In questo libro edito a cura di John Read e Jacqui Dillon è contenuta un’intera sezione che analizza la letteratura riguardante l’uso e l’abuso degli psicofarmaci. Essi scrivono
<< Le evidenze che riguardano l’uso degli antipsicotici stanno cambiando. Per le persone che hanno una diagnosi nell’ambito dello spettro schizofrenico si stanno accumulando evidenze che i benefici del trattamento farmacologico sono stati sovrastimati e gli effetti collaterali sottostimati. Non ci sono chiare evidenze che gli antipsicotici prevengano la psicosi anche se essi sono prescritti, in ogni modo per questa supposta intenzione. Circa il 10-20 per cento di persone con difficoltà persistenti che assumono i moderni antipsicotici ne trarrà un beneficio che può essere attribuito alle droghe piuttosto che all’effetto placebo o ad un recupero spontaneo. La rilevanza clinica di questi miglioramenti è, ad essere ottimisti , incerta. L’efficacia limitata non può essere attribuita alla discontinuità della assunzione che potrebbe impedire il raggiungimento del dosaggio terapeutico poiché la terapia intramuscolare con farmaci depot, che vengono rilasciati lentamente e in quantità costante, non ha un miglior risultato. Ci sono d’altra parte crescenti evidenze che gli antipsicotici possano essere responsabili per alcuni dei problemi che comunemente sono ritenuti essere il segno o il sintomo di un sottostante processo patologico.(…) La proibizione etica [ basata sul principio deontologico che non si può non somministrare un trattamento di sicura efficacia a un paziente] decade nel senso che non può essere applicata e ci sono emergenti evidenze che il trattamento psicologico può essere efficace per le persone che rifiutano gli antipsicotici.
Il fatto poi che la schizofrenia sia una malattia degenerativa è assolutamente falso come lo è l’affermazione che le crisi che sopravvengono sono l’espressione di una progressiva perdita di funzionalità del cervello