Forum di Senza Ragione

I risultati della psicoterapia. Il rifiuto del nihilismo terapeutico

Alogon            

Inviato il: 30 May 2007, 11:20 AM

Quello di come valutare i risultati di una psicoterapia è da sempre un tema quanto mai controverso.

Vorrei sapere dai lettori di questo forum cosa ne pensano in proposito. Mi astengo dal proporre inizialmente il mio punto di vista per non influenzare l’andamento della discussione….potrebbe essere importante in questo momento esprimere, senza indulgere nella descrizione di fatti, il succo della propria esperienza. C’è chi inneggia al nichilismo od al trionfalismo terapeutico con argomentazioni che vogliono persuadere. Esiste fra questi due estremi, che rischiano di essere entrambi falsi, un ambito intermedio che rappresenti il lavoro di chi, faticosamente, cerca la strada della trasformazione? Ringrazio preliminarmente tutti coloro che vorranno intervenire.

copyright domenico fargnoli

mary            

Inviato il: 31 May 2007, 09:06 AM

Il nocciolo della mia cura è stato all’inizio cedere e riconoscere la mia malattia, lasciare perdere le mie fissazione per permettere a te di fare una vera e propria operzione chirurgica e togliere il nucleo psicotico. Solo attraverso il rapporto umano con te e poi anche con il gruppo sono poi riuscita ad affrontare una vita tutta in salita con problematiche grosse rimanendo attaccata alla realtà, senza più tante paure e intravvedendo sempre una possibilità. E’ stato un lavoro che si è svolto senza grandi sforzi senza voler strafare con tanti momenti di attesa più o meno lunghi, ma senza cadere nella passività totale. Ho cercato di muovermi in base anche solo di piccole sfumature. Mi sembra di aver fatto mezzo giro di trasfomazione. ora per fare un giro completo sento parlare di …. senza memoria, regressione lasciarsi andare, immagine interna e cosi via.

Tutto ciò per arrivare a rapporti umani sempre piu reali affettivi e concreti, realizzarsi e anche per godersi la vita.

Spero di riusirci comunque continuo volentieri con un po di paura ma senza tanta fatica.

Alogon            

Inviato il: 31 May 2007, 11:52 AM

Ringrazio l’ospite che è intervenuta precedentemente per aver voluto dare un suo contributo che apprezzo e rispetto. Il suo intervento mi dà comunque lo spunto per pormi alcune domande.

Il risultato di una psicoterapia è valutabile in base alla convinzione soggettiva di stare meglio di prima?

Ma, facendo l’avvocato del diavolo, tale convinzione non potrebbe essere mera suggestione od un voler rispondere, più o meno consapevolmente alle aspettative del terapeuta o del gruppo?

Detto in altri termini non cerco solo conferme della mia capacità terapeutica in un forum, ma vorrei indagare come si possa accertare il miglioramento e la guarigione anche non seguendo criteri razionali (test ecc.)

A volte c’è la sensazione soggettiva di stare peggio mentre invece c’è un progresso della cura.

Penso che la questione sia molto complicata….ma per questo interessante.

copyright domenico fargnoli

Plumcake            

Inviato il: 31 May 2007, 11:52 AM

Per me la psicoterapia ha significato capire che c’è una possibilità di rapporto interumano oltre la razionalità, l’utilità. Così mi son sentita libera di vivere i rapporti, nella loro estemporaneità. Inoltre ho capito a cosa non potrei mai rinunciare: i rapporti con le persone più care, il confronto con gli altri. Tutto ciò però è stato possibile solo perchè la prassi costante dello psichiatra, nel gruppo ed all’esterno dimostrava che la realtà degli esseri umani non è quella della malattia e che è possibile realizzarsi in un mondo spesso violento, con la dialettica, senza prevarcazione od oppressione. Per me la soddisfazione di riuscire all’esterno senza aver pensato di essere riuscita contro qualcuno è una conquista.

Alogon            

Inviato il: 31 May 2007, 12:11 PM

molto carino…ecco Plumcake è credibile perchè è capace di formulare ed esprimere un’dea ed un pensiero personale. Forse il miglioramento e la guarigione sta in un diverso funzionamento del pensiero?

copyright domenico fargnoli

Guest            

Inviato il: 31 May 2007, 03:29 PM

Vorrei aggiungere un altro tema che credo collegato a questa discussione, vale a dire quello dei tempi della psicoterapia. Saluti.

Elleffe            

Inviato il: 31 May 2007, 06:53 PM

che dire…

forse anche rispondere a questo invito è una piccola testimonianza di guarigione? non so, so solo quanto sia difficoltoso, e mi piacerebbe poterne parlare davvero “senza ragione”!!! ma questo sembra non essere il mio forte!!!

tuttavia, ci provo.

sento che una grande differenza rispetto al periodo più difficile della malattia, è che il percorso terapeutico ha dotato di significato situazioni e stati d’animo che prima ne erano privi. mi ha tirato fuori da una nebbia che mi circondava e rendeva tutto uguale a tutto, ovattando le sensazioni.

quindi forse mi ha anche donato la capacità di provare un dolore reale, talvolta intenso, ma non più quel fastidio slegato da tutto e privo di senso del passato.

è una tensione verso il futuro, invece che un continuo guardare al passato con nostalgia o rimpianto.

è guadagnare la forza per resistere agli attacchi senza usare analoga violenza, come peraltro, anche in altri “forum”, qualcuno ci dimostra continuamente.

mary            

Inviato il: 1 Jun 2007, 10:14 AM

e vero, in qualche modo con il mio intervento avrei voluto che tutto fosse già quasi sistemato a priori per il meglio, in pratica ho preso una scorciatoia. Ci sono sicuramente dei punti di verita’ , ma l’insieme prende una piega di falsita’ perche non mi riesce rimanere nell’interno, nella conflittualita’ del rapporto. E’ stato un po

come voler prendere una pillola cosi poi passa tutto, invece e’ proprio solo tramite un vero confronto che si puo arrivare ad un risultato, possibilmente un confronto affettivo e non troppo razionale. Ci riprovero’ un altra volta.

Guest            

Inviato il: 1 Jun 2007, 03:39 PM

Non è facile avere qualcosa da dire, ma con simili inviti certamente non sarebbe neanche giusto tirqrsi indietro . L’importante è riuscire a stare sempre in rapporto, è già tanto per il fatto che già questo sconvolge dalla testa ai piedi e bisogna essere proprio coraggiosi e non soffrire di cuore per esporsi continuamente a questi sconvolgimenti.

Aggiungo – per quanto possa sembrare incredibile – che anche nella nostra civilità tecnologica e nei posti più moderni, non sempre è semplice stabilire connessioni. Non sarà quello un altro paradosso della modernità?

 

Alogon

Inviato il: 1 Jun 2007, 08:12 PM

Il tempo della cura è in funzione della malattia. Fermo restando che in ogni cura è necessario fare una ricerca perchè non esiste una “cura” a priori, come un protocollo applicabile indistintamente a tutti. Malattia acuta? Cronicizzata?

E poi la diagnosi: per le caratterialità schizoidi o paranoidi ,per es. i tempi sono lunghissimi ecc.

Mi sembra che negli interventi ci sia un’idea che il progresso della cura sia anche un progresso nella comprensione e nella consapevolezza di sè.

Ma quand’è che si raggiunge una vera conoscenza?

Forse dobbiamo fare riferimento di nuovo alla trasformazione del modo di pensare.

copyright domenico fargnoli

bice            

Inviato il: 1 Jun 2007, 11:36 PM

C’è da interrogarsi su come la psicoterapia sia capace di sviluppare il pensiero e quindi determinare l’abbandono ed il superamento del vissuto masturbatorio, della coazione a ripetere che può contrassegnare le nostre esistenze.

La trasformazione è il fine ultimo della psicoterapia. Mi sembra di capire che forse la guarigione può coincidere con la trasformazione del pensiero. Ma cercare di comprendere realmente cosa questo significhi non è assolutamente facile…

La mia guarigione me la prefiguro (immagino?), se è lecito farlo, non come il risultato della somma di innumerevoli cambiamenti ma come il passaggio forse inaspettato, improvviso verso un modo di esistere ed essere in rapporto con gli altri completamente diverso.

La lotta e la tensione che questo percorso richiede sono notevoli. La consapevolezza della distanza che mi separa da ciò che ero non riesce ad essere consolatoria né a smorzare l’intensità dell’insoddisfazione (…non so quale altra parola usare) per una non ancora raggiunta trasformazione.

L’averla vista realizzarsi in altri è però ciò che può alimentare la speranza che separarsi completamente dal passato può non essere mera utopia.

E’ forse attraverso la separazione totale dal passato che si può determinare una vera conoscenza e consapevolezza di sé?

clu            

Inviato il: 2 Jun 2007, 08:53 AM

Il mio percorso è così lungo che inserisco qualche pensiero ma avrei bisogno di ..tante puntate e sopratttutto di una risposta che via via mi orienti. Devo premettere una cosa che non riguarda la mia esperienza con il moderatore. Spero non sia fuori luogo parlarne qui.La prima motivazione verso il mondo psichico fu …di conoscenza. Poi anni ed anni di adesione gioiosa a quello che succedeva, ma da spettatrice. Quando ho fatto un movimento autonomo,sono precipitata nella malattia.

Solo in tempi …recenti rispetto ai miei tempi sono approdata ad un gruppo ,e lì ho potuto riconoscere di essere malata io. Dico potuto perchè devi fidarti del terapeuta e sentirti in qualche modo protetta per realizzare internamente la malattia.

Poi ti accorgi quanto sia più comodo restare malati:la sanità richiede un coraggio spaventoso che io non ho ancora.

La cosa più difficile per me è la dialettica,senza precipitare nel vittimismo ma anche senza dire cose poco personali per non correre il rischio di essere denigrata.Per ora non riesco ad andare avanti

Alogon            

Inviato il: 2 Jun 2007, 09:55 AM

 “La sanità richiede un coraggio spaventoso”

Anche in questo caso c’ è la formulazione-espressione di un’idea personale che ci consente di aprire un discorso importante.

Perchè la cosiddetta “sanità” fa paura?

Non è paradossale?

copyright domenico fargnoli

wall            

Inviato il: 2 Jun 2007, 03:36 PM

 “la sanità richiede un coraggio spaventoso”

Mi ha molto colpito questa affermazione e forse vorrei partire da qui per dare il mio contributo. Anche per me, come è già stato detto, la cura rappresenta la possibilità di accesso ad una forma di pensiero nuova, prima inimmaginabile. Attività di pensiero libera dai condizionamenti sociali, dai pregiudizi, dagli schemi precostituiti che in realtà nascondono l’assenza di pensiero. Pensiero legato invece all’immediatezza del sentire del corpo e della pelle. Ma la malattia che altera il pensiero distrugge anche quanto, insieme al pensiero, è specificamente dell’essere umano: gli affetti. Il percorso di cura è allora per me anche un recupero lento e difficilissimo di quegli affetti precocemente e traumaticamente perduti. Ma in questo percorso, affatto lineare, riemerge il dolore profondo e incomprensibile che mi ha fatto impazzire e, nel procedere della cura, sento tutta l’incertezza che il crollo della prigione della malattia determina. Ecco, credo sia questo che rende così “spaventoso” il percorso verso la sanità. Superare questa fase, terribile, di destrutturazione profonda, richiede coraggio, che è soprattutto quello di non perdere mai la speranza, perchè per me il superamento della malattia è innanzitutto definizione di sé, certezza di una propria identità “senza ragione”.

Guest            

Inviato il: 2 Jun 2007, 04:38 PM

Non è affatto paradossale.

