Psichiatria

Dsm, la rivolta dei medici

NEWS_91336Articolo interessante, come documentazione storica del problema del DSM.

Interessante è la cricostanza per la quale il DSMIV fu pubblicato nel 1994. L’anno prima c’era stata in America una campagna stampa, mi ricordo una copertina del “Times” dal titolo Freud è morto, che decretava la fine della psicoanalisi freudiana naufragata sotto il peso della sua inconsistenza terapeutica, delle critiche epistemologiche di Grunbaum,Assalto_alla_Verit_pagina_1_di_69_grunbaum
documente della pubblicazione dei carteggi del padre della psicoanalisi. Tutti questi elementi concorrevano a dare della psicanalisi un’immagine molto lontana dalla agiografie edulcorate fra le quali spiccava quella di Ernst Jones e più vicina a quella di un gigantesco imbroglio sostenuto da un’intero apparato istituzionale  e ideologico.images Il DSM si inseriva tempestivamente nel vuoto lasciato dalla” morte di Freud” (morte ovviamente simbolica) che Fritz Lang fin dal 1933 aveva rappresentato come un ipnotizzatore criminale che cercava di imporre ad una intera civiltà il diktat “si prega di chiudere gli occhi”. Già Freud nel 1938 nel suo “Compendio di Psicoanalisi” aveva auspicato l’avvento dell’era farmacologica: la psichiatria organistica nel suo sviluppo a partire dagli anni 80-90 si situa in una linea di continuità con il freudismo con cui condivide l’idea di una incurabilità della malattia mentale. Le corporazioni degli psichiatri cercavano, in quegli anni,  un consenso ed una amalgama  facendo quadrato sul DSM come fosse un manifesto politico piuttosto che un un testo che derivava da approfondite e motivate riflessioni teoriche.

Attualmente il disastro del DSMV coincide con la planetaria crisi economica innescata dalle banche e dalla bolla  del  mercato immobiliare americano: come se la crisi del modello liberista si ripercuotesse sugli aspetti sovrastrutturali della società americana, in particolar modo della psichiatria, incapace  di offrire strumenti di contenimento dell’enorme  malessere sociale ed economico delle fasce di popolazione più deboli negli Usa. Le guerre ingiuste ed inique combattute dagli  States su scala planetaria, in difesa dei loro interessi legati al controllo delle fonti energetiche, hanno indebolito sul piano non solo dell’economia  ma anche dell’immagine il paese. Gli psicofarmaci, come si è scoperto negli ultimi decenni, non solo non possono essere un ‘intervento a lungo termine sulla malattia mentale senza provocare danni iatrogeni rilevanti ma  neppure possono essere somministrati  in modo irresponsabile  ai bambini piccolissimi  senza alterare i processi di sviluppo ed incidere pesantemente sulla realtà psichica di questi ultimi costituendo il punto di innesco di veri e propri episodi psicotici.

