e promiscuità forzata, subisce spesso una destrutturazione irreversibile. Il suicidio è un’esito drammatico la cui frequenza , anche più di venti volte la norma, è in diretta relazione al sovraffollamento ed agli abusi.
Come far fronte a tale situazione ? Il 31 Marzo in seguito alla legge Marino è prevista la chiusura degli OPG : l’ evento ha un forte significato simbolico anche se interessa 1400 persone, su un totale di 66.721 detenuti italiani. Gli OPG sono stati l’emblema della schizofrenia istituzionale : individui affetti da vizio totale o parziale di mente e quindi non imputabili sono stati sottoposti ad un regime carcerario in condizioni di degrado inimmaginabili. Per non dire delle torture fisiche e psicologiche .E’ necessario che questa chiusura sia occasione non solo per proporre strutture di intervento alternative ma per un ripensamento della psichiatria nel suo insieme . Andrea Zampi, il pluriomicida-suicida di Perugia è stato sottoposto l’anno scorso a Pisa a due cicli di 8 TEC: un intervento “terapeutico” od un a prassi senza alcuna base scientifica che ha aggravato le condizioni del paziente? Oggi gli psichiatri non hanno competenze adeguate ad affrontare la psicosi con il metodo della psicoterapia: lo psicofarmaco o la TEC sono inefficaci e alla lunga pericolosi.
La psichiatria deve allora fare un salto culturale e metodologico dotandosi di nuovi criteri scientifici e formativi. L’esperienza dell’ Analisi collettiva che fa capo alla teoria della nascita di Massimo Fagioli, costituisce un’esperienza pilota : quasi quarant’anni di cura, formazione e ricerca unica nel suo genere a cui hanno partecipato migliaia di persone e centinaia di psichiatri, impegnati ad approfondire la conoscenza della realtà psichica oltre il riduzionismo organicista ed il moralismo della ragione e della religione. Come scrive Adriana Pannitteri in “La pazzia dimenticata” (L’Asino d’oro 2013)”
<<(…) la malattia mentale non si risolve semplicemente buttando giù i muri dei manicomi, ma in maniera più solida cercando di sapere cosa c’è dentro la psiche di chi è ammalato>>
L’ha ribloggato su BABAJI.
Compimenti all’autore di questo splendido articolo e, detto da un profano della materia, per la sapiente ed accurata autocritica sulla categoria (psichiatri che troppo spesso si sono trasformati in farmacisti…). Mi permetto di segnalare che uno scatto culturale è in atto da tempo, ma l’approccio, non essendo ortodosso, viene spesso dileggiato dai baroni convenzionalmente riconosciuti! Mi viene in mente la trilogia di Steven Pinker sulla semantica concettuale, ad esempio: l’autore è un affermato neuropsichiatra che collabora col M.I.T, e da tempo è per un approccio transdisciplinare sulla materia (ovvero fondere branchie di molte scienze, non solo psicologia e psichiatria, per approcciare un “aspetto neurologico”). Proprio però il non essere “esplicitamente ed esclusivamente” in un solo campo psichiatrico riconosciuto, gli fa piovere addosso una serie di critiche abnormi, come l’ultimo libro (Fatti di parole) conferma (nonostante i fatti riportati siano difficilmente spiegabili con tecniche “convenzionali”)! Ritengo personalmente necessari due aspetti per far progredire l’Italia anche nel campo della sanità mentale: 1) Mai retrocedere dalle proprie competenze, ovvero gli psicologi e gli psichiatri ricomincino a fare il proprio mestiere, e solo in ultima istanza si rivolgano alla farmacologia 2) Essere più aperti in termini disciplinari: anche la medicina ha dovuto aprirsi ad altre discipline il cui valore scientifico sia stato dimostrato (vedi sperimentazioni omeopatiche in alcuni ospedali pubblici, come l’agopuntura, che almeno per la terapia del dolore è stata riconosciuta come valida), è tempo che siano pronte a farlo anche psicologia e psichiatria! 😉
“Mi permetto di segnalare che uno scatto culturale è in atto da tempo, ma l’approccio, non essendo ortodosso, viene spesso dileggiato dai baroni convenzionalmente riconosciuti! ”
Forse tutto ciò era vero tempo fa: la situazione è cambiata e si hanno riconoscimenti anche da ambienti tradizionalmente ostili alla teoria della nascita. Molto dipende dalle persone che propongono la ricerca. Una strategia vincente è evitare l’enfasi ideologica e l’eccessiva sottolineatura di aspetti innovativi di per sè evidenti
Concordo ancora una volta, e questo le conferma il fatto che io sia un profano che può constatare l’evolversi solo dall’esterno, magari in ritardo. Per l’enfasi ha molta ragione, ma forse più che di enfasi, per chi osserva come me i progressi della psicologia, si dovrebbe parlare di “fame”: soprattutto il nostro paese ha bisogno di un serio apporto psicologico e psichiatrico ormai latente da anni (se non da decenni), per cui ogni piccolo accenno di ripresa dà luogo a vampate di speranza, che ovviamente chi è “del mestiere” deve saper intercettare e mitigare con cura.