Forum di Senza Ragione

La perla tra le labbra, video e spettacolo teatrale

Alogon            

Inviato il: 14 Jan 2007, 02:09 PM

Immagini, suoni, movimenti si accordano

nelle parole che pronunciamo

per un’armonia apparentemente senza origine,

per l’emergere spontaneo di un pensiero

che non è solo ricordo di quanto abbiamo appreso.

Inventare ogni giorno se stessi

tracciando segni

che poi possono diventare un copione che gli attori imparano per recitare.

I segni lasciati dalla mano compaiono davanti agli occhi e ti sorprendono:

il linguaggio ti incanta per la sua potenza di evocare sensazioni prima mai conosciute.

Scrivere, parlare, disegnare linee sulla superficie di un quadro o nello spazio

attraverso la danza, comporre e raccontare storie nel susseguirsi rapidissimo

di figure, legate da un filo invisibile, su di uno schermo…

…teatro…

…il teatro è la porta tramite la quale

ci addentriamo nello spazio oscuro di quel silenzio

che è assenza di parola,

territorio non esplorato

che ci espone al rischio della frattura e dell’isolamento.

Potremmo scoprire che la luce ci aveva abbagliato,

e che il suono di un linguaggio non compreso

ci aveva reso sordi profondi.

Un’ arte senza memoria e senza ricordi

ci ha riportato comunque alla vita per quelle sensazioni che suscitava

oltre la superficie di quanto era visibile,

per la capacità che ci ha restituito di udire

ciò che poteva sembrare solo un rumore,

un fruscio appena percettibile

ma che invece era l’onda di un evento lontanissimo

che ci ha raggiunto :

un grido di speranza,con il quale, alla nascita siamo entrati in scena,

ed abbiamo cominciato a rappresentare noi stessi

nel palcoscenico del mondo.

copyright domenico fargnoli

 

 

Alogon            

Inviato il: 15 Jan 2007, 01:08 AM

Parole…frasi…

a momenti sembrano certezze,in altri espressioni arcane

…arte senza memoria…

…il sensuale della parola…

…la parola pensata…

vorremmo che tutto fosse chiaro ed immediato

ed invece ciò che è senza ragione è così complesso

che spesso è facile perdersi.

E’ come la musica di una fuga:

non tutti riescono a seguire le voci che si intrecciano,

si rincorrono incessantemente

creando una tessitura fitta ma leggera

come il più prezioso dei vestiti.

Forse non tutto può essere spiegato,

non c ‘è un manuale di istruzioni

che ti porti per mano là dove la coscienza e la percezione

perdono forza e predominio.

Ciò che conta è una musica che avverti con il corpo più che con l’orecchio.

L’uomo della coscienza non ha vibrazioni,è una marionetta,

ha una testa di pietra senza volto e la sua ombra

è carica di inquietudine.

Uomini di pietra riuniti in folle,

masse che si muovono fra grattacieli, eretti come megaliti

in attesa di sprofondare in una voragine

aperta nel cuore stesso dell’uomo…

è difficile capire quando tutto appare privo di senso

come un albero svuotato…

quando le parole non suscitano emozioni

e non riescono ad essere canti di amore…

…allora è inevitabile la caduta…

…è inevitabile scivolare in una franata di detriti.

Ogni movimento è una deriva

quando non c’è la bussola del sogno,

la rete invisibile della fantasia

che cattura quei piccoli segni

che poi si trasformano nella veglia

fintantoché si possono comporre insieme

per costruire le parole…mura di parole…

a volte però non ci possiamo affidare soltanto

al silenzio dei sogni che pure ci regalano

lo stupore dell’immagine.

Dobbiamo aprire gli occhi sul profilo di una donna

sconosciuta.

