Psichiatria

“L’Unità” di Matteo Fago non piace ai basagliani, continuatori del “pensiero” di Foucault

UnknownL’articolo di Cipriano “Povero Gramsci”  non vale un commento essendo l’espressione di un “deficit di intelligenza o di comprensione” che dir si  voglia. Ovviamente ciascuno ha il diritto di difendere le proprie idee ma forse sarebbe necessario informarsi  e leggere. Chiaramente Cipriano non ha letto  nè Lombroso nè tantomeno Fagioli. Giorgio Bignami  gioca la carta della “chimera” e della battuta ad effetto: ovviamente la vera chimera è il” basaglismo” dei” basagliati” ( marxismo e filosofia di Heidegger tramite Sartre e Foucault ). Marco Cavallo ( simbolo della liberazione dal manicomio) era alla testa del Mad Pride a Torino, alla testa di coloro che sono orgogliosi di essere pazzi e non vogliono  essere curati. La pazzia sarebbe dentro ciascuno di noi e sarebbe una violenza volerla “curare”. I “matti” devono essere lasciati liberi di essere come sono.  Sono i “curati” a dover insegnare qualcosa ai “curanti”. Auguri ma soprattutto “Povero Basaglia”….e poveri malati.

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Il suicidio di un malato di mente potrebbe essere  un atto di libertà.  Anders Breivik non sarebbe uno schizofrenico paranoide per Peppe dell’Acqua  ma solo una persona che ha idee politiche destrorse.

L’Unità di Cancrini e Fagioli

29 dicembre 2013

di Giorgio Bignami.

Peppe, riferendomi alla tua condivisibilissima indignazione dell’altro giorno, a proposito dell’attacco fagiolino a Basaglia su L’Unità del 17 dicembre 2013 (leggi l’articolo), e la puntuale riflessione di Rovatti, di certo ti avrà “consolato” il successivo articolo di Cancrini del 19 (vedi a fianco) “Basaglia oltre lo stesso Basaglia”: incipit in toni da marcia trionfale a favore di Basaglia;  ma poi si scopre che è una marcia funebre, per il 110 e lode ai precetti per modifiche e aggiornamenti secondo i dogmi fagiolini, come da articolo di De Simone.

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Chimera :mostro con due teste

Devo confessarti che non sono riuscito a indignarmi, tanto la cosa mi è parsa incredibile. Dall’origine dell’uomo in poi sono stati inventati tanti tipi di chimere, sino a quelle non più fantastiche ma reali che oggi si producono con l’ingegneria genetica: ma una chimera con i piedi di  Basaglia e la testa di Fagioli non sarei mai stato capace di immaginarmela. Insomma, come al solito, la réalitédépasse la fiction.

Il problema di Bignami è lo stesso che ha  Cancrini: entrambi non hanno la “testa” di Fagioli.

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Arte, Psichiatria

Secondo “Repubblica” siamo tutti schizofrenici

Articolo da leggere attentamente per comprendere quanto dissociazione e malafede ci possa essere in persone cosiddette normali od in scienziati che inventano esperimenti schizofrenici.Schermata 2013-12-30 a 12.49.57

 

Repubblica 30.12.13
Siamo tutti dualisti
La scissione tra mente e corpo che ispira l’arte
Studi recenti hanno dimostrato alcune caratteristiche innate della percezione umana e come queste influenzano la sensibilità estetica
di Paolo Legrenzi

Come va? – chiedo a un amico che soffre di mal di schiena. Beh – mi dice – la schiena è a posto, ma il mio stato d’animo… La risposta presuppone una sorta di dualismo. Ci sono due cose: lo stato dell’animo e quello del corpo. Possono influenzarsi a vicenda: quando soffro di mal di denti, il mio umore non è alle stelle. Altre volte sembrano andare ciascuna per conto proprio, come nel caso dell’amico. I filosofi hanno dibattuto a lungo la questione. Ora sono scesi in campo anche gli scienziati utilizzando la loro metodologia preferita, e cioè l’esperimento.
Due psicologi di Bristol, Hood e Gjersoe, e uno di Yale, Bloom, hanno inventato un metodo ingegnoso per capire se i bambini – prima d’aver fatto propri, da adulti, un credo religioso o filosofico – siano o non siano dualisti. Si sono serviti di un’apparecchiatura composta di due scatole identiche, appaiate. Chiamiamole la scatola 1 e la scatola 2. All’inizio i bambini vedono che le due scatole sono vuote. In seguito si mette nella scatola 1 un blocco di legno verde, la si chiude, e si preme il pulsante di avvio di una presunta procedura di duplicazione. Segue un intervallo fatto di luci intermittenti e di suoni pseudo-tecnologici e, dopo una decina di secondi, nella scatola 2 appare un blocco di legno identico a quello messo nella scatola 1. La macchina non è ovviamente capace di duplicare gli oggetti. Si tratta di un trucco ben costruito, basato – come tutti gli inganni di questo tipo – sui modi in cui funziona l’attenzione delle persone. Gli adulti non cadono nell’inganno. I bambini, invece, sì. E se si chiede loro che cosa è successo, rispondono che la macchina ha costruito un secondo blocco di legno identico al primo (in futuro, quando saranno diffuse le nuove stampatrici in 3D, ciò sarà meno stupefacente).
La stessa procedura si ripete più volte, con giocattoli e animali di pezza, in modo da rendere credibile la capacità della macchina di duplicare gli oggetti. Infine, nella scatola 1 si mette un criceto vivo e si spiega ai bambini che l’animaletto ha un cuore blu, ha ingoiato una biglia e si è rotto un dentino. Poi i bambini giocano con il criceto, gli mostrano un disegno appena fatto, dicono il loro nome, e raccontano alcune storie. A questo punto si procede con le consuete operazioni di duplicazione.Ecco apparire, nella scatola 2, un criceto identico al primo! Si interrogano i bambini circa le proprietà del corpo del nuovo criceto: «Ha anche lui una biglia in pancia? il cuore blu? il dentino rotto? », e della sua mente: «Si ricorda anche lui i giochi e le storie? Sa il tuo nome? ». Quasi tutti i bambini ritengono che la macchina abbia duplicato le proprietà del corpo del criceto. Meno della metà ritiene che abbia duplicato anche i suoi ricordi e le sue conoscenze.
Questi risultati, pubblicati da pocosulla rivista Cognition, confermano per la prima volta in modo diretto, quel che si poteva supporre sulla base della tendenza dei bambini, anche molto piccoli, ad attribuire emozioni e capacità mentali non solo alle persone, ma anche a figure geometriche, per esempio quadrati e triangoli in movimento: “il quadrato insegue il triangolo che cerca di fuggire”. E non si tratta di qualcosa che è stato appreso guardando cartoni animati o fumetti: lo fanno anche i bambini allevati in culture in cui non ci sono queste forme di rappresentazione grafica, come nelle isole Figi.
Noi siamo dualisti nati. E continuiamo, anche da grandi, a essere dualisti. Non solo nel corso della vita quotidiana, quando parliamo con gli altri, ma anche nei film di fantascienza. Forse la più famosa storia basata su duplicazioni èBlade Runner(1982) di Ridley Scott, dove si narra di un mondo popolato da robot. Il protagonista è un poliziotto, Rick, che ha il compito d’eliminare quattro replicanti ribelli, perfetti duplicati di corpi umani. E tuttavia, con il test della memoria, proprio come nel caso dei criceti, i poliziotti riescono a identificare i ribelli. Rick scopre così che Rachael è una replicante, ma questo non gli impedisce di innamorarsi perdutamente di lei.
La trama di Blade Runner si basa sul presupposto che i contenuti mentali non siano perfettamente duplicabili quando costruiamo dei robot. D’altra parte, se i replicanti fossero veramente indistinguibili dagli umani, la storia perderebbe ogni senso. Dello stesso meccanismo si è servita l’arte contemporanea nel trasformare oggetti quotidiani in opere d’arte. Marcel Duchamp prende un orinatoio di porcellana e lo firma, trasformandolo così in un’opera d’arte oggi famosa. Dopo che Duchamp ha inventato la sua replica, non se ne possono fare altre. Se chiunque copiasse il suo orinatoio, quello sarebbe un fac-simile. Gli orinatoi sono tutti uguali come oggetti fisici, ma solo quello di Duchamp incorpora l’intenzione mentale di chi ha avuto per primo l’idea di farne un’opera unica. L’intenzione può anche produrre multipli, come fece Piero Manzoni il 21 maggio 1961, sigillando le proprie feci in 50 barattoli di conserva. Ma tutti i 50 barattoli erano il prodotto di un’idea originale (l’esemplare 18 è stato venduto a Milano sei anni fa per 124 mila euro).
L’arte si avvale del nostro vivere, fin da bambini, in un mondo caratterizzato da un dualismo tra mente e corpo che non è solo la pasta di cui siamo fatti, ma che proiettiamo anche negli altri, persino negli oggetti, dando loro un’anima.