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Allen Frances, classe 1942, è un pezzo di storia della psichiatria. Ha presieduto i lavori del comitato scientifico di quel l’American Psychiatric Association (Apa) che, nel 1994, partorì la quarta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Dsm-IV): 886 pagine, 297 disturbi. Oggi, capelli bianchi e abbronzatura alla Robert Redford, Frances è un professore emerito che vorrebbe godersi la pensione in California. Invece, è reduce da un giro di conferenze, anche in Italia, dal titolo «Usi e abusi della diagnosi in psichiatria». Oggetto della sua preoccupazione, e delle sue critiche severe, sono i criteri proposti (li trovate su http://www.dsm5.org) per la quinta edizione del Dsm, la cui uscita è prevista nel maggio 2013. Del Dsm-5 (da romana la numerazione è diventata araba, quindi Dsm-5), ha parlato su queste pagine Gilberto Corbellini più di un anno fa («Disturbi mentali, il catalogo è questo», 22 marzo 2010), raccontandone costi e ricavi ed elencando le principali novità: maggior attenzione agli aspetti dimensionali della diagnosi (cioè non solo la presenza/assenza di un sintomo o di un disturbo, ma anche la sua intensità), semplificazione di diagnosi “complesse” quali schizofrenia e autismo, riduzione del numero dei disturbi di personalità, revisione del quadro nosografico delle “dipendenze”, con introduzione di nuove dipendenze comportamentali, per esempio da internet.
Ma cosa preoccupa Frances, al punto da invitare l’intera comunità dei professionisti della salute mentale a firmare una petizione (www.ipetitions.com/petition/Dsm5) e perorare una users’revolt, una ribellione degli utenti del Dsm? Petizione a cui l’Apa, proprio in questi giorni, ha fornito risposte tese più ad appiattire i contrasti che ad affrontare le critiche, attraverso quelle che lo stesso Frances ha definito «formule bizantine» che sostanzialmente ignorano il problema.
Un punto di partenza per descrivere questa rivolta fantapsichiatrica potrebbe essere il mancato coinvolgimento degli psicologi come comunità professionale nella stesura del Dsm-5. La marginalizzazione degli psicologi è un problema delicato dato che questi non solo applicano il Dsm nella pratica clinica, ma conducono anche ricerche sulla base delle sue categorie diagnostiche. Le critiche contenute nella petizione anti Dsm-5 sono infatti sottoscritte da un lungo elenco di divisions dell’American Psychological Association. Poco prima si era mossa in modo simile la British Psychological Society. L’anno scorso, un autorevole cartello di esperti (Shedler, Beck, Fonagy, Gabbard, Gunderson, Kernberg, Michels e Westen) aveva lanciato un allarme sul futuro diagnostico dei disturbi di personalità, una delle diagnosi più importanti nel campo della salute mentale (basti pensare al loro ruolo in ambito forense). In particolare suscitò scalpore, tra noi addetti ai lavori, l’esclusione dal Manuale di alcuni importanti disturbi di personalità, quali il paranoide, lo schizoide, l’istrionico, il dipendente e soprattutto il narcisistico. Tanto che, nel giugno 2011, l’American Psychiatric Association si sentì costretta a reinserire tra le diagnosi almeno quest’ultimo, accogliendo così in parte le osservazioni dei molti clinici che vedevano nella sua eliminazione l’affacciarsi di una pericolosa scollatura tra la realtà clinica e le categorie diagnostiche, oltre che la preoccupante eliminazione di tutte le manifestazioni psicopatologiche non immediatamente riducibili a meccanismi di tipo biologico. Ma il dissenso era ormai diffuso e, proprio dalle pagine dell’American Journal of Psychiatry, questi clinici internazionalmente noti definivano la diagnostica di personalità targata Dsm-5 «un agglomerato poco maneggevole di modelli disparati e male assortiti, che rischia di trovare pochi clinici disposti ad avere la pazienza e la costanza di farne effettivamente uso nella loro pratica». Anche in Italia si è mosso qualcosa: un gruppo di clinici e ricercatori di diversa formazione (Lingiardi, Ammaniti, Dazzi, Del Corno, Liotti, Maffei, Mancini, Migone, Rossi Monti, Semerari, Zennaro) ha voluto inviare all’Apa una lettera con le proprie perplessità sul tema. E anche l’ultima Newsletter dell’Ordine degli psicologi del Lazio presenta un analogo documento critico.
Ricordo che il Dsm è probabilmente il sistema diagnostico in psichiatria più usato al mondo. Se i suoi meriti sono noti, primo tra tutti il tentativo di creare una lingua comune e principi condivisi per descrivere i disturbi mentali, i punti di debolezza dell’imminente Dsm-5 sono sotto i riflettori. Proviamo a riassumerli: 1. «abbassamento delle soglie diagnostiche» col conseguente accresciuto rischio di falsi positivi (viene diagnosticato un disturbo mentale che non c’è) e relativa medicalizzazione (psicofarmaci compresi) di soggetti non clinici; 2. «inserimento di nuove categorie diagnostiche» dubbie, come la «sindrome psicotica attenuata», che sembra peraltro avere un basso potere predittivo rispetto allo sviluppo successivo di una sindrome psicotica vera e propria, e il «disturbo neurocognitivo lieve», diagnosticabile nella maggior parte degli anziani; oppure l’eliminazione del precedente criterio che impedisce di far diagnosi di «depressione maggiore» in presenza di un lutto (per cui sarà più facile diagnosticare come sindromi depressive, e quindi medicalizzare, alcune reazioni di lutto normali); 3. «minore attenzione al peso dei fattori psicologici, sociali e culturali» nella genesi e nell’espressione dei disturbi mentali; 4. «eccessiva polarizzazione medico-organicista», dal punto di vista sia teorico sia clinico

Unknown

Secondo Gilberto Corbellini nel DSMV verrà abolita la dizione “schizofrenia paranoide”. Con il gruppo di psichiatri “Progetto psichiatria” abbiamo ultimato in questi giorni un articolo “Breivik e la diagnosi di schizofrenia paranoide” che secondo noi non solo esiste ma ha caratteristiche peculiari che la distinguono dalle altre forme della classica quadripartizione di Eugene Bleuler.