Essa è la figura di un pensiero mai prima pensato

che compare e vediamo in un corpo di donna

che si muove in un palcoscenico di linee e colori

che noi stessi abbiamo creato

per accoglierla.

copyright domenico fargnoli

 

 

Alogon            

Inviato il: 20 Jan 2007, 05:07 PM

Molti anni passati in una ricerca sul rapporto fra psichiatria ed arte.

Che cosa è cambiato nel corso del tempo?

A parte gli aspetti formali forse sono emersi nuovi contenuti.

In particolare una maniera diversa di vivere e rapportarsi alla dimensione collettiva.Ho girato a lungo attorno a questo tema senza riuscire a metterlo a fuoco prima.

Attualemnte mi rendo conto che tutto il processo della cura, ma anche della formazione è estremamente complesso.

In special modo ho capito che l’affermazione dell’identità, personale e sociale passa inevitabilmente attraverso il “conflitto” fra le persone. Un “polemos” che solo apparentemente potrebbe essere violento (salvo eccezioni ovviamente)

Nessuno mi sembra facilmente disponibile ad accettare la creatività altrui quando questa si manifesta in forme e contenuti che inaspettati, determinano reazioni e crisi.

Però, questo il è il punto, il contrasto che emerge anche se duro, non è distruttivo.,,,anzi.

Pertanto la cura non è l’approdo ad un luogo ideale dove tutti si vogliono “bene” e le relazioni sono pacificate.

Ciascuno mette in moto un processo di crescita che a volte interferisce od incrocia quello di altri.

Ed allora lo scontro va retto e se si è sani non si deve avere paura delle conseguenze….

…un collettivo in cui compare la guarigione, la creatività può divenire molto turbolento e può mostrare contraddizioni estreme che magari prima non si vedevano….

copyright domenico fargnoli

 

 

Alogon            

Inviato il: 21 Jan 2007, 02:33 PM

L’uomo nuovo

dipinge con la mente

ma il suo non è un sogno faustiano

che condanna l’arte al ritorno della ragione.

Egli crea immagini.

su di una matrice trasparente:

immagini non simboli astratti

di un inconscio

in cui sarebbe il caso

a generare le forme

su di uno sfondo nero o sul vuoto;

C’è una ferita nascosta

nell’idea di un origine dal Caos

che riporta alla freddezza dei concetti,

al negativo, al deforme invisibile

che annulla la donna.

Ferita attraverso la quale la ragione cancella ogni volta la diversità

e torna a dominare i pensieri nello specchio della riflessione.

Essi perdono così quella leggerezza che li rende fugaci e capaci di sovrapporsi

come tracce visive del tutto simili agli accordi musicali.

L’idea si muove in uno spazio interno di pluridimensione

sfugge alla fisicità del moto e del tempo che seguirebbe

solo una linea, una misera linea nell’universo di una mente

che si espande in un unico istante in molte direzioni.

La vita è al di là del guscio rigido della coscienza

che quando si infrange ci regala l’inquietudine del sublime.

Navigare nel mare delle sensazioni

per sciogliere il nodo che ci legava al caso come un enigma

impossibile da risolvere.

Forse tutto ha un senso

anche se per comprendere spendiamo un’intera esistenza

fermati solo dalla morte: una visione nuova

che attraversa l’opacità dell’oggetto

e ci rende partecipi di una molteplicità di vite.

I nostri corpi sono solo in apparenza separati

quando i pensieri non coscienti vibrano all’unisono senza che nessuno annulli se stesso.

Tanti occhi che guardano,

mani che lavorano,

orecchi che sentono insieme.

 

L’arte si lega ad uno stato mentale. Un quadro, una poesia è uno stato mentale. Ciò che veramente conta è la qualità, la tonalità di fondo di una condizione della mente che viene comunicata. Per questo l’arte nono può essere neutrale. C’è un arte che ti aiuta a vivere ed un’altra che ti spinge a morire.

E’ arte solo quella che ci aiuta a vivere,

a compiere un passaggio dalla morte alla vita,

dal latrato di Cerbero alla luce,

dall’orrore senza nome delle atrocità,

delle tortrure,

del dolore inflitto da persone che apparentemente

sono come gli altri alla bellezza..