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Psichiatria

Schizofrenia, infermità mentale e imputabilità. Cura o condanna?

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Psichiatria e giustizia alla luce degli sviluppi della dottrina giurisprudenziale in tema di capacità d’intendere e di volere. Se ne discute a Roma l’11 e il 25 ottobre.

 


Federico Tulli
giovedì 10 ottobre 2013 21:17

Fare diagnosi in ambito psichiatrico-forense è un processo estremamente complesso perché spesso è assai complicato distinguere un comportamento criminale da un’azione correlata a una malattia mentale. Il primo deve essere sottoposto a processo, giudicato ed eventualmente punito o riabilitato, mentre la patologia, ovviamente, necessita di diagnosi e cura, non certo di punizione. Valutare unicamente la capacità di intendere e di volere della persona al momento dell’atto è sicuramente insufficiente alla comprensione e valutazione dello stato mentale di chi ha commesso il reato.

Hanno riaperto questo annoso dibattito i più noti casi di cronaca degli ultimi anni: dal delitto di Cogne a quello di Novi Ligure, a quello più recente del pluriomicida di Milano, l’uomo originario del Ghana che a maggio 2013 ha ucciso quattro persone incontrate casualmente per strada, a colpi di piccone. Oppure il caso di Anders Breivik in Norvegia, solo per citarne alcuni. A ciò si aggiunge la dialettica che si è sviluppata da qualche anno a questa parte, in Italia, intorno alla legge che dispone la chiusura entro febbraio 2014 degli Ospedali psichiatrici giudiziari. Strutture nelle quali è detenuto chi ha violato la legge ed è stato ritenuto incapace di intendere e volere al momento del reato. Persone affette da patologie di diversa gravità, che pertanto non vengono spedite in carcere ma in strutture di contenzione deputate alla cura. Ma dove di fatto la contenzione prevale sulla terapia.

Riflettere su concetti quali la responsabilità, l’imputabilità e gli aspetti diagnostici è un punto cardine per addentrarsi in questo campo. Al fine di studiare e approfondire queste tematiche, a partire da una prospettiva multidisciplinare, la Cooperativa sociale di psicoterapia medica ha organizzato con la Scuola medica ospedaliera della Regione Lazio, a Roma, una due giorni dal titolo “Cura o condanna? Possibilità diagnostiche e limiti nella psichiatria forense” (11 e 25 ottobre). Un incontro per addetti ai lavori che mette a confronto esperti in varie discipline, psichiatri, psicoerapeuti, criminologi e magistrati, ma con notevoli implicazioni dal punto di vista sociale e quindi di interesse pubblico.

A partire dalla centralità del proprio scopo associativo, che consiste nella formazione in psicoterapia (peraltro soggetta all’obbligo di aggiornamento periodico tramite eventi come questo) e nella prevenzione della malattia mentale, la Cooperativa sociale di psicoterapia medica, come spiegano gli organizzatori a Babylon Post, intende in questo modo «trasformare l’obbligo in un’occasione vera di incontro di formazione, di dibattito, di dialettica su alcuni tematiche fondamentali».

La giurisprudenza si fonda sull’idea del giudizio e della punizione. La psichiatria, su diagnosi e cura. Due impostazioni totalmente diverse costrette a intersecarsi quando un giudice nomina un perito che gli spieghi se il presunto reo era capace di intendere e volere al momento del crimine. Il tema di fondo su cui si muove l’incontro promosso dalla Cooperativa sociale di psicoterapia medica è questo: «Se si perde l’idea della diagnosi e della cura, si finisce per distinguere le persone in buoni e cattivi. Oppure ancora peggio in Bene e Male. Il giudizio si connota quindi di una deriva religiosa». Nel concreto questo accade spesso.
«I periti, in virtù del fatto che la psichiatria ha perso la capacità di fare vere diagnosi, oggi arrivano alla conclusione – pur descrivendo benissimo i sintomi – non di malattia ma di un generico disturbo di personalità. Che è una cosa diversa dalla malattia. Nel senso che non è malattia perché c’è l’idea che quella persona è fatta così. Al contrario, è certo che quando ci sono crimini efferati, i responsabili sono malati. Perché tra l’altro in azioni del genere non c’è mai il movente oppure c’è un movente che sotto riconosce un’idea delirante». Appunto Cogne, Novi Ligure, Milano, Utoya.

«Come medici e anche come psicologi clinici la diagnosi è estremamente importante. Ecco perché nel corso dell’incontro ripercorriamo la storia della psichiatria che è nata nel 18esimo secolo con Philippe Pinel che per primo evidenziò la distinzione tra malati e delinquenti, quindi tra malattia e sanità mentale». Prima di allora i luoghi di reclusione in cui finivano i reietti della società erano molto simili alle carceri italiane di oggi: un ricettacolo di sociopatici, malati, delinquenti, tossicodipendenti.
Questa diversificazione abbastanza semplice di Pinel ha permesso successivamente a Emil Kraepelin di redigere una efficace distinzione nosografica fino ad arrivare a Eugene Bleuler che nel 1913 ha coniato il termine schizofrenia. A un certo punto però è come se fosse diminuita la capacità di cogliere l’importanza della diagnosi, di distinguere sempre meglio ciò che è sano da ciò che è malato. « Gran parte della colpa va al basaglismo e all’antipsichitria, parte alla psicoanalisi, parte alla psichiatria organicista che non avendo mai trovato la lesione organica arriva a dire che siamo tutti un po’ malati». “Che siamo fatti così”.

