In occasione del 1° maggio è stato affermato che <<Luigi Preiti ha semplicemente fatto quel che tutti dicono in ogni buon bar d’Italia, lui ha solo accorciato la distanza tra il dire e il fare. Non è un gesto sorprendente. Quel che è davvero sorprendente è che sia un gesto isolato>>
Laura Boldrini, neopresidente della camera dei deputati dal canto suo ha dichiarato:
“L’emergenza lavoro fa sì che la vittima diventi carnefice, come purtroppo è successo nei giorni scorsi davanti a Palazzo Chigi”. ”
Il muratore calabrese è divenuto, per taluni, un’eroe , interprete del sentimento popolare di rivolta contro la classe politica inetta: il suo tentativo di assassinio è stato giustificato e paragonato all’azione di coloro che dettero l’assalto alla Bastiglia durante la Rivoluzione Francese.
Inoltre in uno striscione del corteo degli autonomi a Torino sempre il 1° maggio, è stata messa insieme la foto di Preiti con quella della coppia di Macerata suicida per i debiti seguita dalla scritta << La crisi uccide!!>>
Che la crisi, come conseguenza di una gestione criminale della politica, uccida è un dato di fatto: uccide la malasanità, uccide ( ed i numeri sono spaventosi ) l’inquinamento ambientale non solo a Taranto ma per la diossina delle discariche , uccide la mancata tutela del territorio, l’edilizia selvaggia in zone a rischio alluvionale e sismico, uccide l’uso di additivi alimentari e di tecniche di conservazione con materiali plastici inappropriati, uccide il fumo, la droga, l’uso di farmaci non approvati secondo adeguati controlli, uccide la mafia infiltrata negli apparati istituzionali e finanziari non solo al Sud ma anche nel Nord. L’elenco potrebbe continuare: tutte queste morti, nelle quali c’è un rapporto di causa ed effetto manifesto in quanto è chiaro ciò che le provoca, non rischiano però di scatenare una sollevazione popolare, un’indignazione che diventi un’azione di massa: come emblema del sentimento popolare viene scelto invece il gesto di una persona con gravi problemi mentali che assurge al ruolo di eroe. Certo può sussistere una relazione fra violenza omicida-suicida e condizioni economico-sociali ma il rapporto fra causa ed effetto non è scontato . Il figlio di Gianni Agnelli, che soffriva di gravi problemi psichici, si suicidò a suo tempo. Per debiti, per mancanza di risorse materiali ? La depressione che affligge molto frequentemente manager industriali e finanziari che in virtù del loro lavoro ipertrofizzano la razionalità e la coscienza è legata ad uno stato di indigenza? Anche in quest’ultimo caso si giunge talora, come suggerisce la cronaca degli ultimi decenni, al suicidio. Gli studi epidemiologici dicono che il problema delle condotte suicidarie non è riconducibile prevalentemente all’emergenza economica : la più alta percentuale di suicidi si ha nei ricchi paesi scandinavi ed a Bolzano e non nel sud povero del mondo e dell’Italia. Secondo l’ultima indagine dell’ ISTAT nel 2012 si sono registrati in Italia 3048 suicidi (6,6 per 100000 abitanti) di cui 1412 per malattia , 324 per cause affettive e 187 per motivi economici: cifre inferiori rispetto all’anno precedente quando i suicidi per motivi economici erano stati 198. Una situazione simile a quella italiana si trova in Grecia : Italia e Grecia ( 3,5 per cento) sono i paesi in cui ci si suicida di meno . Attenti quindi, secondo quanto ha affermato il sociologo Marzio Barbagli su Repubblica nel 2012 , all’effetto Werther , dal nome del protagonista suicida del libro di Goethe, cioè all’effetto emulazione che dipende dal modo con cui vengono diffuse ed amplificate dai media le notizie . Inoltre dal rapporto sulla criminalità in Italia diramato dal ministero dell’Interno il tasso degli omicidi volontari risulta diminuita a partire dal 1991, di una quota superiore al 30 % attestandosi sull’1,02 per 100000 abitanti nel 2009. Negli ultimi anni, dai dati resi noti dalle forze dell’ordine, non sembra ci siano state significative modificazioni di questa tendenza. Si segnala solo un aumento esponenziale dei delitti contro le donne, legati ovviamente più a motivi ideologici che economici.