Il paradosso vero, casomai, è: quando le persone hanno raggiunto un certo livello di sanità e risolto gran parte delle conflittualità, a prezzo di notevoli sforzi, cosa fanno?

Autocelebrazione?

Cosa rimane da fare, a parte provocare nuove confittualita per poi avere qualcosa di nuovo da risolvere?

Alogon            

Inviato il: 2 Jun 2007, 05:02 PM

Quindi il coraggio sarebbe legato al difficile passaggio della destrutturazione.

Mi sembra un discorso più che plausibile, coerente il quale rivela una conoscenza tutt’altro che superficiale della cura.

Quanto all’autocelebrazione come esito finale essa sarebbe il paradosso di giocarsi la “sanità” su di un contenuto malato. Quindi chi arriva a questo risultato ha fatto finta per anni anzi forse per decenni di curarsi. Inoltre svuota di ogni significato gli affetti di chi si impegna nell’attività terapeutica Quest’ultimo per lui sarebbe solo un imbecille da quattro soldi , un delinquente che infetta la gente per poi somministrare antibiotici.

Come immagine di rapporto terapeutico non c’è male.

copyright domenico fargnoli

Naan            

Inviato il: 2 Jun 2007, 05:32 PM

Forse una possibile spiegazione al paradosso potrebbe essere che, una volta recuperato quanto perso, la rinata capacità di vedere oltre l’apparenza assieme ad una sensibilità ritrovata si è portati inevitavilmente a mettere a fuoco ciò che prima scivolava addosso, sia riguardo al bello che al meno bello, e così si può scoprire che quanto ci circondava non era poi prorio così entusiasmante. E di coraggio ce ne vuole, in quanto il rischio che si corre è di rimanere più o meno soli, che comunque non sarà mai, o mai più, solitudine.

Questo recupero di umanità è un qualcosa che non credo possa essere selettivo, cioè la mia ipotesi è che investe tutto senza eccezioni incluso la psicoterapia. Così, almeno per quanto riguarda la mia storia personale, tutto ciò mi porta a dire che la psicoterapia, una certa psicoterapia, mi ha dato molto, ma, una volta uscita dalla difficoltà estrema, mi sono trovata costretta a dover rifiutare da essa per lo meno altrettanto e questo grazie agli stumenti ottenuti dalla stessa cura o, paradossalmente appunto, non avrei mai potuto assimilare quanto di positivo c’è in tale psicoterapia: sarei rimasta a mezza strada.

Quanto detto può apparire un cane che si morde la coda, è forse è così, in quanto fin a che non si raggiungono determinati traguardi non si aprono gli occhi e fin quanto non si aprono gli occhi non si raggiungono determinati traguardi, però di fatto a me pare proprio così.

Rimane che, alla fine, il regalo più grande che mi possa essere stato fatto è stato quello di poter riavere un pensiero, e quindi per esteso la mente, indipendente.

nyx [omonimia di utente reg.]            

Inviato il: 2 Jun 2007, 05:35 PM

il punto è proprio questo il rendersi conto che più che si va avanti più il percorso è sconosciuto. All’inizio era la malattia che mi costringeva alla psicoterapia, stavo male e avere davanti qualcuno che mi poteva curare era in qualche modo rassicurante. adesso non è più così mi sento molto più responsabile del rapporto.

le crisi ora fanno paura perchè non so mai cosa porteranno con sè perchè stavolta devo farci qualcosa anche io non può più bastare l’atto unilaterale del terapeuta.

Alogon            

Inviato il: 2 Jun 2007, 06:01 PM

Naan dice che cambia il pensiero quindi anche il rapporto con la realtà e pertanto anche con la realtà della cura. Crolla l’idealizzazione però ciò comporta una visione più concreta dei propri obiettivi.

Si apre poi il grande problema della responsabilità rispetto a se stessi, alla propria sanità e malattia, che salvo stituazioni estreme non può essere demandata del tutto al terapeuta.

copyright domenico fargnoli

Guest            

Inviato il: 2 Jun 2007, 10:07 PM

la “destrutturazione” mi spaventa molto, anche se capisco che forse è un passaggio obbligato. e se sotto avessi un vuoto? e se la prossima fosse una crisi più profonda del solito?

forse il cambiamento del pensiero sta anche nell’acquisire la consapevolezza-certezza che le crisi, da un certo punto in poi, siano sempre evolutive, porte che aprono nuove possibilità di cura.

bisogna avere anche il coraggio di fare la crisi allora, di abbandovarvisi, mi verrebbe da dire.

Alogon            

Inviato il: 2 Jun 2007, 10:59 PM

proposizioni un pò schematiche forse troppo astratte.

che cosa potrebbe significare poi “abbandonarsi alla crisi”?

abbandonarsi alla malattia?

Probabilmente nel senso di non temerla di affrontarla fino in fondo.

copyright domenico fargnoli

Guest            

Inviato il: 3 Jun 2007, 12:27 AM

Iniziare un percorso di psicoterapia è forse una tra le più importanti scelte fatte da un essere umano. Affidare noi stessi, il nostro vissuto, i nostri rapporti, la nostra vita inconscia, oserei dire il nostro futuro, ad uno psicoterapeuta che in momenti spesso molto difficili e di grande fragilità può aiutarci ad intraprendere la ricerca, “ la strada della trasformazione”, è un atto di grande responsabilità. Sono d’accordo con nyx . Per entrambi, medico e paziente. E’ un rapporto unico, che non trova paragoni nel quotidiano. Il setting è uno e solo quello, il rapporto che si crea in quell’ambito specifico non è né imitabile, né esportabile altrove ed è sconvolgente come tutto ciò che accade ha un senso sempre, oltre le parole, oltre l’ovvio, oltre il manifesto. Lì e solo lì, la cura. E’ davvero complesso valutare i risultati di un esperienza simile soprattutto quando si tratta di noi stessi. E’ interessante però la riflessione che Alogon propone, mi ha costretto a fermarmi e pensare a chi ero e cosa sono, al gruppo, alla teoria. Con certezza so che mi sono avvicinata alla psicoterapia inizialmente per necessità : capire un dolore che pareva incolmabile, che rendeva la mia vita e miei rapporti davvero faticosi. Assurdo ma la strada che perseguivo in quel momento era apparentemente diritta e priva di ostacoli. Ora avviene il processo contrario, la strada è spesso faticosa ma per rapporti decisamente migliori. La necessità si è trasformata in desiderio, questo è un primo cambiamento forse, il bisogno di non stare male, di lenire il dolore è stato sostituito dal desiderio di trasformazione. E la trasformazione è un processo che non ha un termine, una scadenza. Non penso più come prima, non vivo più come prima, non amo più come prima… non è più tutto perfetto come prima. La ricerca porta a vedere e a sentire in modo diverso, a stare dentro i rapporti che viviamo con pulizia e affettività. E quando accade è così potente che ti rendi conto di non poter tornare indietro. Forse per questo fa paura? Mi chiedo è questo il paradosso della sanità? La consapevolezza che come la malattia anche la cura lascia tracce indelebili?

Alogon            

Inviato il: 3 Jun 2007, 10:50 AM

Il desiderio di trasformazione potrebbe essere un’esigenza di creatività anche se con quest’ultima parola creatività rischiamo di rendere tutto più complicato. Guarire potrebbe essere un atto o forse una reazione creativa. Forse ciò che ci spaventa è la solitudine, perchè ciascuno di noi partorisce da solo le idee più vere. Come se gli altri potessero seguirci fino ad un certo punto. Spaventa la consapevolezza del nostro essere irripetibile che ci spinge verso ciò che non avevamo non solo pensato ma neppure mai osato pensare, lontano da certezze a cui molti si aggrappano.

Nella nostra esistenza c’è una soglia oltre la quale compare ciò che è nuovo.

Oltrepassando il limite imposto dal senso comune la nascita va ricreata ogni giorno in modo diverso e quando siamo capaci di immaginare un domani libero dal peso dei ricordi non avremo più abitudini, dipendenza. Non avremo più quel dolore che ci deriva dall’aver permesso noi stessi a qualcuno di ferirci.

copyright domenico fargnoli

Guest            

Inviato il: 3 Jun 2007, 11:06 AM

Credo di riuscire a seguire questa discussione o, comunque, di riuscire ad associare un’idea ad alcuni dei riferimenti che vi vengono fatti.

Importante è fare i dovuti riconoscimenti, per una cura della dissociazione che esiste per prima volta e molto spesso va contro il senso comune o meno comune. Anche questa è un’attitudine ambivalente perché permettersi di fare un riconoscimento implica di mettersi a un livello di comprensione che non ci compete.

Importante è anche, a monte di come si riesce a “gestirli”, non negare la possibilità stessa di un rapporto, cosa che nell’ambito medico-paziente generalmente non avviene, per convenzione deontologica, e talvolta puo rivelarsi tutt’altro che un punto di dettaglio.

Alogon            

Inviato il: 3 Jun 2007, 11:35 AM

Ciascuno di noi ha un livello di comprensione la quale per il fatto stesso che ce l’ha gli compete.

In questo ambito, discussione di un forum, non formuliamo quei giudizi, che in quanto espressione di competenze tecnico professionali, spettano solo ad alcuni ed in ambiti specifici.

Credo poi che il rispetto del codice deontologico sia necessario ma non sufficiente a “gestire” o meglio a stabilire un rapporto.

copyright domenico fargnoli

aissa            

Inviato il: 5 Jun 2007, 11:16 AM

Cercare di rispondere in modo adeguato alle domande ed agli stimoli di questa discussione mi mette, lo ammetto, un po’ in difficoltà. Certamente riconosco nel problema della destrutturazione un punto focale, almeno per quanto mi riguarda. tutte le volte che c’è una crisi, per quanto sia necessaria al progredire della cura, porta sempre con sè il terrore di scoprirmi “malata come prima”. Ed alla parola malata io forse lego un senso di ineluttabilità (un delirio di incurabilità’) e al termine prima una connotazione desolante: il peggior periodo della mia vita. Sono anche daccordo sulkl’aspetto della responsabilità, in quanto credo che una cura di questo tipo sia inconciliabile con un disastro affettivo o una serie di rapporti basati sulla violenza, sulla menzogna o l’indifferenza, sul sadomasochismo. Il rispetto verso gli altri, cominciando dal rispetto di sè, non è secondo il mio punto di vista una questione morale o senso civico. E’ umanità. Entrando più nello specifico del mio personale percorso, posso senz’altro dire che la grande differenza che adesso riscontro è nella speranza. Prima ero convinta di una mia sensibilità, fasla e senza adesione alla realtà , e dall’alto di questa conveinzione ero certa di dover sopportare tutta la sofferenza del mondo e degli esseri umani, un destino insomma di infelicità e scarificio. credevo di non avere più un corpo, ma per paradosso ero solo corpo, solo un involucro che conteneva il niente. adesso è il pieno sul vuoto, una sensazione di pienezza, di non preclusione, di speranza di vita. Riconoscere nell’uomo le infinite possibilità di rapporto è stata la scoperta più importante e la mia personalissima sfida è prorpio questa: non scordare mai, ancjhe nel momento di massima disperazione, che l’essere umano ha infinite possibilità. Non nascondo quanto sia difficile entrare nello studio e trovare il terapeuta seduto al suo pposto, sembra un uomo come gli altri eppure mi sonochiesta mille volte: ma tu chi diavolo sei? Capire quel suo pensiero diverso e tentare di farlo mio, magari in modo originale, è difficilissimo così come, per me, la sua continua trasformazione, l’interpretazione e la capacità di elaborare il vissuto mi lasciano sempre smarrita, stupita. mi trovo costantemente a dover rimodulare le richieste, il rapporto e devo sempre sforzarmi per capire le risposte, anche quando mi sfuggono completamente, anche quando non c’è nemmeno un vago abbozzo di definizione, di immagine corrispondente. Questo certo richiede coraggio, ma adesso posso pensare di avero. Questa forese la grande differenza.

