La sessualità oltre la legge 40.
Di Maria Gabriella Gatti
Lo scontro culturale sulla procreazione medicalmente assistita , è stato centrale nella politica dell’ultimo decennio: pronunciandosi sulla legge 40 si affronta il punto nodale del rapporto fra realtà biologica e la realtà psichica cioè dell’identità umana. La mentalità cattolica da una parte afferma il dovere di rispettare la “naturalità” del biologico, assimilato al sacro, dall’altra, con l’opposizione all’“eterologa” si pensa di difendere l’identità della famiglia. I cattolici non riescono a comprendere il passaggio dal biologico al mentale, che caratterizza la nascita umana. Pensano che lo zigote sia “persona” o, genericamente “vita” solo in base al genoma. Il genoma da solo, non fa la “persona”, non definisce né un’identità umana né un’identità biologica: i gemelli omozigoti formano cervelli anatomicamente diversi già in utero, quando non può essere presente un’attività mentale. All’esame morfologico esterno i feti omozigoti potrebbero apparire identici ma non lo sono per effetto dell’epigenetica. L’interazione dei geni con l’ambiente biologico intrauterino e la selezione casuale delle linee cellulari neuronali orientano lo sviluppo e determinano la variabilità della corteccia cerebrale. Quest’ultima come un’impronta digitale è diversa in ciascun individuo. Il patrimonio genetico è una sequenza di nucleotidi che viene letta progressivamente: il risultato finale non è determinabile a priori. E’ pertanto infondato affermare che lo zigote, pura potenzialità, sia già vita e persona.
La vita umana comincia alla nascita quando si costituisce, nei primi istanti il fondamento dell’essere. La luce attiva la sostanza cerebrale: entra in azione immediatamente un insieme di geni, prima silenti e si ha l’emergenza del pensiero nel substrato biologico. La dinamica della nascita determina una cesura radicale fra prima e dopo. Il contenuto mentale che ne deriva è lo stesso per tutti indipendentemente dalla variabilità morfologica delle strutture cerebrali. Pensare la vita umana presuppone individuare un’uguaglianza fondamentale all’origine che rende possibile la creazione di un mondo condiviso.
La mentalità religiosa opera in direzione antiscientifica, per cui si pretende di far pronunciare ancora il Parlamento sulle conclusioni della Corte Costituzionale che ha accolto la legittimità dei ricorsi e dei pronunciamenti Europei su questo tema. Viene così ignorata la falsità dei presupposti della legge 40. Le valutazioni morali e religiose non possono sostituirsi alla conoscenza dei processi biologici ed entrare nel merito delle linee guida che, partendo da evidenze scientifiche, regolano il rapporto medico paziente. Dietro l’opposizione alla fecondazione eterologa e la preoccupazione che essa possa prestarsi a derive eugenetiche, c’è sempre l’idea che l’identità umana sia inscritta nella sequenza del DNA. La genitorialità sarebbe legata alla condivisione dei geni fra genitori e figli cioè, estensivamente, all’appartenenza non solo a un nucleo familiare ma a un’etnia. La variabilità biologica non esclude però un’uguaglianza di base sul piano mentale: la nascita è per ciascuno il punto di partenza della realizzazione d’un’identità personale. Annullare la nascita, come realtà psichica universale, porta a sostenere come nell’ideologia razzista, che la variabilità genetica, quando modifica il colore della pelle, degli occhi o la forma del cranio, assume il significato di “alterità” ed “estraneità”. Per i nazisti chi non condivideva i geni della “razza” ariana era considerato non umano, cioè “untermensch”. Tutta l’operazione politica che ha portato all’approvazione della legge 40, la complicità della sinistra subalterna all’antropologia cattolica, ha avuto il significato di un attacco alla libertà di scelta delle donne. La sessualità femminile però non è finalizzata alla procreazione come sostiene la mentalità religiosa: l’enfasi che è stata posta sugli aspetti genetici e puramente biologici della fecondazione ha occultato il senso più profondo del rapporto uomo-donna ed ha impegnato l’opinione pubblica in un dibattito che distoglie dal vero obiettivo: è necessaria una nuova antropologia, che riconosca il diritto a una sessualità libera dall’obbligo della procreazione.
Nella cultura cattolica, che ha ereditato dalla filosofia greca l’idea della superiorità del pensiero razionale, lo stereotipo rimane la donna madre. Il desiderio è ancor oggi confuso con l’istinto o la bramosia cieca da sublimare per raggiungere con l’astinenza la perfezione della vita spirituale. E’ necessario al contrario pensare a una sessualità che dall’adolescenza sia realizzazione della fusione fra la realtà materiale del corpo e la realtà non materiale della mente senza perdersi nelle derive di un materialismo cieco o di una spiritualità astratta. La dialettica con il diverso da sé, uomo o donna, è allora ricerca sulla propria e altrui dimensione non cosciente non più pensata come “inconoscibile” o espressione del male.
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