Federico Tulli

***

Qui di seguito l’abstract della relazione dello psichiatra Domenico Fargnoli che venerdì 11 ottobre parlerà della diagnosi di schizofrenia riannodando i fili dei capisaldi della psichiatria. 

Schizofrenia, imputabilità ed infermità mentale
Psichiatria e giustizia alla luce degli sviluppi della dottrina giurisprudenziale in tema di capacità d’intendere e di volere

Domenico Fargnoli

Abstract L’autore ripercorre anche dal punto di vista storico la contrapposizione fra due modelli alternativi di approccio alla malattia mentale: quello moralistico punitivo tipico della magistratura e quello comprensivo terapeutico che dovrebbe essere proprio della psichiatria. Di fatto il modello moralistico punitivo, nonostante gli sviluppi della psichiatria moderna, è di gran lunga quello prevalente sia come pratica sociale dell’internamento dei malati di mente nelle carceri sia come ideologia (che risente della filosofia di Kant e della psicoanalisi), la quale subordina il criterio dell’imputabilità penale alla capacità di intendere e di volere.
La categoria giuridica dell’infermità è diventata inoltre funzionale alla negazione della malattia mentale e di ogni criterio nosografico quale si riscontra in pronunciamenti della Corte di Cassazione. Dal canto suo la psichiatria adottando i criteri diagnostici del DSMIV e V con il termine disturbo o disorder rinuncia ad ogni pretesa di chiarimento eziopatogenetico trasformando il processo diagnostico in un esercizio camaleontico in subordine alle aspettative della magistratura.
L’autore reinterpreta alle luce delle più recenti ricerche sulla psicopatologia della schizofrenia e sulla percezione delirante rese possibili dalla teoria di Massimo Fagioli, il famoso delitto di Cogne.
Nuove interpretazioni possono fornire una chiave di accesso alla comprensione della criminogenesi dell’omicidio in questione.

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Psichiatria

Psichiatri che vivono in un altro mondo : violenza, “rimozione” e patologia mentale