DSM-5

Da Il Sole 24 Ore del 22-03-2010, di Gilberto Corbellini

Articolo: Disturbi mentali, il catalogo è questo

Verso il nuovo manuale. L’associazione psichiatrica americana ha investito 25 milioni di dollari coinvolgendo 600 specialisti per ridisegnare la mappa delle patologie. Siamo vicini al varo finale. L’uscita prevista nel 2013

USA. Dopo undici anni di discussioni e un certo numero di falsi annunci dell’imminente pubblicazione, finalmente la fumata bianca.
Habemus DSM-V. o, quantomeno, si sa verso quali modifiche sono orientati i componenti della task force e dei 13 gruppi che lavorano, coordinati da David Kupfer e finanziati dalla American Association of Psychiatry (Apa), sulle categorie fondamentali delle diagnosi psichiatriche. Il 10 febbraio l’Apa ha pubblicato un draft del DSM-V richiedendo commenti e critiche da parte di tutti gli interessati entro il 20 aprile prossimo. Quindi nei prossimi tre anni, saranno organizzate tre fasi cliniche per testare la validità delle revisioni proposte e l’edizione definitiva sarà acquistabile nel maggio del 2013.
Il DSM o Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, è il più diffuso e influente testo di psichiatria nel mondo occidentale. Sulla base di questo strumento, edito dall’Apa, si battezzano e si classificano le malattie mentali, ma soprattutto gli psichiatri e i neurologi diagnosticano e trattano i loro pazienti. Inoltre, le case farmaceutiche progettano e finanziano le sperimentazioni cliniche dei farmaci, e gli enti di ricerca pubblici decidono quali ricerche finanziare.

Ultimo, ma non per importanza, i sistemi sanitari o le compagnie di assicurazione pagano le cure che sono indicate come appropriate. Rappresentando la larghissima diffusione del DSM una fonte di incalcolabile guadagno economico per l’Apa, si comprende l’ingente investimento di 25 milioni di dollari per effettuare la revisione, a cui hanno concorso 600 psichiatri, e anche la decisione di pubblicare un’edizione che probabilmente lascerà insoddisfatti molti, ma che lancia nondimeno una serie di segnali inequivocabili sul cammino che sta percorrendo la psichiatria.
La storia del DSM, dall’I al V, è uno dei capitoli più affascinanti della storia della psichiatria, anzi della storia della medicina del Novecento in generale. Non solo perché è intellettualmente intrigante analizzare i ragionamenti che hanno portato dalle 106 malattie mentali descritte nelle 106 pagine del DSM-1 del 1952 ai 293 disturbi descritti in 886 pagine del DSM-IV del 1994. Ma per il fatto che si tratta di una finestra storica unica sulle difficoltà e i problemi, sia teorici sia pratici, che hanno incontrato i tentativi di fornire alla psichiatria una base scientifica. Cioè una metodologia diagnostica basata sull’eziologia del disturbo clinicamente rilevante, come è nel caso delle definizioni di malattia sviluppate dopo l’avvento della medicina sperimentale o scientifica. […]

L’unico trattamento efficace per superare una condizione di precarietà di natura epistemologica di cui soffre la psichiatria forse sarebbe un salutare pluralismo epistemologico, ispirato però da una rigorosa concezione naturalistica della malattia mentale. Gli avanzamenti delle neuroscienze stanno muovendo in questa direzione, consentendo di tornare a sfruttare euristicamente le teorie per ricondurre i disturbi del comportamento a quello che sono. Cioè alterazioni del funzionamento del cervello.
Dal DSM-IV al DSM-V
– Eliminazione di una serie di sottotipi di schizofrenia (paranoide, disorganizzata, catatonica, eccetera) e maggiore attenzione ai sintomi comuni come allucinazioni e disturbi del pensiero, nonché alla durata e gravità di tali sintomi, nella diagnosi dei disturbi psicotici.
– Introduzione di una diagnosi di depressione ansiosa mista.
– Riduzione da 12 a 5 dei disturbi della personalità. Sono rimasti: borderline, schizotipica, evitante, ossessivo-compulsiva e psicopatica/antisociale.
– Introduzione della categoria di sindromi di rischio, in modo da consentire agli psichiatri di identificare gli stadi precoci di gravi disturbi mentali, come le demenze o le psicosi. […]
– Introduzione della singola categoria diagnostica dei “disturbi autistici” in sostituzione delle attuali diagnosi alquanto indefinite di malattia autistica, malattia di Asperger, disturbo disintegrativo dell’infanzia, e disturbo pervasivo dello sviluppo.
– Introduzione della nuova categoria dei disturbi da dipendenza e simili, in sostituzione della categoria di dipendenza e abuso di sostante.
Questa opzione consente di differenziare il comportamento compulsivo di ricerca della droga dovuto alla dipendenza dalle risposte normali di tolleranzae astinenza.
– Introduzione della categoria delle dipendenze comportamentali, che al momento include solo il gioco d’azzardo, ma dove alcuni vorrebbero includere la dipendenza da internet.
– Aggiunta di una valutazione dimensionale della diagnosi, rispetto al criterio basato solo sulla presenza o assenza di un sintomo, per consentire agli psichiatri di valutare la gravità dei sintomi.