عائشةAisha

 

Alogon

Inviato il: 5 Jun 2007, 11:55 AM

L’intervento di Aissa, in un certo senso, parla da solo: da esso traspare una ricerca personale, la capacità di definire il prima ed il poi, un uso adeguato del linguaggio non esente da una ricercatezza formale…

a questo punto mi domando: dove sono i soggetti plagiati, turlupinati dai “seguagi” di una teoria? Non mi sembra che in questo forum si siano espressi i reduci da campi di concentramento, da regimi dittatoriali dominati da famiglie mostruose, gli aderenti facinorosi di una setta che aderiscono a “verità” imposte dall’alto, Entriamo invece in contatto con un’umanità viva che compie un lavoro di approfondimento importante che non ha solo risvolti individuali ma anche in senso lato, culturalie e politico. Ciascuno esprime la sua personalità, lo specifico del proprio vissuto….

Per quello che mi riguarda scrivevo nel 2006 sul forum dei diritti umani

“Io però nella mia attività di psichiatra non cerco di persuadere nessuno, mi confronto sistematicamente con posizioni diverse dalle mie, non voglio e non ritengo di poter insegnare alcunchè ad alcuno.

Sono allergico ad ogni forma di pedagogia e diffidente verso la propaganda. Dietro alla propaganda ho scoperto che spesso ci sono i morti e neppure pochi.

Come medico mi oppongo all’idea che si possano sacrificare delle persone nel nome della ricerca scientifica o del progresso dell’umanità.

Il metodo della psichiatria non è quello della politica: la psichiatria persegue l’obiettivo della cura, non va dietro al consenso. Anzi.

Detto questo bisogno pensare a come possa essere la dialettica, avrebbe detto Mao, fra psichiatria e politica, a come si possa passare da un metodo all’altro senza snaturare nè l’uno nè l’altro. “

A tutt’oggi sono dello stesso avviso

copyright domenico fargnoli

Elleffe            

Inviato il: 6 Jun 2007, 11:34 AM

QUOTE (Alogon @ 2 Jun 2007, 10:59 PM)

proposizioni  un pò schematiche forse troppo astratte.

..

comunque sì, quello che volevo dire era di non temere “razionalmente” la crisi.

Alogon            

Inviato il: 6 Jun 2007, 04:56 PM

ripensandoci….non so quanto il timore sia razionale…..

copyright domenico fargnoli

Pegaso            

Inviato il: 6 Jun 2007, 05:48 PM

Scrivere della propria cura credo significhi possedere una traccia di guarigione. Per questo è difficile da esprimere e riassumere. Però vorrei provare ugualmente. Per me curarsi ha significato smetterla di rincorrere sempre e soltanto i propri pensieri, spesso di abbandono, iniziando invece una ricerca di rapporto con gli altri e soprattutto di un rapporto uomo donna. Il problema più grosso è stato quello di lasciarsi andare alle interpetazioni, lasciando che esse si trasformassero in fatti e immagini, cercando il più possibile una coerenza del proprio vissuto, il meno razionale possibile, con quest’ultime. Rendersi meno sordi agli stimoli e reagire alle sollecitazioni e al linguaggio degli altri, vincendo il proprio esasperato solipsismo. Anche oggi tutto questo è a tratti ancora molto faticoso, l’indifferenza è sempre in agguato e più la cura progredisce più intense sono le emozioni e la capacità di sentirle. Curarsi ha significato fare delle scelte, non sempre verbalizzate, anzi quasi mai, spesso tradotte in fatti, separazioni, cambiamento dei propri orientamenti affettivi. La scelta di vivere dei rapporti con persone e con modalità completamente diverse rispetto al passato, vincendo la rabbia e l’invidia delle realizzazioni altrui, che spesso avevano il sopravvento sugli affetti. La più grande realizzazione è stata quella di trovare un vissuto individuale originale dove il gruppo aveva comunque una sua importanza e una sua centralità, imparando ad investire e a ricoprire di senso le situazioni di rapporto personali, dove non sempre, anzi quasi mai ho trovato risposte, soddisfacenti.Tuttavia la cura per me significa anche lottare e finchè avrò speranza di una riuscita continuerò a farlo.

Guest            

Inviato il: 6 Jun 2007, 06:23 PM

La cura…mi vengono in mente parole come destrutturazione, si, ma anche vitalità, identità, immagine, rapporto uomo donna. Tanto altro ci sarebbe da aggiungere e lunga sarebbe la descrizione di una esperienza soggettiva che è diversa e unica rispetto alle varie esperienze di chi, interagendo con il transfert, ha comunque poi tirato fuori qualcosa di suo o cerca di farlo (me compresa).

nel mio caso la ricerca è fatta di alti e bassi, di crisi e di risalite, di un soffrire e di un godere…la crisi penso che sia un passaggio “obbligato” verso un gradino superiore nella ricerca di sè. Lo “stare male” viene ampiamente ricompensato con una nuova e diversa visione della realtà, con un maggior rapporto con la realtà, con un accrescimento della propria vitalità.

Quando “sto meglio” spesso sono gli altri a farmelo capire, si creano movimenti inconsci diversi, io stessa compio movimenti verso gli altri “diversi”…sono diversa, anche fisicamente c’è un cambiamento, reagisco diversamente agli stimoli esterni, mi sento di più, riesco ad ascoltarmi di più soprattutto nel rapporto uomo donna.

Ero come anestetizzata prima della cura, ora è come se piano piano l’anestesia passasse, prima c’è il dolore, ma il dolore è anche sensibilità, quindi ben vengano le crisi…

Alogon            

Inviato il: 6 Jun 2007, 10:54 PM

Un ringraziamento particolare ai partecipanti a questa discussione per l’immagine che complessivamente offrono del lavoro della psicoterapia. Ciascuno di noi, anche nella sofferenza, nella malattia può mantenere intatta la dignità e dare testimonianza di un desiderio di esprimere la propria umanità nella forma più piena.

copyright domenico fargnoli

 

Emma            

Inviato il: 7 Jun 2007, 09:47 AM

La cura…

Personalemente ritengo di essere ancora nella fase della “necessità”, per cui si và dallo psichiatra perchè si sta male.

la mia esperienza mi porta a dire che la scelta della psicoterapia non è ‘naturale’, nel senso di spontanea (“sto male, quindi mi curo”: ho impiegato anni per arrivare a questa semplice conclusione….e neanche ci sono arrivata da sola).

Prima di arrivare a questo tipo di psicoterapia ho passato diversi altri tra psichiatri e psicologi, purtoppo talvolta con risulatati disastrosi per la mia crescita come persona, che ho abbandonato senz’altro e quasi spaventata dalle prospettive che mi si ponevano davanti, nelle quali, intutitivamente, riconoscevo un contenuto malato, privo di qualsiasi affettività.

La cura per me, sebbene non ne abbia ancora un concetto chiarissimo e non riesca bene ad immaginarmi come io stessa possa evolvermi, rappresenta un contenuto sano, una serietà della vita, una nuova possibilità di rapporto con l’altro, che esca dall’ambito della frustazione e del masochismo.

Contenuto sano è quello che il terapeuta ti mostra in ogni seduta, e che, per riallacciarmi a quanto è stato accennato sul discorso del settarismo e del “lavaggio del cervello”, non ho mai percepito come un indottrinamento, un’idea o un insieme di idee senza le quali la cura è impossibile, ma come un atteggiamento verso sé e gli altri, nel quale ognuno immette ciò che è, con la sua personalità, ma dove ha imparato a riconoscere quei meccanismi del pensiero che lo portavano alla sofferenza della malattia.

Non è un percorso facile, perchè cambiare il pensiero, è quanto di più serio e impegnativo, un essere umano possa chiedere a sé stesso dopo anni di stratificazione silenziosa.

Non vedo la “sanità” come qualcosa che arriverà inaspettatamente, in una specie di darwiniano balzo in avanti nell’evoluzione della specie, ma piuttosto come un progressivo sfolgliarsi di una sovrastruttura malata per arrivare al nocciolo sano e da lì, ricominciare a costruire un esitenza nuova con una vera consapevolezza del sé, e, per l’appunto, “senza memoria”.

Alogon            

Inviato il: 7 Jun 2007, 11:16 AM

Sottolineerei il fatto che un atteggiamento ideologico è per sua natura contrario alla psicoterapia.

Quest’ultima non è pedagogia, indottrinamento.

Si possono fare danni anche facendo riferimento ad idee di per sè giuste se io pretendo di imporle

a qualcuno e di avere la verità in tasca.

Superare l’ideologia è un problema di formazione dello psichiatra che non può lavorare con frasi fatte, articoli, libri preconfezionati pensando che questi ultimi, al posto suo, possano curare qualcuno. Nè si può curare per interposta persona, nè alcuno può arrogarsi l’esclusività della cura.

Ciò sarebbe in linea di principio contrario all’esistenza di una teoria e di una formazione che tale teoria consente.

La svalutazione sistematica, pubblica del lavoro altrui poi non credo giovi alla causa di nessuno.

L’altro problema, veramente serio, è riconducibile alla circostanza per cui molti per il semplice fatto di essersi sottoposti alla psicoterapia, con risultati che non sappiamo, pensano di avere competenze psicoterapiche. Questi ultimi si sentono legittimati di intervenire nel lavoro che uno psichiatra sta compiendo suggerendo che esiste sempre qualcuno più bravo di lui e che pertanto tale lavoro è inutile se non addirittura dannoso.

Potrei riferire centinaia di casi del genere.

Chi compie tali gesti dovrebbe assumersi pubblicamente la responsabilità delle conseguenze che essi producono.

copyright domenico fargnoli

Guest            

Inviato il: 7 Jun 2007, 02:25 PM

Che vuol dire “destrutturazione”? Che uno può arrivare a non sapere neanche più come si chiama né dove abita? che fondamentalmente non sa più nulla e si ritrova privo di ogni punto di riferimento?

Ho già avuto un accenno di esperienza simile, è costruttivo in prospettiva, anche molto interessante per livelli di realtà ai quali dà accesso e che – va ricordato – non sono fuori dal mondo, paralleli o accanto a esso come guardando un film di fantascienza, ma nascosti come dietro a una tenda dove ognuno, spostandola, troverebbe nuove cose che un po’ ci sono e un po’ sono quelle che gli piace trovare …

Basta che rimanga qualcosa, comunque, di conciliabile con le varie esigenze della vita quotidiana …

Alogon            

Inviato il: 7 Jun 2007, 03:05 PM

il discorso è complesso ma per farlo semplice si può dire che destrutturazione, non patologica, si riferisce al perdere la coscienza come quando si va a dormire. Anche in questa circostanza non abbiamo più consapevolezza ed appaiono immagini che non sappiamo dove ci portano.

Questo processo, molto più veloce può intervenire anche nella veglia ma non determina disorientamento

perchè alla dissoluzione della coscienza fa seguito immediatamente un’immagine che ci consente un rapporto nuovo con la realtà esterna …detto sommariamente

copyright domenico fargnoli

nyx la civetta            

Inviato il: 7 Jun 2007, 08:22 PM

Io non penso di essere stata plagiata, penso anzi che mi sia stato fatto un regalo enorme che non è figlio di nessuna ideologia ma di un rapporto reale e tangibile benché inconscio. Costringere qualcuno a realizzare se stesso è prepotente per come entra nella tua vita ma non è mai violento. A me non era mai capitato che qualcuno vedesse qualcosa così bello da realizzare in me, e ad un investimento di questo genere alla lunga non si può che cedere e cimentarsi. Quello che faccio adesso lo faccio sulla base di un rapporto, di una ritrovata affettività che sta anche nel fare materialmente le cose e non solo riempirsi la bocca di belle parole. Non voler deludere le persone che amo per me è una grossa novità, una tensione che mi fa vivere diversamente.