arancia-meccanica A proposito di psichiatri che vivono in un altro mondo: un adolescente che dà venti coltellate e brucia viva una sua coetanea non è malato di mente in quanto sarebbe in grado di” intendere e di volere”.“Solo il 5% delle persone imputate di omicidio sono dichiarate inferme di mente, il restante 95% sono capaci di intendere e volere ed esprimono in maniera prevaricante e prepotente la loro sopraffazione o intolleranza nel non riuscire a possedere il proprio ‘oggetto’ di amore, aggravate da aspetti di insensibilità nei confronti dell’altro, di ipocrisia e di menzogna”
Claudio Mencacci, presidente della società italiana di psichiatria che sostiene questa tesi dovrebbe spiegarci cosa significa “capacità di intendere e di volere”. Si può essere gravemente ammalati pur mantenendo un rapporto razionale e lucido con la realtà: esistono numerosi studi di psicopatologia che avvalorano questo punto di vista. Di tutta la ricerca attuale nel campo della psicopatologia della schizofrenia ( Matussek, Sass o Parnas per fare alcuni nomi) non c’è traccia in questa esternazione del presidente della SIP il quale sembra essere rimasto a Kurt Schneider ed alla differenziazione fra psicopatie ( varianti abnormi della normalità da non considerare malattie), e le psicosi o infermità mentali su base organica. La” violenza” non sarebbe legata alla malattia mentale ma alla psicopatia da cui sarebbero affetti individui “sani di mente” << Va dunque sfatata la convinzione – sostiene il presidente della Società Italiana di Psichiatria – che vi sia necessariamente una connessione tra malattia mentale e violenza. Attribuire automaticamente gli atti di violenza a persone con disturbi mentali porta ancor più a stigmatizzare queste patologie e coloro che realmente ne soffrono e che si curano>>
Le personalità cosiddette antisociali nulla avrebbero a che fare con i disturbi mentali (!?)mentre nella maggior parte dei casi sarebbero responsabili di comportamenti aggressivi nella fattispecie contro le donne: questi ultimi sarebbero di competenza esclusiva dei giudici ai quali spetterebbe di applicare in modo inflessibile la legge.
Viene il dubbio, leggendo l’articolo sull’Unità del 1 giugno, che effettivamente il presidente possa aver fatto affermazioni del genere.
E’ chiaro che la psicopatia comunque la si voglia concettualizzare è una patologia mentale: essa spesso è solo l’aspetto esteriore di una condizione psicotica che in molti casi sfugge ad un’indagine superficiale.
Inoltre se sosteniamo che la violenza è preponderante fra le cosiddette persone normali ciò conduce alla conclusione che essa sarebbe costitutiva dell’essere umano come affermano i cattolici, gli psicoanalisti freudiani e lacaniani ( vedi le recenti affermazioni di Recalcati su Repubblica).
Quindi, con la tesi che l’uomo è un legno storto, originariamente cattivo e violento, come diceva Kant, l’unico approccio al problema dei comportamenti aggressivi, incluso il cosiddetto “femminicidio”, diventerebbe di tipo moralistico- punitivo: la psichiatria, se dessimo retta a Mencacci , ritornerebbe ad essere una pedagogia razionale come ai tempi del trattamento morale di Esquirol. Condanne esemplari e docce fredde, magari anche “confessioni” per ottenere il dovuto pentimento dopo un adeguata permanenza in un carcere sarebbero l’unica “terapia” possibile. Bisogna ricordare però che Esquirol insieme a Georget, creò il termine “monomania omicida” : gli assassini venivano considerati dei malati e come tali non imputabili. La loro malattia sarebbe consistita proprio in una momentanea paralisi di quella volontà che molti psichiatri forensi ritengono oggi , contro ogni logica, integra anche in personaggi come Anders Breivik. Altro personaggio:
 Massimo Di Giannantonio, psichiatra all’Università di Chieti e membro del Consiglio direttivo della Società italiana di psichiatria, analizza le possibili cause alla base della tragedia di un padre che a Piacenza ha ‘dimenticato’ il figlio di due anni in auto, per otto ore,  causando la morte per asfissia del piccolo.
<< Pur non trattandosi di “patologia”, tuttavia tutto questo “accade per delle motivazioni di grande rilevanza nel mondo psichico del soggetto coinvolto: un’ipotesi – sottolinea lo specialista – è che l’attribuzione del compito di portare il bimbo a scuola sia per il soggetto, ovvero il padre, un’attribuzione vissuta come ‘forzata’ o innaturale, poiché la sua routine non prevede tale atto; quindi, l’attribuzione di un compito non pertinente rende possibile in qualche modo che si pongano le basi per tale meccanismo di rimozione”. Altra ipotesi possibile, argomenta lo psichiatra, “é che il padre abbia nei confronti del figlio elementi irrisolti nella relazione affettiva, o viva una situazione di ritardato sviluppo maturativo”.
Ma l’affermazione più incredibile  è quella secondo la quale il bambino può diventare un elemento di aggressione nei confronti della relazione coniugale per colpire la coniuge. Come dire che si provoca la morte del bambino ma in realtà si vuole uccidere la moglie  Ad ogni modo, conclude Di Giannantonio, “non si tratta di un atto riconducibile ad una psicopatologia, ma di un meccanismo psicologico inequivocabilmente collegato ad una condizione di aggressività o conflitto irrisolto rispetto al bambino, al coniuge o alle responsabilità insite nella relazione di coppia”.
Naturalmente Di Giannantonio ci dovrebbe spiegare cos’è per lui la psicopatologia. Per es Freud che ha introdotto il termine rimozione ha scritto un saggio sulla “Psicopatologia della vita quotidiana” (1901) in cui parla oltre che di lapsus  verbali, di atti mancati e di paraprassie, cioè di azioni dissociate. Quando  una “distrazione” (in realtà un annullamento che non è né dissociazione nè rimozione) provoca una morte , o decine di morti come nel caso del comandante Schettino e della nave  Concordia, non lo possiamo considerare un normale evento della vita come dimenticarsi le chiavi o di pagare la bolletta della luce.  I processi psichici implicati sono profondamente diversi perchè diverso è il senso ed il significato dell’atto. Un chirurgo che non si lava le mani prima di entrare in sala operatoria non commette una semplice “sbadataggine” ma un atto criminale  suscettibile di sanzione penale. Un padre che vive una condizione di “aggressività” verso un bambino fino a volerlo morto e per ucciderlo se lo “dimentica” ( come dire che è completamente anaffettivo nei suoi confronti avendo realizzato un totale annullamento della sua presenza  ed immagine ) potrebbe nascondere una grave patologia mentale: questo problema non sfiora neppure  lo psichiatra Di Giannantonio.
Come si vede l’azione combinata dell’organicismo   e del freudismo porta gli psichiatri a fare discorsi completamente dissociati, avulsi dal contesto storico sociale , oltre che rendere impossibile la comprensione della realtà umana: essi sembrano appartenere ad un mondo alieno e parlano una lingua piena di contraddizioni  che forse neppure loro capiscono fino in fondo .In un altra occasione per es. Di Giannantonio aveva fatto affermazioni diverse a proposito di un caso analogo: avvenuto  a Teramo nel Maggio 2011.: “”Se mi dimentico le chiavi di casa o il cellulare – spiegava allora  l’esperto all’Adnkronos Salute – non è importante. Ma se questo ‘black out’ avviene in momenti delicati possono accadere anche tragedie. Ad esempio, se colpisce chi ha responsabilità verso terzi: i piloti d’aereo, i macchinisti dei treni, gli autisti di pullman. Per loro una distrazione banale o una dimenticanza possono trasformarsi in tragedia”. Per lo psichiatra dunque, questo può aiutare a spiegare quello che è accaduto a Lucio Petrizzi, padre della piccola Elena, la bambina di Teramo morta nell’ospedale di Ancona dopo essere stata dimenticata per ore in auto. Il caso è “la declinazione tragica” di questa tipologia di ‘black out’ mentali. “In questo caso particolare, il meccanismo psichico – spiega Di Giannantonio – diventa psicopatologico, ovvero accade una dissociazione. Nella mente avviene una frattura di parti estremante importanti, che per un certo periodo di tempo smettono di dialogare fra loro. La causa spesso è una condizione di ‘super’ stress”. La terapia consisterebbe in un distacco dal lavoro ed in una psicoterapia psicoanalitica”Nei casi medio-lievi basterà una settimana [di riposo], nei casi gravi anche tre”. Nella dinamica dell’annullamento che è quella che interviene in questi casi di “dimenticanza” si ha una realizzazione psichica dell’inesistenza dell’oggetto per cui non c’è più neppure il dialogo fra parti diverse della psiche Non c’è rimozione  inoltre perchè si ha la scomparsa dell’immagine e della rappresentazione che pertanto non è semplicemente spostata in altro luogo ma non esiste da nessuna parte. . Per il padre di Elena Di Giannantonio sottolinea la necessità di una psicoterapia psicoanalitica. “Perché il trauma – afferma – è enorme, e il genitore deve essere aiutato a separare il dolore drammatico della perdita dal dolore della colpa. Che in questo caso – dice – non c’è”. La  senso di colpa non è solo un vissuto cosciente ma anche inconscio: e quest’ultimo senz’altro c’è. Quindi ci si dovrebbe curare per il trauma ed il dolore  della morte e non per l’anaffettività e l’annullamento che questa morte ha procurato. Strano modo di pensare.

[Psichiatria. Mencacci (Sip): “Solo un omicidio su venti è causato da malattie mentali

Crescono gli omicidi e le violenze femminili con un rapporto 9:1. Ma solo il 5% è causato da persone con disturbi psichici il restante 95% sono capaci di intendere e volere. Il presidente della Società italiana di Psichiatria lancia un appello ai magistrati: “Più prevenzione e meno tolleranza”.