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Psichiatria

Psichiatria preventiva

Gli articoli di Allen Frances, interessanti come testimonianza del clima in cui vive la psichiatria americana, ovviamente non vanno presi per oro colato ,ma vanno letti in senso critico. La discussione potrebbe vertere su cosa si debba intendere per prevenzione che non credo si possa ridurre ad uno screening diagnostico di tipo descrittivo. L’eliminazione del DSMIV  e V potrebbe essere una misura preventiva importante perché costringerebbe a sviluppare strategie diagnostiche più adeguate. Non è vero quello che dice Allen Frances in un altro suo articolo che la pericolosità dei Mass Murderers non può essere prevista. Non può essere prevista con il DSM ma forse se noi ricorriamo ad una valutazione psicopatologica potremmo essere in grado di  individuare dei soggetti a rischio. In un contesto  socio culturale in cui non esiste una possibilità diagnostica per malattie gravi ma latenti  come la schizofrenia  i comportamenti psicotici prendono delle strade strane e si amplificano anche per l’effetto di fenomeni imitativi come testimonia l’epidemia di mass shooting negli States che si può seguire nei suoi allarmanti risvolti nei media anche in questi giorni.

Edition: U.S.
 psicofarmaci

Preventive Psychiatry Can Be Bad for Our Health

Posted: 01/19/2012 3:58 pm
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Preventive psychiatry may someday be of significant service in reducing the burden of human suffering — but only if it can be done really well. And the sad truth is that we don’t yet have the necessary tools. More people will be harmed than helped if psychiatry stretches itself prematurely to do what is currently well beyond its reach. That’s what is so scary about the unrealistic prevention ambitions of DSM-5, the new manual of mental disorders now in preparation and set to become official in 2013. DSM-5 proposes a radical redefinition of the boundaries of psychiatry, giving it the impossible role of identifying and treating mental disorders in their nascent stages before they have fully declared themselves. Tens of millions of people now deemed normal would suddenly be relabeled mentally disordered and subjected to stigma and considerable risks consequent to inappropriate treatment.

The model fueling the premature DSM-5 hopes for preventive psychiatry has been borrowed from general medicine. In recent decades, the threshold for defining illness has been progressively lowered. Medication is now given for blood pressures or blood sugars, for cholesterols or for levels of bone density that were previously considered well within normal limits. Preventive tests for breast and prostate cancer have been used widely for early detection leading to proactive surgical interventions.

It is ironic that psychiatry wants to jump on this bandwagon just when some of its seeming promise is fading — many previously-ballyhooed preventive medical and surgical procedures are losing their luster. As good as early intervention sounds in theory, in practice the gains afforded by preventive medication often don’t compensate for side effects. And preventive testing may result in more complications than benefits. The once highly-recommended routine testing for early prostate cancer has been abandoned because it is useless in saving lives and promotes unnecessarily-invasive treatments. And routine mammogram testing is now being restricted to a much narrower age range and offered at much less frequent intervals. If the blush is somewhat off preventive medicine, how much more caution is warranted in psychiatry, where the preventive efforts are much less feasible and the possible harm often greater?

All this said, there is no denying the seductive appeal and optimism generated by the prevention model. The storyline is that we can and should identify people destined to have mental disorders early in their course — before symptoms can cause grave distress or impairment. Then, we can intervene early with effective measures that may completely prevent the later development of their symptoms or at least reduce the total lifetime burden of illness. Once people actually get clearly sick, so the argument goes, their brains may be further damaged by the illness, their lives ruined by the secondary effects of having symptoms, and treatments may become less effective. So the secret is to strike before the iron is hot. Preventing symptoms early sounds a lot easier and more efficient than curing them later.