Il mio rapporto con la psicoterapia è cambiato anche per le cose che ho realizzato fuori da lì, prima era l’ unica cosa che avevo adesso non è più così. Potrei dire di essere meno dipendente di prima ma so che non è la verità adesso dipendo da molte più cose, dal rapporto uomo donna, dallo studio dalla cura e dalla ricerca che mi mettono in crisi continuamente ma paradossalmente mi danno la libertà di essere me stessa.

clu            

Inviato il: 8 Jun 2007, 05:10 PM

Una lotta da fare per la cura,nella mia esperienza,è contro la mentalità religiosa,sottolineo mentalità perchè nei pensieri coscienti è dai tempi del liceo che non vado più in chiesa.Il vittimismo,ad esempio,viene da lì.A dire che ti vanno male le cose,trovi sempre qualcuno che ti compatisce,nella vita di tutti i giorni.Però ti chiede in cambio un patto scellerato:io ti conforto,sono buono con te,ti faccio sfogare.Tu, in cambio,non ti muovere.Il legame che si crea è di dipendenza e,soprattutto,non si modifica niente.Salvo poi scaricarti se non segui i suoi consigli,o anzi se non sei come lui/lei ti vuole.

Tutt’altra cosa è la cura,che pertanto richiede,secondo me,come primo movimento, la capacità di esprimere i problemi.Sembra una stupidaggine,ma a me non riesce quasi mai.O li metto fra parentesi,o ne sono posseduta.

E qui forse entra in campo un altro imperativo religioso:quello di essere “buoni”.Non fare arrabbiare l’altro.Allora si diventa possibilisti,flessibili,eclettici,si capiscono le ragioni altrui ,si perdono di vista le proprie,le proprie convinzioni,sempre per non fare arrabbiare.La dialettica in questo modo di muoversi è un’offesa(come osi contraddddddirmi?) e anche qui si capisce come è il contrario della cura,che alla base ha proprio di non dare per scontate le affermazioni del paziente.Il terapeuta reagisce sempre,anche per una sfumatura ti controbatte.Forse sono cose ovvie,ma nello scriverle mi colpisce che religiosità e cura sono proprio l’una opposta all’altra.

Alogon            

Inviato il: 8 Jun 2007, 07:43 PM

Gli ultimi due interventi sono entrambi molto interessanti.

Nel primo c’è il passaggio dall’identità umana naturale a quella culturale: la ricerca di un’identità sociale senza sacrificare gli affetti, la nascita. E’ nel rapporto che viene fuori questa possibiltà perchè forse esso non è basato sulla credenza di un naturale inferiorità delle donne? Appunto vedere la bellezza in una donna. Non insisto perchè temo la retorica e l’autocelebrazione è dietro l’angolo.

Il secondo intervento centra il discorso sul rifiuto della religiosità. Punto centrale di ogni cura. Com’è che la religione uno poi la vive nel suo corpo come insensibiltà che impedisce la comprensione del rapporto? Insensibilità che impedisce l’esperienza della sessualità?

In entrambi gli interventi un tema di ricerca. E forse se c’è la ricerca c’è stata anche la cura.

copyright domenico fargnoli

Slow            

Inviato il: 9 Jun 2007, 06:23 AM

Un cenno alla difficoltà di intervenire su questo forum, che deriva, forse, anche

dal mio lunghissimo curriculum di persona malata che chiede la cura.

Provo a superare l’ansia di non riuscire a inserirmi adeguatamente, con un pò

di autoironia, imparata proprio nel corso della cura, caratterizzata da periodi,

che si potrebbero chiamare “tragici”, come ricoveri in clinica, pensieri suicidi, chiusura quasi totale in se stessi etc., durante i quali il senso dell’umorismo del

terapeuta non è mai mancato (do per scontato e conosciuto l’insieme del suo

atteggiamento terapeutico).

Percepisco questo umorismo come fondamentale nell’affrontare la malattia,

individualmente e nel gruppo.

D’altronde la capacità di ridere è assolutamente umana, e questa capacità ora mi

è essenziale, sia per non impantanarmi nel rimpianto di anni sprecati e

buttati via (tema della responsabilità personale) , sia nel presente, dove finalmente sto in piedi da sola (risultato non da poco relativamente alla mia

storia) e sento il flusso della vita che non mi permette più di stare a pensare

come sarebbe stato meglio di non essere mai nati.

E poi che cos’altro, se non proprio un pò di ironia, mi farebbe andare avanti,

senza troppe lamentazioni, in assenza, per ora, di qualsiasi traccia del

“famosissimo” rapporto uomo-donna, dato come segnale di guarigione e di

acquisizione di identità.

Alogon            

Inviato il: 9 Jun 2007, 09:31 AM

Cosa vuoi dire che Beppe Grillo se non avesse fatto il comico sarebbe stato un grande psichiatra?

copyright domenico fargnoli

Slow            

Inviato il: 9 Jun 2007, 03:58 PM

Certamente no, ma un grande psichiatra potrebbe curare senza cogliere e comunicare il lato comico delle umane vicende ?

 

Alogon

Inviato il: 9 Jun 2007, 05:34 PM

Anche Demcorito rideva sempre. Gli abitanti di Abdera pensando che fosse impazzito, consultarono Ippocrate il quale sentenziò che il filosofo era perfettamente sano di mente, anzi delegò a lui il compito di scrivere un trattato sulla pazzia. Io però penso che Democrito ridesse troppo per essere veramente sano…

forse mi stai suggerendo che devo ridere di meno….

copyright domenico fargnoli

Emma            

Inviato il: 9 Jun 2007, 07:26 PM

Dipende da quello che si cela dietro il sorriso.

Ora l’autoironia a tappeto mi pare diventi una grottesca maschera di se stessi, (mi viene in mente il topos del clown triste…), e anche diridere di tutto, insomma, almeno un atteggiamento un pò sospetto ( i latini non dicevano che il riso abbonda sulla bocca degli stolti?)

Un pò di umorismo da parte del terapeuta però è veramente utile: personalmente mi aiuta a rompere un circolo dei pensieri ossessivi, a vederlo da un’altra angolazione e ridimensionarlo, dandomi così anche la possibilità di seguire meglio la discussione del setting, permettendomi di concentrarmi su qualcosa di diverso da me stessa e dal mio piccolo mondo.

Oggi la nostra cultura, permeata dell’ideologia cattolica del sacrificio e della sofferenza è troppo sospettosa verso ogni gioiosa manifestazione del carattere umano, temo sia difficile cadere nel rischio di ridere troppo.

Alogon            

Inviato il: 9 Jun 2007, 08:12 PM

….risus abundat in ore”stultorum”. Allora dovrebbero ridere i pazienti invece ridono poco a parte gli ebefrenici. Boh devo ripassare la psicopatologia oppure riscrivere la fenomenologia del riso…..comunque il livello teorico dei miei interventi si sta abbassando in modo preoccupante…..

copyright domenico fargnoli

Alogon            

Inviato il: 10 Jun 2007, 03:49 PM

Ho letto su Aprile on line in coda all’articolo di Patrignani “La mossa del cavallo” del 5 Giugno 2007 un’interessante dibattito proprio sui risultati della cura.

Punti di vista diversi si sono scontrati anche duramente. Ma da tutto l’andamento della discussione veniva fuori non solo che la cura esiste ma anche veniva individuato il momento in cui la persona perde la speranza e l’esigenza di trasformazione Questa perdita si trasforma in un comportamento criminale, cioè in un comportamento privo di pensiero.

E qui aggiungo che il “comportamento” criminale non è solo quello che porta ad atti da considerare reati ma anche quello che sul filo della legge è improntato ad una estrema anaffettività e violenza e che si estrinseca in un attacco alla cura stessa. Classicamente acting out e reazione terapeutica negativa.

Nel dibattito, in cui alcuni hanno dato dimostrazione di abilità e coerenza interpretativa, si vede bene come tali situazioni vengono affrontate smascherando le strategie manipolatorie e la falsificazione sistematica del pensiero che giunge a veri e propri parossismi deliranti.

Una lezione quindi di psichiatria che viene da Internet e realizzata con quegli stessi strumenti che per molti sono solo ricerca di evasione, priva di ogni desiderio di conoscenza

copyright domenico fargnoli

Guest            

Inviato il: 11 Jun 2007, 08:00 AM

Infatti è desolante

Guest            

Inviato il: 11 Jun 2007, 08:19 AM

Lascia senza parole

Alogon            

Inviato il: 11 Jun 2007, 09:41 AM

La malattia mentale, il delirio,il comportamento criminale è “una terra desolata” per parafrasare Thomas Eliot.

Ciò che colpisce è la reiterazione dei gesti , delle parole, l’anaffettività delle “critiche, lo stroncare sistematicamente la possibilità della cura o qualunque elemento vitale o di interesse che sorge nella discussione. Forse ci si può rendere conto di quale sia lo sforzo che lo psichiatra deve compiere, per es in un gruppo, per evitare di essere sommerso da atteggiamenti così rozzi ed antiumani dietro una parvenza di democraticità del confronto. La sinistra è anche questo in Italia, e forse non solo in Italia, oggi.

Immaginiamoci il panorama mentale di tutto il resto.

Detto questo non credo sia legittimo indulgere al vittimismo od al catastrofismo: si tratta di aprire gli occhi su di una realtà sicuramente amara per continuare a combatterla con gli strumenti che abbiamo, che certo non sono perfetti ma in moltissime situazioni, come dimostrano i precedenti interventi, si rivelano efficaci.

copyright domenico fargnoli

Fiore [omonimia di utente reg.]            