E’ inspiegabile, se ci guardiamo intorno, come sia sopravvissuta fino ad oggi l’arte

che già conoscevano gli uomini delle caverne.

Alla brutalità ha fatto sempre da contrappunto la bellezza.

C’è in noi un impulso irrazionale che ha il potere di far sparire,

anche solo per un attimo il cinismo, la desolazione

e ci fa vedere la realtà con occhi diversi,

senza fantasticherie od illusioni.

Di ciò si dovrebbero occupare gli psichiatri

che hanno invece, fino a pochi decenni fa, vanamente interrogato

la pittura, la poesia

senza risolvere l’enigma dell’immagine

della vitalità, della resistenza

per una nascita umana in un mondo senza ricordi certi,

senza figure non ancora definite

quando la mente ha già un potere immenso in un corpo debolissimo.

 

Sono stato, un anno fa a Chauvet, Pont d’Arc nella regione francese dell’Ardeche. 32000 anni fa durante l’era glaciale gli uomini del paleolitico davano prova di una eccezionale capacità estetica

dipingendo in una grotta, situata in un contesto ambientale spettacolare, circa 480 figure di animali. Artisti straordinari che appartenevano probabilmente ad una scuola, lungo l’arco di moltissime generazioni per le convenzioni stilistiche, geometriche attraverso le quali costruivano le immagini che pertanto erano tutt’altro che semplici osservazioni naturalistiche. Le linee color ocra o nere trasmettono ancora uno stato mentale ancorato alla roccia dalle figurazioni nelle quali è quasi assente la figura umana salvo le impronte rosse del palmo delle mani di donne uomini e bambini ed i triangoli vulvari sormontati da disegni teromorfi

La grotta è il centro generatore del mondo, il punto in cui l’uomo si ricongiunge con il cosmo per il tramite di animali guida inseriti in una sapiente coreografia, catturati nella loro essenza e forza dal movimento prodotto dal disegno più che dalla freccia, inseriti in un tracciato che è soprattutto una ricerca del significato della vita.

Entrando nella grotta per gli ottanta uomini dei quali sono rimaste tracce di frequentazione probabilmente cambiava qualcosa, forse accedevano ad una condizione in cui il senso della realtà era diverso attraverso una serie di procedimenti dei quali non conosciamo la natura.

Mi piace pensare che anche l’uomo primitivo cercava di eliminare il caso dalla propria esistenza.

Quel caso che stato unito alla necessità per spiegare l’evoluzione e la vita: “ da un gioco completamente cieco tutto può derivare, ivi compresa la vita ” scriveva Monod .

Nell’accedere ad uno stato mentale modificato, in cui le immagini ricordano creazioni oniriche crepuscolari, l’arbitrarietà degli eventi sembrava scomparire di fronte alla capacità di sognare e di dare un senso a percezioni minime, veri e propri indicatori del corso degli eventi.

Cessava lo sforzo di dare un orientamento razionale all’esistenza e si acquisiva una sensibilità più profonda che portava oltre la superficie di ciò che viene macroscopicamente percepito.

Illusione antropocentrica, animistica rispetto alla quale bisognerebbe operare una rottura radicale come ha affermato a suo tempo Monod? Secondo questo autore l’uomo apparterrebbe contemporaneamente a due regni: la biosfera ed il mondo delle idee e sarebbe torturato ma anche arricchito da questo dualismo lacerante che si esprimerebbe nell’arte, nella poesia e nell’amore umano. Nella biosfera soltanto il caso è all’origine di ogni novità, di ogni creazione. Caso puro, libertà assoluta ma cieca. L’uomo scopre la sua completa solitudine in un universo che è sordo alla sua musica, indifferente alle sue speranze

Non voglio entrare nel problema di come sia nata la vita in generale. Ciò che io conosco è la vita umana, la mia vita.