DSM-5 has suggested a number of new disorders intended to initiate the brave new world of early identification and preventive psychiatry. Psychosis risk is the putative prodrome of schizophrenia, minor neurocognitive is the prelude of dementia,and mixed anxiety/depression presages more clearly defined mood and anxiety disorders. DSM-5 would also dramatically reduce the thresholds of existing disorders, turning just two weeks of grief into major depression, normal distractability into attention deficit and the worries of every life into generalized anxiety disorder.

It simply won’t work, in my opinion. Three unavoidable preconditions must all be met before it will make any sense to so dramatically lower diagnostic thresholds in the service of preventive psychiatry. None of these can remotely be achieved, now or for the foreseeable future. First, the patients identified as prodromal must be at considerable risk of actually going on to develop the full-blown disorder. Predicting this precisely enough is currently completely impossible. For every new true “patient” identified correctly as really being at risk, there will be very many who will not progress and would do just fine if instead left to their own devices. Secondly, the preventive interventions must be effective. This has not been documented for any of the DSM 5 candidates. Antipsychotics given before disease onset don’t prevent schizophrenia, cholinesterase inhibitors don’t prevent dementia and time and placebo effect are by themselves so effective in curing many milder conditions that nothing else is necessary. Finally, the prevention must be safe — clearly not the case when most of the currently available real world interventions will consist of medications that have appreciable side effects and risky complications.

The risk/benefit ratio for treating the traditional and clearcut psychiatric disorders is extremely favorable. Most patients experience appreciable benefit and some are totally cured — so the risks that accompany any effective treatment are well worth taking. And once a psychiatric disorder does clearly declare itself, every effort should be made to treat it promptly, thoroughly and for however long it takes. The longer a disorder is allowed to fester or linger, the more impairing it is and more difficult to treat.

But the risk/benefit ratio for the preventive treatment of the proposed pseudo-patients defined by the new DSM-5 proposals tilts badly in the opposite direction — the risks remain just as high and are certainly not worth taking because the benefits are so minimal. The way things add up now is therefore crystal clear. All the possible benefits of preventive psychiatry are unproven and theoretical and off somewhere in the distant future. In contrast, the grave risks are already with us — children are currently getting way too much harmful medication given carelessly for very questionable indications.

And the risk/benefit ratio looks even worse when we consider who will be doing most of the preventive treatment of the new conditions suggested in DSM-5. Recent CDC statistics show that the overwhelming majority of prescriptions for psychiatric drugs are not written by psychiatrists and that most people taking psychotropic medication are never seen by any mental health professional. So although it would be psychiatry introducing the new DSM-5 diagnoses to be used in preventive psychiatry, it will be non-psychiatric physicians who will be assessing most of the patients and providing most of the treatment. Their decisions usually follow 7-minute visits and often reflect only limited training in psychiatric diagnosis and a casual acquaintance with the proper use of psychiatric medicine. Preventive psychiatry is a bad idea in the best of hands, it can be a menace in the worst — an additional excuse for furthering the current practice of wanton overmedication.

Will preventive treatment at least be unsullied by crass commercial interests? Hell no. I know the people preparing DSM-5 and have complete confidence in their sincerity — they are suggesting what I consider to be dangerous changes in the diagnostic system, but for the best intentioned reasons having nothing to do with shilling for drug companies. But the purity of their intentions won’t stop Big Pharma from licking its chops and aggressively exploiting the vast new markets opened by DSM-5. There are always many more potential customers with very mild illness (or no illness at all, suffering from just plain human unhappiness) than there are people with clearcut psychiatric disorders. My last piece warned that our country is already plagued by loose overdiagnosis and careless overtreatment. This has been tirelessly driven by ubiquitous drug company marketing — peddling psychiatric ills in order to help sell their overly-hyped and overpriced pills. Everyday distress transformed into mental disorder is a marketing dream come true.

What is the bottom line? While preventive psychiatry may eventually be the next great advance in our field, it is at least a decade away (and perhaps several decades). We will first need to develop accurate biological tests that require a much deeper understanding of mental disorder than is currently possible and also preventive treatments that are effective and safe. Because the premature new diagnoses introduced by DSM-5 would all cause more harm than good, they should be dropped before the manual becomes official. Preventive psychiatry is the wave of the future, but would be the bane of the present.

Allen Frances is a professor emeritus at Duke University and was the chairman of the DSM-IV task force.

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