Inviato il: 11 Jun 2007, 11:00 AM

Al di là della mia storia di paziente, che inconsciamente ha la sua particolarità come quella degli altri,non ho mai smesso di considerare che la mia più significativa fortuna (senza considerare i momenti di difficoltà,qualche reazione di rabbia ecc.) è stata quella di potermi curare in questo modo .Inoltre devo riconoscere che la storia della cura ci trasporta verso interessi più grandi,perchè c’è tutto un mondo (umano) che si muove dietro,di un fascino (al di là dei movimenti violenti che scatena e delle difficoltà )incredibile. Non giudico i motivi inconsci della mia sospensione al lavoro di cura con il gruppo perchè non è il mio compito,coscientemente valuto con indulgenza le mie ragioni.In ogni modo il mio “lavoro”non lo ritengo concluso e assumo la responsabilità verso la mia realtà psichica… ma se sono più forte,se ho resistito alla solitudine,alla violenza (devo fare un riconoscimento a me stessa,che gli occhi aperti verso questa sinistra,ce li avevo da un pezzo ed è quella che ,certamente nell’ambito del mio vissuto, mi ha inflitto più sofferenze,proprio perchè non valutavo migliori alternative)..nel mio piccolo combatto ,ho più voce,e dato che sono un essere umano,faccio errori,ma l’umanità che mi ha trasmesso la cura,è un tesoro che in certi momenti ti fa sentire bene (anzi,tante volte penso che ci viene insegnata troppa bellezza , in un mondo come questo che richiede anche altri modi ,leciti certamente,per sopravvivere,ma va in ogni modo difesa).

aissa            

Inviato il: 11 Jun 2007, 11:45 AM

L’intervento di Fiore mi fa venire in mente il famoso giudizio su se stessi, che talvolta è davvero spietato. Altro cardine della mia cura è stato proprio questo: sospendere il giudizio e cercare di costruire una nuova identità, ma anche una nuova idea di me stessa a cui tendere per poi ritrasformarla e tendervi ancora. Questo credo si leghi al discorso della destrutturazione che mi sembra sempre più importante, visti anche gli interventi. certamente questo lavoro si scalpello e martelle contro la corazza della malattia porta sempre con sè la paura di scoprire il vuoto. Il problema credo sia questo, crollata quell’impalcatura che faceva la malattia ma anche la difesa contro una nuova ricerca di sè che necessariamente espone alla crisi, si ha il terrore di non trovare nulla, il vuoto assoluto, nemmeno un mattoncino dal quale ripartire. Per me è stato faticosissimo scoprire che quel mattoncino, seppur tanto male in arnese, c’era. E qui chiudo il cerchio con quanto detto prima, l’idea di una nuova me stessa, il pensiero che forse ce la posso fare si lega alla scoperta meravigliosa e per me recentissima che quell’impalcatura smantellata non è stata un’operazione criminale, un tabula rasa dove resti isolato ed in balia di te stesso. lo psichiatra per ogni trave arrugginita che toglieva metteva un mattoncino tutto nuovo…Io miope, certo, ho dovuto ascpettare di vedere il palazzo già al primo piano prima di realizzare che la cura c’era…. vorrei poi aggiungere brevemente un mio pensiero riguarda alla questione “tempo” che qualcuno qui precedentemente sollevava. Io non ritengo che il guarire sia una questione di mesi, non è un raffreddore con prognosi ormai accertata. La reazione del paziente al terapeuta c’entra, sì, ma c’entra anche quel tempo interno e non biologico che si dilata o corre fulmineo secondo il momento che vivi e gli affetti(o non affetti) che ti muovono. Secondo me si scivola quasi senza accorgersene dal tempo della cura prorpiamente detta, cioè attacco alla malattia, a quello più delicato della ricerca personale, dove ormai padri e madri sono stati ampiamente trattati e ci si può confrontare su terreni più vasti e su dinamiche universali e non più strettamente personali. Ecco, se io vedo la mia cura in questa ottica, non penso mai che è tempo di andare, perchè non smetto mai di cercare e di chiedere e nel gruppo sento che questa ricerca non solo è possibile ma si articola in un modo costruttivo ed intelligente, stimolantissimo che non ti permette mai di fermarti ma al contrario di costringe al movimento. Pensare di continuare il percorso terapeutico quindi non è questione di quanto tempo ci metti ma di quanto sei disposto a cercare e approfondire.

عائشةAisha

fiore            

Inviato il: 12 Jun 2007, 02:28 PM

Non so come possa aver suscitato un pensiero di “giudizio su se stessi,a volte anche spietato”..anzi forse volevo comunicare che anni di cura,hanno avuto i suoi risultati,,la ricerca di identità è tuttora aperta ..si può parlare di procrastinazione del desiderio o è solo e sempre resistenza alla cura?

bc            

Inviato il: 12 Jun 2007, 05:51 PM

Il pensiero religioso…una bella gatta da pelare…perché ti frega, perché non basta relazionarsi ad uno vestito normale invece che ad uno vestito con una tetra toga nera,..non basta poggiare sul comodino un bel libro dalla copertina seducente invece della Bibbia..e non basta neanche saper riconoscere la “genialità” se non si separa da “santità”…forse è accettare di avere di fronte un “homo novo” che ti separa dal pensiero religioso…un “homo novo” che ti propone la cura…ed allora ti ritrovi con il tempo, il “tuo tempo” a scoprire che quello che eri non sei più, che le persone intorno sono “cambiate” in tutti i sensi sia perché alcune non ti corrispondevano più e quindi te ne sei separato, sia perché quelle che ti sono ancora “vicine”non hanno annullato la tua cura e quindi hanno subito una trasformazione pure loro…un percorso che non porta al paradiso,ma ad una vita vera!

Alogon            

Inviato il: 12 Jun 2007, 09:09 PM

L’interruzione o la sospensione della cura può corrispondere a dinamiche molto diverse e non tutte interpretabili allo stesso modo: è importante che una persona, come Fiore, cerchi di continuare con i mezzi che ha la ricerca che ha intrapreso. Cosa che mi sembra, nella situazione specifica stia avvenendo.

Rispetto alla destrutturazione il problema interviene quando non si è capaci di trovare in tempi brevi o brevissimi una nuova immagine. Così la perdita dell’assetto cosciente e razionale si apre su un vuoto, su di annullamento.

La terapia serve esattamente ad abbreviare i tempi di questo passaggio verso una diversa definizione di sè tramite le interpretazioni e la frustrazione della negazione che toglie al pensiero la vitalità e l’energia necessaria per l’elaborazione

copyright domenico fargnoli

Guest            

Inviato il: 14 Jun 2007, 11:06 AM

I terapeuti hanno ragione a mettere l’accento sul fattore tempo, di cui ben conoscono il valore. Il tempo come affermazione o negazione, tempo vissuto, tempo dedicato a cosa e a chi… Chissà perché alcune persone arrivano sempre in ritardo alle cene con gli amici ma quando si tratta di prendere un volo intercontinentale o di andare agli appunti professionali, questi non li mancano mai… Due pesi e tre misure, trattamenti a due o più velocità, oppure il cosidetto “diverso” per ingannare un istante la trappola del mors tua-vita mea… Sono tutte domande e ricerche aperte, strade pubbliche e spalancate dove il costo della “ricerca” e della “conoscenza” diventa altissimo in termini di immagine di sé.

Sono aporie del socialismo e della trasformazione psichica, tanto per cercare di dare un senso.

Il tempo è senso e significato, è la vita stessa.

Alogon            

Inviato il: 14 Jun 2007, 11:53 AM

L’aporia è il dubbio ma anche un’impasse senza soluzione.

Credo però che il tema proposto, nell’intervento precedente, sia il tempo della trasformazione….

il tempo come durata ma anche come simultaneità di eventi psichici…regredire-progredire, destrutturare ristrutturare: nello stesso momento Ritengo che nel tempo ciò che può diventare paradosso è il fatto che se non c’è simultaneità, se cioè non c’è l’istante della trasformazione, non c’è durata, cioè evoluzione.

Si va a finire nell’a-temporalità nell’annullamento del tempo , cioè del senso e del significato: in altre parole della vita.

copyright domenico fargnoli

 

Guest            

Inviato il: 14 Jun 2007, 01:46 PM

Capisco, è una bella speranza, anche se rimane molto teorica

Alogon            

Inviato il: 14 Jun 2007, 01:58 PM

rispondo con una battuta: meglio che niente.

Ricordo che anche quella della relatività era solo una teoria: mutatis mutandis…..

copyright domenico fargnoli

Guest            

Inviato il: 14 Jun 2007, 11:31 PM

credo che questo considerare il tempo da un punto di vista psichico sia molto interessante;personalmente mi sono sentita spesso piu inseguitrice di un tempo che è sinonimo di scadenze,o meglio di tappe che hanno una scadenza,stabilita dal senso comune,non da un ente o da chissà chi…a volte il presentarmi con un po di ritardo mi ha pesato molto. L’idea che l’agire debba andare di pari passo con un’evoluzione psichica mi fa pensare al fatto che i miei tentativi di “recuperare” il tempo mi hanno condotto senz’altro da qualche parte,ma si tratta di un recupero parziale dal momento che ho lasciato un po di cose per la strada.

Alogon            

Inviato il: 15 Jun 2007, 12:25 AM

 “recuperare il tempo “ significa forse uscire dall’atemporalità dell’annullamento?

Recuperare come ritrovare ciò che si è perduto. L’agire deve andare di pari passo con un’evoluzione psichica: come se l’azione fosse essa stessa pensiero? Ciò non mi stupirebbe.

copyright domenico fargnoli

 

bice            

Inviato il: 15 Jun 2007, 02:30 AM

Tutto l’opposto di quella sensazione carica di angoscia che ti convince che ormai potrebbe essere tardi per realizzare alcunchè, come se il tempo fosse solo quello lineare calcolato oggettivamente inesorabilmente andato insieme alle occasioni perse della propria vita. Comè è che invece a volte capita, improvvisamente, che la vita sembri poter riacquistare un senso? Ritorna la speranza e si modifica, è vero, anche la percezione del tempo.

Guest            

Inviato il: 15 Jun 2007, 08:49 AM

Ringrazio per l’alto livello della discussiobne. Meno male si trovano siti come questo, che alzano il liveoo della discussione rispetto a “Novella 2000”

Guest            

Inviato il: 15 Jun 2007, 11:55 AM

in questa unità di pensiero-azione non so se è l’azione che crea gli stimoli perchè si sviluppi un nuovo pensiero oppure il contrario oppure ,ancora,se si scambiano le parti vicendevolmente;ciò che posso dire è che riveste un’importanza fondamentale il modo in cui le cose vengono fatte e vissute,ed è questa la differenza che sto cercando.. si può riuscire ad affrontare mille difficoltà,può capitare di vivere situazioni che generano negli altri stima,sorpresa,si può ampliare il proprio mondo di relazioni eppure continuare ad avere la sensazione di vivere lo stesso,o comunque molto simile,mondo interno..manca qualcosa,è un bagaglio di esperienza che deve trasformarsi e non un elenco di cose,che sei riuscito a svolgere ‘in tempo’ ma che ti appartengono fino ad un certo punto..in questo senso mi spiego l’atemporalità dell’annullamento

Alogon            

Inviato il: 15 Jun 2007, 06:16 PM

Ringraziando “bice la pittrice” passo al secondo post.

Non sono d’accordo: per me Novella 2000 è un grande giornale e noi sicuramente non riusciamo a superare il suo livello. Come sicuramente non riusciremo a superare il livello di chi, così gentilmente ci scrive. Però cara/o ospite leggi bene perchè qui di pettegolezzi non ne trovi nè resoconto di fatti personali. Però grazie per averci letto e così carinamente commentato. Magari la prossima volta dì qualcosa di più così apprezzeremo meglio la tua intelligenza.

Quanto al terzo post se trovi il tempo della trasformazione (simultaneità ed istantaneità) si modifica anche il senso ed il significato del vivere

copyright domenico fargnoli

ORSOALLEGRO            

Inviato il: 16 Jun 2007, 12:48 PM

Vorrei saperne di più..davvero. Riconoscerla attraverso l’esperienza personale ed altrui. La guarigione rappresenta cosa? L’arrivo, la serenità od il punto di partenza. E poi: esiste guarigione senza riconoscimento? esiste guarigione in pisoterapia?

Rappresenta il raggiungimento della coscienza di se?

No. non credo. Credo rappresenti l’archè della ricerca. Ecco, mi riconosco, sono io, il mio percorso è appena cominciato. Guardo il mondo con occhi nuovi, ma nessuno mai potrà togliermi, neppure il totemico semaantico “guarigione” il’etica del dubbio.

Mai mollare

ORSOALLEGRO            

Inviato il: 16 Jun 2007, 12:58 PM

Leggo di conectto del tempo da ricostruire, affermazione di se, luogo della cura. Concetto di salute (o salvezza), irrazionalità.

Pongo però un quesito.