01 GIU – “Solo il 5% delle persone imputate di omicidio sono dichiarate inferme di mente, il restante 95% sono capaci di intendere e volere ed esprimono in maniera prevaricante e prepotente la loro sopraffazione o intolleranza nel non riuscire a possedere il proprio ‘oggetto’ di amore, aggravate da aspetti di insensibilità nei confronti dell’altro, di ipocrisia e di menzogna”. Non solo, Fabiana, Angelica, Silvana, Erika e Micaela, ultimi nomi di ragazze, mogli, madri, donne innocenti, vittime della ferocia maschile ormai quasi quotidiana, dimostrano che sono gli uomini ad essere sempre più assassini (e poi eventualmente suicidi), in un rapporto di 9:1. A puntare i riflettori su quella che è ormai diventata una strage “rosa” è Claudio Mencacci, presidente della Società Italiana di Psichiatria che – in occasione del convegno “Disturbi affettivi tra ospedale e territorio” organizzato oggi a Milano – invita i giudici ad essere severissimi e ad applicare con maggiore attenzione i sistemi preventivi, abolendo le giustificazioni, anche di natura psicologica. Anche perché nella maggior parte dei casi si tratta di un vero e proprio gesto aggressivo. Alla base dei fenomeni di violenza, i più recenti studi scientifici hanno individuato centotrenta possibili variabili, ma di fatto i detonatori sono prevalentemente i fattori socio economici, ambientali e culturali acuiti dalla crisi economica e dall’uso di alcol e stupefacenti. “Si tratta, il più delle volte, di individui con personalità antisociale – aggiunge Mencacci, che è anche direttore del dipartimento di neuroscienze dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano – e con una storia personale di comportamenti violenti che nulla hanno a che fare con problematiche o disturbi mentali”. Per questo gli apparati giudiziari e le forze dell’ordine non possono più permettersi superficialità, non è più possibile trovarsi di fronte ad un omicidio magari dopo anni di segnalazioni senza che vi sia stato alcun intervento serio dell’autorità giudiziaria. Occorre intervenire prima, subito, e con decisione, per evitare morti insensate. Nonostante un segnale positivo sia arrivato dalla Camera dei Deputati che ieri ha ratificato la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, le leggi da sole non bastano. Servono più decisione e meno tolleranza di fronte a questi reati. Inoltre non si deve giustificare la spettacolarizzazione o legittimare gli atti violenti che provocano emulazione. Anche di questo si è parlato in occasione del convegno ‘Disturbi affettivi tra Ospedale e territorio’ in corso oggi a Milano, che vede presenti i maggiori specialisti nazionali in psichiatria. “Sempre più donne sono preda della furia maschile – continua Mencacci – perché la spettacolarizzazione e il compiacimento che oggi ruota attorno al gesto violento e aggressivo porta all’emulazione crescente e all’acquisizione di comportamenti negativi, intesi come legittimati dalla collettività. Questo modello va stroncato, perché enfatizzare l’aspetto eroico o esibito significa invitare al compimento di atti lesivi gravi in maniera sempre maggiore”. Alla base, però, vi è anche un problema educativo, di ordine sociologico, di una intera generazione: soprattutto giovani non più abituati a tollerare alcun tipo di frustrazione, specie se viene disattesa la soddisfazione immediata dei propri bisogni. “Va dunque sfatata la convinzione – aggiunge il presidente della Società Italiana di Psichiatria – che vi sia necessariamente una connessione tra malattia mentale e violenza. Attribuire automaticamente gli atti di violenza a persone con disturbi mentali porta ancor più a stigmatizzare queste patologie e coloro che realmente ne soffrono e che si curano. Aumentare la vergogna porta ad un allontanamento dalle cure di tutti quei soggetti che potrebbero invece trarne grande beneficio. La ragione risiede in un atteggiamento comportamentale e culturale, sempre più diffuso, rivolto all’intolleranza, alla prevaricazione e alla possessività tale per cui le persone hanno perso la loro identità e sono diventate “oggetti” che appartengono ad altri e di cui non si accetta l’idea che possano essere perduti” e che si è pronti a distruggere”. Per frenare questi atti occorre prendere misure precauzionali forti. Anche da parte della Legge. “L’appello è non solo alle forze dell’ordine che devono essere messe in grado di intervenire, quando e laddove necessario, in termini protettivi, ma soprattutto ai Giudici quando si trovano a decidere se convalidare o meno un arresto per questi motivi. A loro – conclude Mencacci – chiediamo di essere severissimi e di applicare con maggiore attenzione i sistemi preventivi, abolendo le giustificazioni, anche di natura psicologica: si tratta nella maggior parte dei casi di un vero e proprio gesto aggressivo”. 01 giugno 2013 © Riproduzione riservata]

 Bimbo morto a Piacenza: i precedenti in Italia

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[LA TRAGEDIA

Bimbo morto a Piacenza: i precedenti in Italia

Lo psichiatra: «Dimenticare un piccolo in auto non è patologia, ma sintomo di malessere».

A Piacenza un bimbo di due anni è morto asfissiato in macchina.(© Ansa) A Piacenza un bimbo di due anni è morto asfissiato in macchina.

Un «meccanismo psicologico di rimozione», che non rappresenta una patologia psichiatrica ma vede alla base dei «profondi e seri conflitti irrisolti del soggetto». Così Massimo Di Giannantonio, psichiatra all’Università di Chieti e membro del Consiglio direttivo della Società italiana di psichiatria, analizza le possibili cause alla base della tragedia di un padre che a Piacenza ha dimenticato il figlio di due anni in auto, causando la morte per asfissia del piccolo.
LA DISSOCIAZIONE DELLA COSCIENZA. Non si tratta del primo caso di cronaca di questo genere. Il fenomeno tipico alla base di queste manifestazioni, continua l’esperto, è la cosiddettaSpaltung, un termine tedesco che indica «una frattura o dissociazione nella coscienza». In questa situazione, chiarisce Di Giannantonio, la persona svolge normalmente dei compiti cui è abituata, come guidare l’auto, ma al tempo stesso separa e toglie dalla sfera della coscienza un elemento importante, come il compito di accompagnare all’asilo il proprio bambino in auto.
COMPITI VISSUTI COME UN’ATTRIBUZIONE FORZATA. Pur non trattandosi di «patologia», tuttavia tutto questo «accade per delle motivazioni di grande rilevanza nel mondo psichico del soggetto coinvolto». Un’ipotesi, spiega lo psichiatra, è che «l’attribuzione del compito di portare il bimbo a scuola sia per il soggetto, cioè il padre, un’attribuzione vissuta come forzata o innaturale, poiché la sua routine non prevede tale atto; quindi, l’attribuzione di un compito non pertinente rende possibile in qualche modo che si pongano le basi per tale meccanismo di rimozione».
ALLA BASE UN MALESSERE DI COPPIA. Altra ipotesi possibile «è che il padre abbia nei confronti del figlio elementi irrisolti nella relazione affettiva, o viva una situazione di ritardato sviluppo maturativo». Ovviamente, precisa Di Giannantonio, «va però chiarito che tale meccanismo di rimozione non è un processo conscio, ma viene realizzato sulla base di un atto inconsapevole e involontario». Sempre a livello inconscio, prosegue, «il bambino può diventare un elemento di aggressione nei confronti della relazione coniugale per colpire la coniuge» o legato alle resposabilità di coppia.]

Anche questo punto di vista di Michela Marzano (lacaniana) è emblematico: sarebbe potuto succedere a ciascuno di noi !!!! La tragedia, la catastrofe è dietro l’angolo: se non accade è solo per motivi legati alla fortuna. Sta bene una persona che vive in tale stato d’animo?Mah.