Le conclusioni affrettate che sovente caratterizzano le discussioni dei bar, possono essere molto fuorvianti. Luigi Preiti viene scelto come un simbolo della rivolta alla situazione attuale : ciò è dovuto al fatto che oggigiorno, la crisi economica e politica ha una matrice ideologica con precise ripercussioni psicologiche sui singoli. La povertà in cui versano milioni di italiani non è dovuta solo alla mancanza oggettiva di risorse materiali ed umane, ma ad una strategia politica, in particolare quella dell’ultimo ventennio di berlusconismo, che annullando e mortificando la cultura, la ricerca, l’innovazione scientifica, l’iniziativa imprenditoriale, togliendo ogni speranza di futuro ai giovani, mira a trasformare l’elettorato in una massa amorfa e manipolabile la cui capacità di rivolta si riduce ad una violenza cieca ed isolata che lascia il tempo che trova oltre ad essere facilmente repressa. L’attentatore calabrese di cui si sono occupate le cronache di questi giorni, è una vittima non perchè meridionale ed indigente ma anche perchè ha depauperato le sue risorse economiche ed ha perso la sua famiglia per motivi psichiatrici : la compulsione al gioco e lo sviluppo di tematiche deliranti rese esplosive dalle difficoltà esterne. Le sue sono responsabilità soprattutto individuali e solo parzialmente attribuibili alla realtà sociale ed economica .Ma a cosa potrebbe essere legato il passaggio dell’attentatore al ruolo di carnefice come suggerito da Laura Boldrini? Può darsi che l’”emergenza lavoro” abbia giocato un quache ruolo in questo passaggio però è necessario sviluppare un’analisi aderente al caso concreto.Noi sappiamo dalla psichiatria che nelle fasi prodromiche l’insorgenza di un delirio, come quello che ha armato la mano di Preiti, il soggetto fa l’esperienza di una frattura radicale che si instaura fra lui e gli altri, un vero e proprio abisso scavato da un insostenibile senso di inadeguatezza e di colpa ,che si alterna a momenti di lucidità fredda, simile a quello di chi commetta un assassinio. Questo abisso non è una semplice barriera, ha una caratteristica molto più incondizionata: si tratta di una cesura che nessuna strada può attraversare.
Chi cade in questo stato d’animo si rimprovera, senza possibilità di assoluzione, e reagisce, più o meno consapevolmente alla cecità di non aver “visto” e capito, ma soprattutto di essersi alienato, per effetto della pulsione di annullamento, dal mondo umano. Fuori dagli affetti e dalle relazioni fondamentali la vita propria e degli altri non ha più alcun senso. L’imperativo predominante diventa l’affermazione di un “Io” che minacciato di disgregazione si pone delirantemente al centro del mondo: per un attimo di notorietà, che riscatti, anche solo per poco , il vissuto di una catastrofe personale, si è disposti ad annientare vite umane. Per fare propaganda ad un libro da lui scritto Anders Breivik ha ucciso 77 persone rammaricandosi di non aver fatto meglio: egli paragonava la strage di giovani ignari ed innocenti a fuochi artificiali che avrebbero dovuto celebrare ed illuminare la sua grandezza. Il terrorismo del norvegese altro non era che una giustificazione del delirio di onnipotenza di chi pensa di poter disporre a proprio piacimento della vita altrui e del bisogno di un riconoscimento narcisistico sia pure come eroe negativo: analogamente la ribellione armata alla crisi della politica di Preiti è solo una copertura di un nucleo psicotico, che non riconosciuto e curato, è andato incontro ad una inesorabile evoluzione. Come Breivik però Preiti non si è ucciso, pur avendone la possibilità, perché il suo vero obiettivo era la notorietà della vetrina e della esposizione mediatica che gli avrebbe evitato l’onta di una morte anonima in una stanza squallida di albergo.
A suo tempo l’europarlamentare Borghezio ha tessuto l’elogio farneticante della pazzia di Anders Breivik, così come gli autonomi hanno trasformato il calabrese in un eroe della lotta armata, una specie di surrealista post litteram, che come preconizzato da Andrè Breton , pistola in pugno avrebbe sparato a caso sulla folla ( in questo caso anche sui carabinieri) nel nome della rivoluzione. I giornali e le televisioni hanno tutto l’interesse a creare un personaggio che attiri la curiosità morbosa, indagando nella sua vita , senza alcun rispetto per esempio della privacy del figlio undicenne e del dolore dei familiari. Si crea così un’intreccio perverso fra l’azione delittuosa ed il linguaggio , scritto, parlato e per immagini dei media che amplificano in modo devastante il significato di un episodio tragico che non ha nulla di eroico. L’equivoco in cui potrebbe cadere l’opinione pubblica potrebbe essere quello di considerare come paradigmatica di una reazione al degrado della politica un’azione criminale che scaturisce da un vissuto di malattia, da una grave crisi di identità di un uomo che tutto appare fuorchè sano di mente.