Il dubbio…..il dubbio di non essere oltre il guado…di perdersi ancora..l’insicurezza è ancora malattia? L’ansia di ricaduta è presente in voi? esiste un etica del dubbio? una affermazione perentoria “io sono sano” è possibile?

non so

Alogon            

Inviato il: 16 Jun 2007, 01:49 PM

Secondo post di Orso Allegro. Nel mio testo teatrale c’è una frase “la nascita si trova e si perde ogni giorno,,,” come dire che uno deve dimostrarla continuamente la propria sanità. Quest’ultima non è una certezza monolitica ma proprio la capacità di mettersi in discussione sempre.

Quindi incertezza , movimento continuo dell’essere senza l’idea di salvezza perchè quest’ultima sarebbe una meta già prefigurata, trascendente o meno.

Chiedo anche a te Orso, se il dubbio non sia qualcosa di sostanzialmente diverso dall’incertezza.

So bene che il discorso potrebbe essere complicato. Ecco io del dubbio rifiuterei proprio la sua sistematicità che invece ci è stata proposta come paradigma della razionalità. Mi sbaglio?

Il dubbio sistematico diventa ontologico e per questo non mi piace.

Quindi incertezza ma anche, dialetticamente certezza.

Si’ ammetto che della mia capacità di mettermi in discussione sono certo. Tant’è che mi apro al dialogo con interlocutori che non la pensano come me. Però non mi lascio trascinare a conclusioni che non sono le mie in quel momento. Però ascolto le argomentazioni degli altri. Non so come e quando queste loro idee determineranno in me una reazione.

Quindi, in primis benvenuto, a chi mi costringe a pensare.

La guarigione. Ti posso dire come la penso io a proposito, forse altri avranno altre idee.

Per me essere guarito è avere il pieno possesso della propria mente, del proprio pensiero nel senso di essere liberi di lasciarlo percorrere ogni strada. In questo senso la guarigione non si identifica con un contenuto, ma con uno stato d’animo. Con un senso di pienezza interna che mi consente di affrontare anche situazioni, nuove , difficili.

Spesso non so se ce la farò però tento di spingere oltre il mio limite.

L?irrazionale: io in fondo non avrei mai pensato coscientemente, di fare quello che faccio, di poter acquisire un’identità per es. anche artistica. Mi è accaduto e a tutt’oggi mi sto interrogando su come mi è accaduto…. sicuramente non ho risposto in modo esaustivo ma sul momento non saprei dire altro.

Credo implicitamente di aver risposto anche all’altro post.

copyright domenico fargnoli

caterpillar            

Inviato il: 17 Jun 2007, 12:26 AM

E’ cosi’ che vivo la cura: e’ consapevolezza che nulla potra’ tornare come prima.E’ una forza motrice che spinge e trasforma,sempre in movimento, sempre diversa ,giorno e notte.E’ inaspettata, lenta e veloce : e’ un appropriarsi di sé non

cosciente.

cortomaltese            

Inviato il: 17 Jun 2007, 01:19 PM

Scrivere dei risultati della terapia per me è particolarmente difficile in questo momento, ma proverò ugualmente a buttare giù qualche riflessione.

Quello che mi resta difficile è capire come valutare i progressi di una cura ammesso (e non concesso?) che:

– i sintomi soggettivi non vanno considerati come esclusivi e preponderanti e sicuramente non è positivo concentrarvisi troppo

– il tempo, anch’esso una dimensione soggettiva, rischia di essere un parametro difficilmente interpretabile

– la produttività o meglio il funzionamento lavorativo/sociale non possono essere considerati un indice di sanità

– il contenuto dei pensieri, anche se percepito per gran parte immutato, può sottendere un’evoluzione inconscia.

Detto questo, come fa il paziente che si ritrova in una condizione di difficoltà e sofferenza, trovare un modo per valutare il percorso di cura che ha intrapreso? E questo, va da se, non per “fare le pulci” alla terapia, ma, più banalmente per orientarsi e mantenere un filo, una speranza di guarigione.

Vorrei poi allargare il discorso alla ricerca. Dagli interventi apparsi sul forum, molti dei quali offrono spunti interessanti, traspare un livello minimo di benessere (forse il termine non è appropriato) partendo dal quale uno riesce anche ad ampliare lo sguardo oltre il suo orticello. Ma un paziente con sintomi importanti, ingabbiato nella spirale di pensieri ossessivi e di rovina, come può occuparsi di ricerca? Non è un orizzonte troppo ampio per lui? E’ come guardare il mondo da un buco di serratura, non so se mi spiego. L’effetto può essere disorientante e a volte sembra ridurre anzichè aumentare le speranze di riuscita.

Alogon            

Inviato il: 17 Jun 2007, 04:03 PM

Nel post precedente vengono posti problemi di fronte ai quali mi sono trovato molte volte.

E’ chiaro che per valutare i progressi di una cura bisogna mettersi in grado, preliminarmente di realizzare che una cura ci sia. Come si fa? Paradossalmente ( in quanto siamo costretti a fronteggiare situazioni che appaiono senza uscita) rifiutando proprio un atteggiamento autoreferenziale, basato sulla descrizione di sintomi, su giudizi inappellabili espressi relativamente a tutti quei punti che sono stati citati.

La produttività, il funzionamento sociale non sono “in assoluto e da soli” da considerarsi un indice di sanità. Mi sembra ovvio.

Quanto poi alla “percezione del proprio pensiero” il discorso è assai difficile. Si potrebbe discutere se viene percepito il pensiero o la costrizione o l’assenza del pensiero. Quando il pensiero fluisce senza ostacoli od intoppi di qualunque tipo forse non esiste da solo ma si fonde con le sensazioni e con le azioni. Siamo un tutt’uno mente e corpo e non percepiamo la separatezza dell’una rispetto all’altra. E’ il pensiero astratto che si isola da tutto il resto.

Poi il “pensiero” è immutabile? Od il pensiero comunque cambia anche quando ci sembra che rimanga lo stesso?

Come dire che un residuo di sanità esiste in chiunque e comunque. Ed è a questo zoccolo duro che credo bisogna fare riferimento.

Un minimo di ricerca è inevitabile in ogni cura che non è un processo standardizzato.

Quanto al “guardare dal buco della serratura” non mi sembra una bruttissima immagine… vuol dire che qualcosa da guardare c’è e forse cosa sia bisognerebbe chiederlo a Pierino….

copyright domenico fargnoli

Guest            

Inviato il: 19 Jun 2007, 09:10 AM

Mi sono avvicinata alla psicoterapia perché non stavo bene, oggi mi rendo conto di quanto fossi inconsapevole di quello che veramente mi aspettava, della strada in salita che avrei dovuto percorrere.

Prima di accettare e riuscire a sentire quanto fossi veramente malata ho avuto delle reazioni estremamente violente, tanto da distruggere quasi tutto quello che avevo e ancora oggi non sono riuscita a capire se potevo limitare tanta violenza e negazione.

Oggi riesco ad accettare chi sono e chi ancora non sono, ad affrontare le mie difficoltà camminando verso un futuro che mi dia la possibilità di ricostruire ciò che ho distrutto e di vivere non di sopravvivere.

Il resoconto del mio percorso analitico è faticoso, ma positivo, dalla distruzione interna da cui sono partita ora riesco a confrontarmi con il gruppo e a mettermi in discussione; sono riuscita a non distruggere mia figlia, a lasciarle fare le sue scelte e a non attaccare le possibilità di farsi una sua identità in modo da essere diversa da me.

Tutto questo solo grazie alla psicoterapia.

Alena…

orsoallegro [omonimia di utente            

Inviato il: 19 Jun 2007, 11:04 AM

Ditemi se ho capito: un uomo si trova faccia a faccia con la realtà mal padroneggiabile e non omogeneizzabile, a formulare i suoi “si”, i suoi “no”, i suoi “ma”. Per far questo, è meglio che la mente resti sgombra, ammobiliata solo dalla memoria dei frammenti d’esperienza e di principî sottintesi e non dimostrabili. E proprio come Calvino preferisce tenere le sue convinzioni allo stato fluido, verificarle caso per caso e farne la regola implicita del proprio comportamento quotidiano, nel fare o nel non fare, nello scegliere o escludere, nel parlare o nel tacere.

oratarda            

Inviato il: 19 Jun 2007, 11:46 AM

L’atemporalità dell’annullamento,frase che appare in precedenza,mi ha dato uno scossone. Incredibile quanto è difficile questo problema del tempo.Provo a descrivere come è per me nella vita,alla ricerca della differenza con cui lo vivo in psicoterapia. Per me è(era?),prima di leggerne nel forum,una presenza costante,legato all’ansia:dispiacere di finire una cosa che sto facendo e guardo l’ora.Verso la fine centellino con gioia gli ultimi minuti.Riparto senza sapere bene per dove e lì,finchè non ho riorganizzato una nuova cosa da fare,il tempo si dilata ma non mi dà requie perchè penso di sprecarlo.

Rispetto alla psicoterapia,nelle ore trascorse insieme al terapeuta e al gruppo,scompare l’ossessione del tempo,anzi m’incavolo moltissimo quando vedo il terapeuta guardare l’ora,e va be’ verso la fine ci guardo anch’io,in preda al dispiacere che stia finendo.

Quello che ho scritto non riguarda il processo di cura,perchè mi sono accorta che nella cura io non lo considero,il tempo :vivo giorno per giorno,senza mettere in prospettiva o prefiggermi scopi ambiziosi.Questa atemporalità dell’annullamento vorrei fosse spiegata ancora,perchè credo mi riguardi non poco.

Alogon            

Inviato il: 19 Jun 2007, 12:32 PM

Rispodo per ora ad Orso allegro”Ditemi se ho capito: un uomo si trova faccia a faccia con la realtà mal padroneggiabile e non omogeneizzabile, a formulare i suoi “si”, i suoi “no”, i suoi “ma”. Per far questo, è meglio che la mente resti sgombra, ammobiliata solo dalla memoria dei frammenti d’esperienza e di principî sottintesi e non dimostrab”

Ecco forse il punto da chiarire è questo della “mente sgombra” oltre a capire di quale uomo si tratta e quali siano i frammenti di esperienza ed i principi sottintesi e non dimostrati.

Ci puoi dire qualcosa di più esaustivo?

copyright domenico fargnoli

 

ORSOALLEGRO

Inviato il: 19 Jun 2007, 02:04 PM

Cercherò di spiegarmi meglio:

un uomo è il soggeto, colui che parla-che pensa. E’ “un uomo” solo perchè cita Italo Calvino, quindi comunque può essere sostituito da un ben più identificabile IO.

La mente sgombra è la “tabula rasa” delle opinioni scontate, dei costrutti sociali, degli insegnamenti precedenti, del concetto di immutabilità degli eventi, dell’accettato dagli altri.

Ed i principi sottintesi e non dimostrabili sono probabilmente le legi che governano questi eventi, le dinamiche di relazione, la ricerca del se’.

E così, a volte, unica salvezza diventa il farsi acqua, mantenere fluido il pensiero, adattativo per così dire, ascoltare il tutto dagli altri senza farlo proprio senza convinzione. Come dire che per avere chiarezza su cosa ci rimanda di noi lo specchio non possiamo non fare i conti proprio con quello specchio, ovvero il tramite fra noi e l’immagine.

Traducendo potrei ancora dire “Io voglio costruire una identità sulla mia personale ricerca cercando per una volta di non farmi condizionare dagli insegnamenti appresi fin’ora, per farne certo qulacosa di nuovo, pur non rinnegando i meccanismi che regolano tale ricerca, come un parallelo fra se e gli altri”.

Forse non mi sono spiegato bene, quindi scusate, ma dopotutto anche lo scrivere è una ricerca.