Sicuramente sono nato per caso: ma oggi questo aspetto mi interessa relativamente anche perché l’affermazione potrebbe essere “indecidibile”. Anche il contrario potrebbe essere vero.

Ecco io mi sento affine all’uomo primitivo senza condividerne in alcun modo l’animismo: la casualità non mi spaventa, mi sento spesso in sintonia con ciò che sembra intervenire arbitrariamente. Lo sfrutto creativamente nel fare artistico anche se il fattore imprevedibile viene inseritio in un insieme dotato di senso capace di opporsi alla sua apparente estraneità.

E credo che la creatività umana non sia casuale ma il frutto di una ricerca, di rapporti interumani che coinvolgono anche la “biosfera” cioè in altri termini la realtà fisica, corporea. Il rapporto uomo donna. Ma è stato ipotizzato che la trasformazione psichica, alla nascita comporti una trasformazione del genoma come se il pensiero non fosse idea platonica , anima imprigionata in un corpo, ma fosse essa stessa realtà materiale per il superamento di una dicotomia tutta religiosa.

 

C’è chi afferma di non aver mai incontrato “l’uomo”:

l’uomo sarebbe solo il prodotto del caso e cos’è

l’”umanità”?

….un flatus vocis….un’astrazione.

residuo infausto di una teologia volgente al tramonto.

Il vero “uomo” impone la crudele legge del più forte:

è il conflitto, la guerra, il padre di tutte le cose?

 

All’origine la vitalità

è un isola sperduta nell’oceano

e noi siamo soli

a lottare contro una natura ostile.

Perché non sperare che qualcuno ci trovi

togliendoci

da uno stato di natura senza ragione

E senza ancora un rapporto

riconoscendoci

un’immagine di vita

che si può esprimere e sviluppare?

Chi ha per nascita il diritto alla ricerca della felicità

e della libertà

che altri non avrebbero?

Chi giudicherà i deboli da gettare

dalla rupe Tarpea?

Scoprire un’identità,

vita come fantasia

e poi lottare per un diritto

ad essere senza ragione

per quel pensiero prima della parola

che non tutti hanno perduto.

Allora i giorni non saranno tutti uguali,

alba e tramonto sulle pene di sempre,

e ciascuno si scalderà ad un piccolo fuoco

rubato agli dei.

Così nessuno ci potrà togliere

la libertà di sognare

esenza la schiavitù della coscienza

voleremo come Icaro

lontano da ogni caduta.

I momenti più intensi

rimarranno oltre il ricordo:

c’è un’orizzonte

cui ancora non siamo arrivati.

Una donna ci ha atteso

e ci lascerà ripartire

senza maledirci come Circe.

Diritto di ciascuno alla ricerca di sé

alla libertà del movimento

che nasce da idee vissute

e poi emerse contro ogni volontà.

Nessuno verrà lasciato

in una spiaggia deserta

 

a tormentarsi per la morsa del bisogno,

come in un campo di concentramento,

a ridursi animale

per non riuscire

a sentire altro

che il suo corpo sofferente.

Nessuno cercherà di distruggere la mente

per il dolore di dover rinunciare

alla fantasia.

Diritto di essere se stessi

nonostante le credenze,

le lacerazioni dei rituali mai adeguatamente compiuti

per la tirannia di una religione

che ti vuole affogare nel terrore.

 

Penso. Ma non ho immagini che affollano la mente: La ricerca di un rapporto vero è come camminare su di un filo: La ricchezza nel riuscire a seguirlo è proporzionale al rischio di perderlo.

Uno stato di leggera tensione: desiderio sempre rinnovato e minacciato per la libertà che sottintende. C’è anche chi nega di poter prendere. E’ difficile stare insieme :la libertà è un paradosso che fa la maggiore seduzione fra un uomo ed una donna. Sentirsi legati ma nello stesso momento liberi. Deve crescere una certezza dai contorni sempre più definiti.