Repubblica 5.6.13
Ma nessuno giudichi quell’uomo
di Michela Marzano

NON è giusto che se ne vada via così, per una malattia o una sciagura, senza aver avuto la possibilità di scoprire la vita e diventare adulto. Non è giusto, ma talvolta accade. E non serve a nulla recriminare su quello che si sarebbe dovuto o potuto fare. Soprattutto quando la morte di un figlio dipende in parte da sé, da quell’attimo o quelle ore di disattenzione, quando si è presi dai ritmi frenetici di una vita sempre più piena, e magari si pensa di aver già fatto il proprio dovere di genitore.
Il dramma di Luca, il bimbo di due anni morto asfissiato nella periferia di Piacenza perché il papà, invece di portarlo all’asilo, lo aveva dimenticato in macchina prima di andare a lavorare, non è il primo e non sarà l’ultimo. È un dramma molto contemporaneo che non ha niente a che vedere né con la presunta irresponsabilità di alcuni padri di oggi, né con il disinteresse nei confronti dei bambini. È semmai il tragico sintomo di una società sempre più frenetica e sempre meno umana, in cui siamo tutti prigionieri di un fare irrequieto e convulso. A chi non è mai successo di dimenticarsi delle persone più care, persino dei propri genitori o dei propri figli, perché tanto si era sicuri di ritrovarli a casa alla fine della giornata? Chi può dire di esserci sempre quando gli altri – cui pure vogliamo tanto bene – hanno bisogno di noi?
Certo, i bambini, a differenza degli adulti, dipendono completamente dai genitori. Hanno bisogno di tutto e ne hanno il diritto, visto che non hanno domandato nulla e spetta ai genitori proteggerli, amarli, custodirli. Soprattutto quando i bimbi sono talmente piccoli da non potersi nemmeno esprimere. Come proteggere, amare e custodire qualcuno però quando, a forza di agire in automatico, correre dietro alle cose da fare, uscire presto di casa e tornare tardi la sera, non si è nemmeno più capaci di occuparsi di se stessi?
Ci sono casi in cui giudicare non serve a nulla, anzi. Perché sarebbe potuto capitare a chiunque di credere di aver portato all’asilo il figlio prima di andare a lavorare, anche a chi si permette di giudicare severamente questo padre considerandolo un irresponsabile o, ancora peggio, un mostro. C’è qualcosa di estremamente banale in questa tragedia, banale come il male di cui ci parlava Hannah Arendt quando spiegava che ognuno di noi può commetterlo, soprattutto se si smette di riflettere e ci si lascia andare alla routine. È forse per questo che si resta attoniti e che si preferisce immaginare che a noi non sarebbe mai potuto accadere. Invece di compatire quest’uomo che forse non si riprenderà mai dai sensi di colpa che lo assalgono, e riflettere sul modo in cui cambiare le nostre abitudini quotidiane, perché a forza di correre sempre rischiamo poi di perdere di vista il senso stesso della vita.

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Psichiatria, Senza categoria

I surrealisti: l’isteria è un’invenzione poetica non una malattia

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Schermata 04-2456390 alle 20.22.55«La crisi isterica prende forma a spese della stessa isteria, con la sua aura superba e i suoi quattro periodi (di cui il terzo ci rievoca alla stessa maniera i
tableaux vivants più espressivi e più puri, la cui risoluzione è tanto semplice nella vita normale. L’isteria classica perde i suoi tratti nel 1906: “L’isteria è lo stato patologico che si manifesta attraverso dei disturbi che è possibile riprodurre per mezzo della suggestione, presso certi soggetti, con un’esattezza perfetta, e che sono suscettibili di sparire sotto l’influenza della sola persuasione (controsuggestione)” (Babinski).
Noi non vediamo, in questa definizione, che un momento del divenire dell’isteria. Il movimento dialettico che l’ha fatta nascere segue il suo corso. Dieci anni più tardi, sotto il deplorevole travestimento del pitiatismo, l’isteria torna a riprendersi i suoi diritti. Il medico resta stupefatto. Egli vuole negare ciò che non gli appartiene.
Proponiamo dunque, nel 1928, una nuova definizione di isteria:
L’isteria è uno stato mentale più o meno irriducibile che si caratterizza per la sovversione dei rapporti che si stabiliscono tra il soggetto e il mondo morale di cui egli crede in pratica di appartenere, al di fuori di qualsiasi sistema delirante. Questo stato mentale è fondato sul bisogno di una seduzione reciproca, che spiega i miracoli prematuramente accettati come suggestione (o contro-suggestione) medica. L’isteria non è un fenomeno patologico e può, sotto ogni punto di vista, essere considerata come un mezzo supremo d’espressione»

Breton è debitore della psicanalisi Freudiana (che si genera a partire dagli studi sull’isteria), ma egli va oltre: la “follia isterica” diventa il paradigma della creatività.Schermata 04-2456390 alle 20.33.15
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Augustine entra alla Salpêtrière il 21 ottobre del 1875, a quindici anni e mezzo: la ragazza cresciuta nella miseria della Parigi del Secondo Impero , poi della Comune, e successivamente della Terza Repubblica che aveva soffocato nel sangue 35 mila suoi cittadini – divenne il punto focale della ricerca di Charcot .Nel paradigma dell’isteria di Charcot potremmo veder riflessa l’immagine di una società intera. Fra il voyeurismo della documentazione fotografica del medico francese e la teatralità esibizionistica dell’ isterica si stabiliva una distanza incolmabile come se il gioco della seduzione parlasse di un desiderio sessuale destinato a rimanere insoddisfatto.20130408-162304.jpg

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20130408-161833.jpg<petroleuse_1871
<In seguito alla disfatta della Comune (1871), l’isteria esplose a Parigi con una carica di violenza inaudita. Le pazienti di Charcot, ben lontane dall’ideale di “nevrotica borghese” che avrebbe caratterizzato più tardi la psicoanalisi viennese di inizio ‘900, erano per la maggior parte prostitute, donne indigenti, criminali comuni o semplici ragazze di strada. Al ripristino dell’ordine costituito a Parigi , mentre i comunardi venivano fucilati o costretti ai lavori forzati , Charcot veniva proclamato membro dell’Accademia della Medicina francese e gli veniva assegnata la cattedra di Anatomia Patologica alla Sorbona: egli apparteneva ad un mondo che era la sponda opposta a quella delle sue malate. Augustine scappò dalla Salpetriére vestendosi da uomo nel Settembre del 1980, diventando così il paradigma del fallimento di Charcot . In quello stesso anno nel mese di Novembre Breuer fu chiamato al capezzale di Anna O la cui malattia rimase ancora una volta irrisolta. Di fronte alla crisi dell’identità razionale, scatenata dalla malattia e dalla morte del padre, i medici ottocenteschi erano del tutto impotenti.

Cosa c’è stato di poetico, cioè di invenzione estetica nella vicenda di Augustine a parte la bellezza adolescenziale di alcune sue pose che sembra essere utilizzata per nascondere la sua sofferenza?

Le creazioni letterarie , le fairy tales, di Anna O risolsero il dramma ed il dolore della sua immagine femminile negata?9788864431642_LaStoriaDiAnnaO

Breton ed Aragon propongono, nel 1928, il percorso aleatorio della trasfigurazione estetica del vissuto di malattia o della sua sessualizzazione, legato all’impotenza terapeutica, che saranno presenti nella cultura del Novecento. L’idea, falsa, della creatività della psicosi è un tema che viene introdotto dalla filosofia esistenzialista di Jaspers proprio nei primi decenni del secolo XXmo mentre le vicende del controtransfert erotico, che Freud imputava già a Breuer, tormenteranno, senza soluzione, la pratica della psicoanalisi freudiana fino ai nostri giorni.

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Film muto “La nuova Babilonia” (1928) sulla Comune di Parigi di Leonid Trauberg . Musiche Shostakovich

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Comunardi giustiziati

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La comune di Parigi (1871)

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Psichiatria

Dsm, la rivolta dei medici

NEWS_91336Articolo interessante, come documentazione storica del problema del DSM.