Guest            

Inviato il: 26 Jun 2007, 10:35 PM

A me, sinceramente, non importa sapere se sono guarito oppure no, so solo che ora ho capito qual’è la mia strada e la seguo, cresco come uomo e come professionista, so stare da solo o in compagnia, non so dove sto andando, ma poco m’importa… mi piace ciò che faccio e cresco ogni giorno, non so cosa diventerò domani. Sarò un po semplicistico, ma a me va bene così.

Stone-Marten            

Inviato il: 27 Jun 2007, 07:08 PM

Definire cosa sia l’ atto medico soprattuto nel campo della psicoterapia è alquanto complesso e arduo e devo dire mi è molto piaciuto come lo ha fatto Alogon. Ma per complicare un po le cose sarebbe interessante comprendere se l’atto medico può essere inteso solo all’interno del rapporto medico-paziente e quindi solo come cura o se esso possa essere esteso anche ad altri ambiti come ad esempio la formazione o la ricerca. E già qui mi vengono in mente i primi quesiti. Una volta finita la cura, quando si ha la guarigione, l’agire del medico non può più essere definito atto medico?oppure, possono coesistere all’interno della cura momenti di formazione o ricerca? E’ ovvio che la cosa si riferisce in particolar modo alla psicoterapia in quanto ciò è certamente più difficile o comunque si verifica in minor grado nelle altre discipline mediche anche se poi anche questo non è così scontato. Lo dimostra la definizione di atto medico che è stata approvata dal Consiglio dell’Unione dei Medici Specialisti Europei a Budapest nel 2006:

“L’atto medico include tutta l’azione professionale, quella scientifica, quella d’insegnamento, d’esercizio ed educativa, i livelli clinici e medico tecnici attuali per promuovere la salute e funzionalità, prevenire disturbi, fornire ai pazienti cure diagnostiche o terapeutiche e riabilitative, individuali o di gruppo o cumulative, nel contesto del rispetto dell’etica e del valore deontologico.

La responsabilità dell’atto ed il suo esercizio devono sempre essere esercitate da un medico registrato (iscritto all’Ordine, n.d.r.), o sotto la dua diretta supervisione e/o prescrizione”.

L’atto medico non è solo cura ma anche formazione, insegnamento, prevenzione e non solo nei riguardi del singolo ma anche di gruppi o comunità.

Mi viene da pensare dunque come se il compito del medico non potesse esaurirsi solo nel curare ma dovesse riguardare anche la formazione e la ricerca e nel fare queste due ultime cose dovesse usare la stessa forma mentis, deontologia e responsabilità usate nel momento della cura

Alogon            

Inviato il: 2 Jul 2007, 11:15 AM

Nell’atto medico cioè nella cura si riassume tutto il lavoro di formazione e di ricerca che praticamente non ha mai termine come riconosciuto anche dall’ordine dei Medici. Mentre nella medicina organica formazione e ricerca possono avere una relativa autonomia dagli interventi terapeutici (vedi le ricerche di fisiologia o biochimica per es) nella psicoterapia i tre processi cura e formazione e ricerca sono contemporanei perché non si possono condurre ricerche e quindi acquisire una formazione a partire da soggetti “sani”. E qui per soggetto “sano” si potrebbe intendere, rimanendo volutamente su un piano di pura osservazione del comportamento, quello che esplicitamente non richiede la cura o non autorizza l’intervento del medico (escludendo le situazioni conclamate di psicosi dove non c’è coscienza di malattia)

In linea di principio però qualora un soggetto “sano” senza segni evidenti di sofferenza psichica” richieda la consulenza di un medico o psichiatra in questa circostanza si configura l’atto medico anche se non orientato specificamente verso la cura: l’intenzionalità di curare presente comunque all’inizio viene messa fra parentesi dopo l’accertamento della diagnosi.

Quindi si può avere un atto medico anche qualora non ci sia una patologia, anche quando la richiesta sia quella di escludere la malattia ed aumentare lo stato di benessere e di salute. La medicina appunto è interessata anche alla la prevenzione ed alla ricerca di tutto ciò, come gli studi sull’alimentazione per es) che aumenti la qualità di vita degli individui.

L’altra differenza fra medicina organica e psichica riguarda il concetto di “guarigione”.

Nelle malattie fisiche la guarigione è “la restitutio ad integrum” il ripristino dei parametri fisiologici di funzionamento organico.. Nelle malattie psichiche noi sappiamo che la guarigione assomiglia molto di più ad un processo creativo, all’emergere di una capacità nuova di pensiero che modifica radicalmente l’esistenza del soggetto la sua prassi , il suo modo di vedere il mondo

Definire la natura di tale modificazione è tutt’altro che semplice pur ricorrendo a categorie come vitalità, nascita, svezzamento, rapporto con l’essere umano diverso ecc. Mi riservo di approfondire successivamente questo aspetto

Inoltre: personalmente ho sempre ritenuto che la psicoterapia potesse avvenire solo in un gruppo.

Storicamente per me è sempre stato presente questo nesso fra gruppo-psicoterapia e guarigione.

Se questa impostazione è corretta potremmo chiederci: la guarigione riguarda l’individuo od il gruppo?

Che senso ha inoltre introdurre concetti come “gruppo psicotico” o come “guarigione di un gruppo”? Come fa un gruppo “guarito” a contenere al suo interno persone anche seriamente malate?

Con queste domande, molto complesse alle quali cercheremo gradualmente di rispondere, siamo fuori dai parametri della psicopatologia classica fondata sul singolo soggetto e sull’osservazione e comprensione razionale.

Di quest’ultima circostanza dobbiamo tenere conto quando ci accingiamo a riformulare i concetti tradizionali di atto medico, guarigione, malattia….

copyright domenico fargnoli

Alogon            

Inviato il: 3 Jul 2007, 11:24 PM

Nella psicoterapia di gruppo i singoli transfert si sommano, anche se non in modo algebrico, dando vita al transfert gruppale che è qualcosa di più di una semplice risultante di tutte le singole modalità di relazione. Il gruppo psicotico è quello in cui predomina, per effetto di una sommatoria non lineare, l’annullamento e la negazione che si esprime in una intenzionalità, in cui tutti si trovano ad essere coinvolti, a distruggere fisicamente e psichicamente lo psichiatra.

Il gruppo psicotico scaturisce spesso dall’interazione di persone che possono anche non avere tratti psicopatologici evidenti come sapevano già i Romani che avevano coniato il detto “Senatores probi viri, senatus mala bestia.” La mala bestia come collettivo potenzialmente omicida, deriva dall’ effetto d’amplificazione che subisce l’attività psichica nel gruppo per cui la negatività di un ‘insieme di individui, che presi singolarmente sembrano “normali” può raggiungere vette sconvolgenti come la storia ci insegna.

Il discorso veramente interessante riguarda il fatto che 20 schizofrenici clinicamente sintomatici non riescono ad interagire ed a creare un gruppo, mentre 20 persone apparentemente senza disturbi

possono dar vita ad un “gruppo schizofrenico”.

copyright domenico fargnoli

aissa            

Inviato il: 6 Jul 2007, 04:35 PM

La ricerca di identità passa inevitabilmente per crisi più o meno sentite da chi le attraversa, più o meno comprese nell’immediato. Basta però una crisi a far si che il singolo si lasci “trascinare” in un gruppo psicotico? Basta avere un momento di difficoltà perchè subito le proprie dinamiche in un gruppo terapeutico vadano a sommarsi a quelle di chi cerca di dimostrare che la cura non esiste? Ed ancora, bastano pochi elementi che apparentemente sono più in difficoltà di altri a far si che la ricerca collettiva del gruppo in questione rallenti il lavoro del gruppo stesso e si concentri, diciamo, su tematiche di interesse più del singolo in difficoltà? Non riesco a spiegarmi troppo bene, l’idea è un po’ confusa e chiedo venia di eventuali espressioni poco felici, ma è come se ci fossero cose più importanti di altre che però non sempre il gruppo terapeutico riesce a trattare in maniera omogenea. Al di là di tutte le difficoltà soggettive e della complessità oggettiva della ricerca di identità e del congfronto con l’identità dello psichiatra, mi spaventa un po’ questa idea dell’intenzionalità del gruppo nella sua distruttività. Lo so che non è un tema nuovo e so anche che difficilmente il gruppo potrebbe riuscire in questo intento, però forse è vero che quando si tenta di annullare la cura ed il terapeuta che la fa, anche chi apparentemente (e magari veramente!) non si sente di voler negare nulla però ugualmente collude per quella non certezza di sè che, appunto, fa la crisi di identità…E’ un po’ contorto, lo so, ma è estremamente complicato…

عائشةAisha

Alogon            

Inviato il: 6 Jul 2007, 07:43 PM

Al contrario direi che uno o piùperone possono fare una crisi anche profonda proprio perchè il gruppo è capace di tollerarle senza disgregarsi…è una situazione vista molte volte….

copyright domenico fargnoli

aissa            

Inviato il: 6 Jul 2007, 08:28 PM

..vista molte volta e da me anche vissuta molte volte, devo dire… Questo modo comunque di inquadrare la crisi del singolo all’interno del gruppo terapeutico, che devo dire è molto più frustrante, certo, ma anche più stimolante, è davvero interessante. Presuppone quindi una certa sanità di base del gruppo che riesce ad arginare, anche con difficoltà, la crisi del singolo… Presuppone forse anche una certa consapevolezza della propria capacità di tenere, di non credere all’incurabilità dell’altro…e magari nemmeno alla propria!

عائشةAisha

Alogon            

Inviato il: 7 Jul 2007, 12:43 PM

direi che in u n gruppo ci si può rendere conto che la malattia è crisi, qualcosa che si sviluppa in un certo tempo secondo certe dinamiche e poi, individuati i motivi, può cessare…niente incurabilità, nessuna reazione catastrofica od isterica…

copyright domenico fargnoli

clu            

Inviato il: 8 Jul 2007, 11:27 PM

Una persona all’interno del gruppo cui non è dato di parlare spesso e che non è abbastanza violenta o coraggiosa per intervenire ugualmente,mi chiedo se il terapeuta la considera in crisi o, al contrario,non la sente partecipe del lavoro di gruppo.Tante volte, nel passato, mi sentivo furiosa,trascurata e peggio di tutto,castrata. Poi gradualmente un cercare di proporre cose del lavoro collettivo,mi faceva partecipe e mi vivevo meglio il tempo passato nel gruppo ma parlare di dinamiche personali, come in verità fanno moltissimo,fin dall’inizio,quelli cui è dato parlare di più, questo non mi riesce .Cos’è che non capisco nella dinamica della cura a questo proposito?Alogon ha risposto poco tempo fa ad un’altra domanda, “ma come si fa a spiegare?” Spero che non sia anche questa della serie.

E’ vero che ascoltando si ricevono delle risposte,ma il famoso disturbo del pensiero,che è personale (ognuno ha le sue fisse), viene intaccato poco da un’azione indiretta.C’è sempre il problema del rapporto:se tu avessi un buon rapporto con me, ti farei parlare più volentieri e ti ascolterei con maggior voglia.E quello che dici sarebbe più utile per il gruppo.Ma c’è qualcosa di più profondo e immediato nell’esclusione.

Mi rendo conto di parlare stavolta, più di un blocco che di un risultato, ma il discorso mi è scaturito da una delle discusioni precedenti a proposito delle reazioni del gruppo all’ azione di singoli.

 

ORSOALLEGRO            

Inviato il: 15 Jul 2007, 11:58 AM

Reclutare le risorse……

in questo senso medicina, ricerca e prevenzione e magari gruppo hanno un tratto comune.

Domanda ad Alogon.

E se le risorse non ci sono? O ci sono sempre?