Chiudere un cerchio ed aprire una strada nuova.

Mentre mi incammino non ho concetti né ricordi, neppure quella lingua muta che alcuni ritengono un parlare interiore. Sono trasparente e non ho niente se non l’attesa. Aspetto che una musica cominci e vibrando trasformi il pensiero, la mia stessa esistenza in un corpo vivente.

Tempo di una vita piena senza un significato subito riconoscibile. Le parole vengono troppo presto.

Cerco il segno dell’inizio ma non ho subito immagini coscienti, non ho concetti né ricordi, neppure la lingua muta che alcuni ritengono un parlare interiore.

Mentre percorro una nuova strada ascolto il silenzio che circonda i sogni.

copyright domenico fargnoli

 

 

Alogon            

Inviato il: 23 Jan 2007, 01:19 PM

Una strada nuova

L’era digitale ha significativamente cambiato il rapporto con “l’immagine” più di quanto abbia fatto la fotografia nell’800. L’immagine non ha più bisogno per essere visualizzata di un supporto materiale ingombrante come la tela o le “pizze” cinematografiche :essa viene ridotta ad una sequenza di numeri registrabili in oggetti sempre più piccoli ma dotati di una memoria che cresce in un modo esponenziale.

Non c’è confine alla possibilità di creare e di modificare, di sovrapporre interpolare trasmettere…

 

L’impressione però è che queste possibilità non vengano ancora sfruttate appieno e che la tecnologia corra più veloce della capacità degli artisti di sfruttarla per i propri intenti creativi. …artisti… ammesso e non concesso che artista oggi sia una parola che abbia un significato….forse noi alla parola artista dobbiamo dare un senso diverso…

Inoltre bisogna fare i conti con gli atteggiamenti pantoclastici degli innovatori a tutti i costi che in un impeto futurista vorrebbero fare fuori tutto il passato.

La videoarte per es. è un universo magmatico in continuo travolgente movimento. L’innovazione però non è nel mezzo ,“il video”, come sembrava pensassero certi sperimentatori degli anni 70, ma nelle idee che esso consente di esprimere.

La prima videoarte è stata sessantottina, apparentemente liberatoria ed antirepressiva ma anche tragica nel suo approdo ai rituali sadomasochistici della “bodyart”. Il video si è imposto annullando all’inizio ogni forma di rappresentazione e trascinando dentro se stesso la realtà così com’era. Anzi non com’era ma come la vedevano alcune persone attraverso il filtro delle loro percezioni deliranti.

I “realities” attuali, gli stuff movie, il cinema necrofilo dei serial killer è stato anticipato da una prima generazione di videoartisti che ha dato testimonianza della “schizofrenicità” di performances basate su operazioni chirurgiche, castrazioni, esibizione di veri handicaps.

Morte dell’arte od impotenza di una minoranza a far fronte a cambiamenti radicali, alla necessità di far propria una nuova visione dell’”uomo”?

copyright domenico fargnoli

 

 

Alogon            

Inviato il: 29 Jan 2007, 12:26 PM

Ho letto, in un libro sulla fotografia di Man Ray, che egli dipingeva ciò che riteneva non potesse essere fotografato. Attualmente io faccio esattamente il contrario. Dipingo ciò ciò che poi fotografo o riprendo con la telecamera.

Ho visto “Emak Bakia” il cortometraggio di Man Ray del 1927 mi pare. E’ molto simile all’altro “ “Le retour a la raison” del 1923. In entrambi c’è una parte iniziale che allude al caos, al moto browniano delle particelle, a movimenti meccanici ripetitivi. Si approda poi a delle riprese “patinate” con macchine di lusso,con donnine ammiccanti.

Nel film compare anche Jean Rigaut nell’atto di togliersi il colletto della camicia.