Interessante è la cricostanza per la quale il DSMIV fu pubblicato nel 1994. L’anno prima c’era stata in America una campagna stampa, mi ricordo una copertina del “Times” dal titolo Freud è morto, che decretava la fine della psicoanalisi freudiana naufragata sotto il peso della sua inconsistenza terapeutica, delle critiche epistemologiche di Grunbaum,Assalto_alla_Verit_pagina_1_di_69_grunbaum
documente della pubblicazione dei carteggi del padre della psicoanalisi. Tutti questi elementi concorrevano a dare della psicanalisi un’immagine molto lontana dalla agiografie edulcorate fra le quali spiccava quella di Ernst Jones e più vicina a quella di un gigantesco imbroglio sostenuto da un’intero apparato istituzionale  e ideologico.images Il DSM si inseriva tempestivamente nel vuoto lasciato dalla” morte di Freud” (morte ovviamente simbolica) che Fritz Lang fin dal 1933 aveva rappresentato come un ipnotizzatore criminale che cercava di imporre ad una intera civiltà il diktat “si prega di chiudere gli occhi”. Già Freud nel 1938 nel suo “Compendio di Psicoanalisi” aveva auspicato l’avvento dell’era farmacologica: la psichiatria organistica nel suo sviluppo a partire dagli anni 80-90 si situa in una linea di continuità con il freudismo con cui condivide l’idea di una incurabilità della malattia mentale. Le corporazioni degli psichiatri cercavano, in quegli anni,  un consenso ed una amalgama  facendo quadrato sul DSM come fosse un manifesto politico piuttosto che un un testo che derivava da approfondite e motivate riflessioni teoriche.

Attualmente il disastro del DSMV coincide con la planetaria crisi economica innescata dalle banche e dalla bolla  del  mercato immobiliare americano: come se la crisi del modello liberista si ripercuotesse sugli aspetti sovrastrutturali della società americana, in particolar modo della psichiatria, incapace  di offrire strumenti di contenimento dell’enorme  malessere sociale ed economico delle fasce di popolazione più deboli negli Usa. Le guerre ingiuste ed inique combattute dagli  States su scala planetaria, in difesa dei loro interessi legati al controllo delle fonti energetiche, hanno indebolito sul piano non solo dell’economia  ma anche dell’immagine il paese. Gli psicofarmaci, come si è scoperto negli ultimi decenni, non solo non possono essere un ‘intervento a lungo termine sulla malattia mentale senza provocare danni iatrogeni rilevanti ma  neppure possono essere somministrati  in modo irresponsabile  ai bambini piccolissimi  senza alterare i processi di sviluppo ed incidere pesantemente sulla realtà psichica di questi ultimi costituendo il punto di innesco di veri e propri episodi psicotici.

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Allen Frances, classe 1942, è un pezzo di storia della psichiatria. Ha presieduto i lavori del comitato scientifico di quel l’American Psychiatric Association (Apa) che, nel 1994, partorì la quarta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Dsm-IV): 886 pagine, 297 disturbi. Oggi, capelli bianchi e abbronzatura alla Robert Redford, Frances è un professore emerito che vorrebbe godersi la pensione in California. Invece, è reduce da un giro di conferenze, anche in Italia, dal titolo «Usi e abusi della diagnosi in psichiatria». Oggetto della sua preoccupazione, e delle sue critiche severe, sono i criteri proposti (li trovate su http://www.dsm5.org) per la quinta edizione del Dsm, la cui uscita è prevista nel maggio 2013. Del Dsm-5 (da romana la numerazione è diventata araba, quindi Dsm-5), ha parlato su queste pagine Gilberto Corbellini più di un anno fa («Disturbi mentali, il catalogo è questo», 22 marzo 2010), raccontandone costi e ricavi ed elencando le principali novità: maggior attenzione agli aspetti dimensionali della diagnosi (cioè non solo la presenza/assenza di un sintomo o di un disturbo, ma anche la sua intensità), semplificazione di diagnosi “complesse” quali schizofrenia e autismo, riduzione del numero dei disturbi di personalità, revisione del quadro nosografico delle “dipendenze”, con introduzione di nuove dipendenze comportamentali, per esempio da internet.
Ma cosa preoccupa Frances, al punto da invitare l’intera comunità dei professionisti della salute mentale a firmare una petizione (www.ipetitions.com/petition/Dsm5) e perorare una users’revolt, una ribellione degli utenti del Dsm? Petizione a cui l’Apa, proprio in questi giorni, ha fornito risposte tese più ad appiattire i contrasti che ad affrontare le critiche, attraverso quelle che lo stesso Frances ha definito «formule bizantine» che sostanzialmente ignorano il problema.
Un punto di partenza per descrivere questa rivolta fantapsichiatrica potrebbe essere il mancato coinvolgimento degli psicologi come comunità professionale nella stesura del Dsm-5. La marginalizzazione degli psicologi è un problema delicato dato che questi non solo applicano il Dsm nella pratica clinica, ma conducono anche ricerche sulla base delle sue categorie diagnostiche. Le critiche contenute nella petizione anti Dsm-5 sono infatti sottoscritte da un lungo elenco di divisions dell’American Psychological Association. Poco prima si era mossa in modo simile la British Psychological Society. L’anno scorso, un autorevole cartello di esperti (Shedler, Beck, Fonagy, Gabbard, Gunderson, Kernberg, Michels e Westen) aveva lanciato un allarme sul futuro diagnostico dei disturbi di personalità, una delle diagnosi più importanti nel campo della salute mentale (basti pensare al loro ruolo in ambito forense). In particolare suscitò scalpore, tra noi addetti ai lavori, l’esclusione dal Manuale di alcuni importanti disturbi di personalità, quali il paranoide, lo schizoide, l’istrionico, il dipendente e soprattutto il narcisistico. Tanto che, nel giugno 2011, l’American Psychiatric Association si sentì costretta a reinserire tra le diagnosi almeno quest’ultimo, accogliendo così in parte le osservazioni dei molti clinici che vedevano nella sua eliminazione l’affacciarsi di una pericolosa scollatura tra la realtà clinica e le categorie diagnostiche, oltre che la preoccupante eliminazione di tutte le manifestazioni psicopatologiche non immediatamente riducibili a meccanismi di tipo biologico. Ma il dissenso era ormai diffuso e, proprio dalle pagine dell’American Journal of Psychiatry, questi clinici internazionalmente noti definivano la diagnostica di personalità targata Dsm-5 «un agglomerato poco maneggevole di modelli disparati e male assortiti, che rischia di trovare pochi clinici disposti ad avere la pazienza e la costanza di farne effettivamente uso nella loro pratica». Anche in Italia si è mosso qualcosa: un gruppo di clinici e ricercatori di diversa formazione (Lingiardi, Ammaniti, Dazzi, Del Corno, Liotti, Maffei, Mancini, Migone, Rossi Monti, Semerari, Zennaro) ha voluto inviare all’Apa una lettera con le proprie perplessità sul tema. E anche l’ultima Newsletter dell’Ordine degli psicologi del Lazio presenta un analogo documento critico.
Ricordo che il Dsm è probabilmente il sistema diagnostico in psichiatria più usato al mondo. Se i suoi meriti sono noti, primo tra tutti il tentativo di creare una lingua comune e principi condivisi per descrivere i disturbi mentali, i punti di debolezza dell’imminente Dsm-5 sono sotto i riflettori. Proviamo a riassumerli: 1. «abbassamento delle soglie diagnostiche» col conseguente accresciuto rischio di falsi positivi (viene diagnosticato un disturbo mentale che non c’è) e relativa medicalizzazione (psicofarmaci compresi) di soggetti non clinici; 2. «inserimento di nuove categorie diagnostiche» dubbie, come la «sindrome psicotica attenuata», che sembra peraltro avere un basso potere predittivo rispetto allo sviluppo successivo di una sindrome psicotica vera e propria, e il «disturbo neurocognitivo lieve», diagnosticabile nella maggior parte degli anziani; oppure l’eliminazione del precedente criterio che impedisce di far diagnosi di «depressione maggiore» in presenza di un lutto (per cui sarà più facile diagnosticare come sindromi depressive, e quindi medicalizzare, alcune reazioni di lutto normali); 3. «minore attenzione al peso dei fattori psicologici, sociali e culturali» nella genesi e nell’espressione dei disturbi mentali; 4. «eccessiva polarizzazione medico-organicista», dal punto di vista sia teorico sia clinico