Alogon            

Inviato il: 16 Jul 2007, 09:09 AM

va specificato meglio ciò che si intende per reclutare le risorse..

copyright domenico fargnoli

Alogon            

Inviato il: 20 Jul 2007, 07:33 PM

Segnalo l’articolo di Simona Maggiorelli su Left di questa settimana (p76) in cui si fa riferimento al libro di Domenico Fargnoli ARTE SENZA MEMORIA

copyright domenico fargnoli

Guest            

Inviato il: 23 Jul 2007, 01:54 PM

Ho letto l’articolo di Simona Maggiorelli e trovo molto chiara nei contenuti la critica al surrealismo che lì si trova. Mi soffermerei però appunto sul citato libro Arte senza memoria, come spunto per azzardare alcune considerazioni. Personalmente ho letto il libro e l’ho trovato estremamente complesso, perchè tratta l’argomento arte secondo un punto di vista a me nuovo. aggiungerei poi che le varie considerazioni dell’autore si svolgono su più piani, operazione che per me è abbastanza difficile da seguire nell’insieme. Non tralascio qui di dire che ho anche una certa ignoranzariguardo il tema trattato..però forse vale la pena di fare un piccolo sforzo. Magari conviene estrarre il significato più profondo, o quello che a me è sembrato essere la novità, aldilà delle singole, materiali difficoltà. Lessi in una intervista a Guttuso una sua affermazione secondo la quale “l’artista cerca sempre, attraverso la sua opera, di somigliare il più possibile all’idea che ha di se stesso.” Ebbene, forse la novità è che si può pensare di porre l’uomo al centro dell’arte e non le sue necessità di dimostrarsi artista… il punto di vista dell’autore è interessante proprio perchè cerca, attraverso una analisi dei fatti, una idea personalissima ed originale, un proprio pensiero su cui poi lavorare e costruire.Mi sembra che la capacità dell’essere umano ad attingere nel proprio irrazionale è l’essenza stessa della creatività. Quell’irrazionale però deve essere sano, altrimenti l’arte diventa messaggio astratto, diventa assenza di contenuti se non addirittura violenza. Credo poi che questa idea di creatività non possa legarsi ad un vissuto personale di fallimenti, di idee suicide o completamente scollate dalla realtà come nel caso di molti artisiti, surrealisti o meno…. A quresto punto però vorrei chiedere com’è che una persona “decide” di essere artista? Si può stabilirlo a priori, in modo razionale? O forse è necessario il rapporto interumano per arrivare all’arte così come anche nel libro citato viene intesa? ed ancora è necessaria l’adesione ad una ideologia? o forse ogni artista ha anche il dovere di cercare un percorso personale, originale, diverso da tutti gli altri?

Alogon            

Inviato il: 23 Jul 2007, 10:52 PM

Penso che nessuno decide di essere artista…forse lo scopre più o meno casualmente vivendo dei rapporti, rispondendo a degli stimoli a volte addirittura casuali.

Per me è così io non ho deciso nulla in via ineluttabile e definitva. Anzi io potrei rinunciare a quella che comunemente viene considerata identità artistica. A volte le definizioni sono inutili fardelli.

Diciamo che spontaneamente tendo ad esprimermi con un certo linguaggio che è quello che ho appreso essere simile all’ “arte” nei banchi di scuola e nei pellegrinaggi nei musei e luoghi dove si dice che essa “arte” si trovi.

Nelle etichette mi trovo stretto come nei percorsi accademici.

Non so se questa è una forma di originalità:mi auguro comunque che lo sia.

Può darsi che per qualcuno sia importante vedere il mio lavoro anche sotto questo aspetto.

copyright domenico fargnoli

ORSOALLEGRO            

Inviato il: 8 Aug 2007, 08:43 AM

Non credete che a volte il concetto di arte e di artista sia quantomeno sopravalutato? che stia un pò perdendo di significato. Nel linguaggio (ma forse non nel sentire) comune ormai tutto è arte; e questo perchè si intende con questa parola non il frutto della creazione artistica ma il creare di per se, evitando così accuratamente di definire categorie del bello del positivo dell’apprezzabile.

Tanta arte non è che modesta “artesania” per dirla alla castigliana. Tutto questo è solo uno spunto di riflessione e non vuole chiaramente riferirsi a nessuno, tutt’altro. Anche perchè di arte vera, qui, ce n’è.

Ma se deupaperiamo di oggettive differenze tutta l’arte assisteremo solo ad una scomparsa dell’arte stessa, che è tecnica e creazione, passione e conoscenza, e, profondamente, libertà.

Fiore [omonimia di utente reg.]            

Inviato il: 9 Aug 2007, 11:27 AM

..se qualcosina ho percepito dalla lettura del testo “Arte senza memoria” (con la promessa di rivisitarlo più volte perchè i contenuti non sono certamente semplici) nell’arte sono importanti i messaggi,le immagini..quelli di vita o quelli di morte..non mi sembra poco!!

Guest            

Inviato il: 30 Sep 2008, 09:26 PM

Quante persone potete tranquillamente ritenere perfettamente guarite? La guarigione è sempre “un cugino di campagna”? O perlomeno,quanti stanno bene ?Quanti si sono cronicizzati? L’accogliere il paziente in cura secondo la creatività del terapeuta,è sempre significato di riuscita nella terapia o in quanto umano,il terapeuta stesso pùò fallire? Non mi interessano i numeri,chiaramente.Grazie..in attesa di “cortese riscontro”.

Guest            

Inviato il: 1 Oct 2008, 04:24 PM

Spiego meglio qualcosa che ho espresso con una certa brutalità: volevo dire che il terapeuta in quanto umano non può riuscire a favorire il buon fine di una terapia per vari aspetti dei quali alcuni dei quali sono di rsponsabilità del paziente. Il mio senso di speranza in ogni modo mi spinge a pensare alla quai infallibilità del terapeuta per cui,una volta che accetta un paziente in cura ,incosciamente ci sia il pensiero che questo ce la può fare.

Guest            

Inviato il: 18 Nov 2008, 09:19 PM

Si può creare u nuovo forum sul rapporto uomo-donna vista l’importanza che riveste nella teoria e nella prassi di M.Fagioli?

motobirillo67            

Inviato il: 22 Mar 2010, 03:43 PM

QUOTE (Alogon @ 30 May 2007, 11:20 AM)

Quello di come valutare i risultati di una psicoterapia è da sempre un tema quanto mai controverso.

Vorrei sapere dai lettori di questo forum cosa ne pensano in proposito. Mi astengo dal proporre inizialmente il mio punto di vista per non influenzare l’andamento della discussione….potrebbe essere importante in questo momento esprimere, senza indulgere nella descrizione di fatti, il succo della propria esperienza. C’è chi inneggia al nichilismo od al trionfalismo terapeutico con argomentazioni che vogliono persuadere. Esiste fra questi due estremi, che rischiano di essere entrambi falsi, un ambito intermedio che rappresenti il lavoro di chi, faticosamente, cerca la strada della trasformazione? Ringrazio preliminarmente tutti coloro che vorranno intervenire.

Secondo me valutare lo stadio di guarigione è veramente difficile. Dopo una fase acuta di crisi e dolorosa rivalutazione di tutta quella che è stata la mia vita fino ad oggi, sto già rientrando nella “normalità” riconcedendo valore a tutte le cose che un mese fa avrei voluto abbandonare. Risultato della psicoterapia senza dubbio, sto molto meglio ma sono guarito? Non so quanto comune sia la mia condizione e quanto un caso come il mio sia patologico ma questa consapevolezza di non aver risolto fino in fondo ed il timore di ricadere mi rendono inquieto.

Ho visto che questa discussione è un pò vecchia ma spero che qualcun’altro voglia recuperarla per cercare insieme di capire qualcosa di più rispetto a psicoterapia e guarigione.

Saluti e baci

fiore            

Inviato il: 12 May 2010, 08:35 PM

Quante persone hanno fatto una separazione affettiva dal terapeuta per cui si può dire che sono guarite? Inoltre ,se un atteggiameto delinquenziale del malato nega la curabilità,quanto è delinquenziale l’atteggiamento di un gruppo o dell’ambiente umano che circonda il malato stesso quando impedisce o procrastina la guarigione quando questa viene intuita realizzabile in un soggetto?

Alogon            

Inviato il: 13 May 2010, 11:16 AM

Bisogna che tu speciichi meglio la domanda: così è troppo generica. Cosa ti interessano delle staqtistiche? delle impressioni mie personali? Per gruppo esterno delinquenziale cosa aintendi la società, le associazioni di psichiatri?

copyright domenico fargnoli

fiore            

Inviato il: 13 May 2010, 08:45 PM

Nell’ultimo forum nel quale stai portando avanti una ricerca nuova,fai riferimento ad un artista della quale hai parlato anche ne “Gli angeli ribelli”..parli di separazione affettiva dal terapeuta,quindi è guarita!? Mi riallaccio in qualche modo al messaggio di Motobirillo e alle domande che probabilmente molti di noi si pongono :”Sto meglio,ma sono guarito? Rischio qualche altro “periodo nero”? Quali sono i pensieri o le miriadi di percezioni o sensazioni che possono far realizzare al terapeuta che il percorso di cura che ha affrontato per e con quel paziente ha avuto un “approdo” di guarigione,pur nella considerazione che la ricerca sulla identità umana dura poi tutta la vita? Non è questione di statistiche…ma di espressione di una grande realizzazione per persone che hanno sofferto ..chi è stato “gonfio di dolore” sa bene cosa questo vuol dire.Nei gruppi di cura il terapeuta affronta le dinamiche violente,ma al di fuori,la psichiatria tradizionale ,gli ambienti di lavoro,le famiglie ,la politica ,chi sa o intuisce qualcosa di nuovo,di diverso,di importante che sta dietro ad una persona che ha rapporto o lo ha avuto con una storia di cura, nel senso più ampio di SENZARAGIONE …. impazzire o paralizzare..ma se non ci riescono? La mattina,noi non sappiamo cosa e chi ci sarà dietro la nostra porta (“La perla tra le labbra”) e questo aiuta ad andare a letto la sera sapendo che una giornata dura è terminata e domani, chissà,potrebbe essere tutto diverso,migliore.E’ questo resistere,reagire,essere vivi..star meglio,in qualche modo?

Alogon            

Inviato il: 14 May 2010, 12:41 PM

Penso di sì. Penso che sia guarita anche se non entro nel merito dei fatti privati. Per me sicuramente è un risultato importante non dico come aver dipinto “Le demoiselles d’Avignon” ma per il valore che ha ….quasi Non so cosa farà domani questa persona non credo sarà esente da ogni forma di dolore ma da quella sofferenza che aveva causato la sua malattia ritengo di sì.

Potrei citare molti altri casi simili cioè di “malattia mentale” che guarisce. Dal punto di vista numerico poca cosa, qualche decina, ma sul piano della teoria un grqnde passo.

La “delinquenza” è di coloro che per gestire un piccolo potere che deriva dalla loro attività di propaganda di “false immagini”,, fanno finta che ciò che non esista, pronti peraltro ad osannare il primo cretino di turno

Un grande terapeuta ebbe a dire, qualche decennio fa, che lui casi del genere ne risolveva a centinaia.

In realtà egli ha curato anche la persona in questione che durante il suo trattamento ha fatto una gravissima crisi di cui nessuno sembra essersi accorto…..nemmeno lui anche se ha confermato, recentemente che era guarita….

Sospendo il giudizio e mi dichiaro contento per ciò che le persone che hanno avuto fiducia in me sono state in grado di ottenere.

Ciò che conta è il risultato

copyright domenico fargnoli

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