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Secondo Gilberto Corbellini nel DSMV verrà abolita la dizione “schizofrenia paranoide”. Con il gruppo di psichiatri “Progetto psichiatria” abbiamo ultimato in questi giorni un articolo “Breivik e la diagnosi di schizofrenia paranoide” che secondo noi non solo esiste ma ha caratteristiche peculiari che la distinguono dalle altre forme della classica quadripartizione di Eugene Bleuler.

DSM-5

Da Il Sole 24 Ore del 22-03-2010, di Gilberto Corbellini

Articolo: Disturbi mentali, il catalogo è questo

Verso il nuovo manuale. L’associazione psichiatrica americana ha investito 25 milioni di dollari coinvolgendo 600 specialisti per ridisegnare la mappa delle patologie. Siamo vicini al varo finale. L’uscita prevista nel 2013

USA. Dopo undici anni di discussioni e un certo numero di falsi annunci dell’imminente pubblicazione, finalmente la fumata bianca.
Habemus DSM-V. o, quantomeno, si sa verso quali modifiche sono orientati i componenti della task force e dei 13 gruppi che lavorano, coordinati da David Kupfer e finanziati dalla American Association of Psychiatry (Apa), sulle categorie fondamentali delle diagnosi psichiatriche. Il 10 febbraio l’Apa ha pubblicato un draft del DSM-V richiedendo commenti e critiche da parte di tutti gli interessati entro il 20 aprile prossimo. Quindi nei prossimi tre anni, saranno organizzate tre fasi cliniche per testare la validità delle revisioni proposte e l’edizione definitiva sarà acquistabile nel maggio del 2013.
Il DSM o Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, è il più diffuso e influente testo di psichiatria nel mondo occidentale. Sulla base di questo strumento, edito dall’Apa, si battezzano e si classificano le malattie mentali, ma soprattutto gli psichiatri e i neurologi diagnosticano e trattano i loro pazienti. Inoltre, le case farmaceutiche progettano e finanziano le sperimentazioni cliniche dei farmaci, e gli enti di ricerca pubblici decidono quali ricerche finanziare.

Ultimo, ma non per importanza, i sistemi sanitari o le compagnie di assicurazione pagano le cure che sono indicate come appropriate. Rappresentando la larghissima diffusione del DSM una fonte di incalcolabile guadagno economico per l’Apa, si comprende l’ingente investimento di 25 milioni di dollari per effettuare la revisione, a cui hanno concorso 600 psichiatri, e anche la decisione di pubblicare un’edizione che probabilmente lascerà insoddisfatti molti, ma che lancia nondimeno una serie di segnali inequivocabili sul cammino che sta percorrendo la psichiatria.
La storia del DSM, dall’I al V, è uno dei capitoli più affascinanti della storia della psichiatria, anzi della storia della medicina del Novecento in generale. Non solo perché è intellettualmente intrigante analizzare i ragionamenti che hanno portato dalle 106 malattie mentali descritte nelle 106 pagine del DSM-1 del 1952 ai 293 disturbi descritti in 886 pagine del DSM-IV del 1994. Ma per il fatto che si tratta di una finestra storica unica sulle difficoltà e i problemi, sia teorici sia pratici, che hanno incontrato i tentativi di fornire alla psichiatria una base scientifica. Cioè una metodologia diagnostica basata sull’eziologia del disturbo clinicamente rilevante, come è nel caso delle definizioni di malattia sviluppate dopo l’avvento della medicina sperimentale o scientifica. […]

L’unico trattamento efficace per superare una condizione di precarietà di natura epistemologica di cui soffre la psichiatria forse sarebbe un salutare pluralismo epistemologico, ispirato però da una rigorosa concezione naturalistica della malattia mentale. Gli avanzamenti delle neuroscienze stanno muovendo in questa direzione, consentendo di tornare a sfruttare euristicamente le teorie per ricondurre i disturbi del comportamento a quello che sono. Cioè alterazioni del funzionamento del cervello.
Dal DSM-IV al DSM-V
– Eliminazione di una serie di sottotipi di schizofrenia (paranoide, disorganizzata, catatonica, eccetera) e maggiore attenzione ai sintomi comuni come allucinazioni e disturbi del pensiero, nonché alla durata e gravità di tali sintomi, nella diagnosi dei disturbi psicotici.
– Introduzione di una diagnosi di depressione ansiosa mista.
– Riduzione da 12 a 5 dei disturbi della personalità. Sono rimasti: borderline, schizotipica, evitante, ossessivo-compulsiva e psicopatica/antisociale.
– Introduzione della categoria di sindromi di rischio, in modo da consentire agli psichiatri di identificare gli stadi precoci di gravi disturbi mentali, come le demenze o le psicosi. […]
– Introduzione della singola categoria diagnostica dei “disturbi autistici” in sostituzione delle attuali diagnosi alquanto indefinite di malattia autistica, malattia di Asperger, disturbo disintegrativo dell’infanzia, e disturbo pervasivo dello sviluppo.
– Introduzione della nuova categoria dei disturbi da dipendenza e simili, in sostituzione della categoria di dipendenza e abuso di sostante.
Questa opzione consente di differenziare il comportamento compulsivo di ricerca della droga dovuto alla dipendenza dalle risposte normali di tolleranzae astinenza.
– Introduzione della categoria delle dipendenze comportamentali, che al momento include solo il gioco d’azzardo, ma dove alcuni vorrebbero includere la dipendenza da internet.
– Aggiunta di una valutazione dimensionale della diagnosi, rispetto al criterio basato solo sulla presenza o assenza di un sintomo, per consentire agli psichiatri di valutare la gravità dei sintomi.

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