Man Ray nella sua autobiografia scrive:<<[…] Rigaut era il più bello ed elegante del gruppo, una personificazione del dandy francese, così come me l’ero immaginato-benchè le labbra avessero una piega amara. Negli anni seguenti diventammo molto amici; insieme organizzammo molte scappatelle finchè un giorno appresi che si era suicidato. Non lasciò nessuna spiegazione (Man Ray autoritratto 1963)

Gli scritti di RIgaut stanno a dimostrare la sua stretta aderenza alle ideologie dadaiste, specchio del successivo esistenzialismo di Sartre e del nichilismo su più larga scala. Quando aveva venti anni Rigaut decise di suicidarsi e così fece a trenta.( anche Man Ray nel 1917 pensò seriamente al suicidio)

L’essenza del dandismo consiste nel narcisismo delle sfumature fino a sfociare nell’indifferenza ( o anaffettività?) più assoluta. La vestizione è un rito in cui la cravatta assume l’importanza centrale perché è la più prossima al nulla.

E’ stato detto che l’artista dadaista prima e surrealista poi ha una tensione verso la morte: Rigaut (come del resto fece anche Jung) dormiva con una rivoltella sotto il cuscino. Il suicidio è l’atto attraverso il quale il dandy vuole appropriarsi definitivamente della morte, riprendere in mano la propria esistenza recuperando la propria libertà….

…viene in mente il caso Ellen West di Binwanger e l’affermazione dello psichiatra che il suicidio della paziente era una festa…un atto di libertà…

Tornando a Man Ray nel suo film Emak Bakia compare anche la famosa Kiki di Montparnasse che fu sua amante per sei anni- La ritrasse nel famosa fotografia “Le violon d’Ingres”.

A trent’anni Alice Rin, il vero nome di Kiki, è distrutta; a 50 diventata enorme e muore per emorragia cerebrale dopo vicende di droga e carcere.

Possiamo considerare “arte” quella che esalta o provoca direttamente od indirettamente la morte di esseri umani?

Con storie come queste nel nostro passato, storie esaltate e tristemente reiterate fino ai giorni nostri, forse faccio bene a non volermi considerare un’artista….

copyright domenico fargnoli

 

 

fiore [omonimia di utente reg.]            

Inviato il: 29 Jan 2007, 08:17 PM

…ma nel passato c’è anche Picasso con “La gioia di vivere” e non credo che Francoise Gilot sia diventata grassa e malata.

 

 

Alogon            

Inviato il: 30 Jan 2007, 10:00 PM

Nel 1946 Picasso trascorre quasi tutto l’anno sulla Costa Azzurra con la pittrice Françoise Gilot, conosciuta tre anni prima. Da questa compagna avrà due figli, prima di essere lasciato nel 1953: nel 1947 Claude, nel 1949 Paloma. La relazione con Françoise vivrà uno spiacevole seguito una decina di anni dopo, quando verranno pubblicate le memorie della donna intitolate “Vita con Picasso”, che provocano la rottura tra il pittore e i due figli Claude e Paloma.

Tu, Fiore sai qualcosa di questa storia?

Del libro di Marina Picasso “Grand-père” qualcuno si è fatto un’opinione?….

….argomento piuttosto difficile…però interessante

copyright domenico fargnoli

 

 

Alogon            

Inviato il: 31 Jan 2007, 11:38 PM

Devo precisare che sono un grande estimatore di Picasso. Ho cominciato a leggere libri su di lui,

alla biblioteca Comunale si Siena, fin da quando ero studente universitario.

Però non so come interpretare alcuni aspetti della sua biografia quali quelli riferiti da Marina Picasso….

propongo inoltre questa pag che ho trovato su internet

 

“Picasso e le donne

Nel 1904 il ventitreenne Pablo Picasso torna una seconda volta a Parigi con la precisa intenzione di restarvi e di diventare qualcuno. Iniziano gli anni straordinari dei periodi blu e rosa, ma anche quelli in cui l’artista spagnolo darà inizio ad esperienze erotiche e sentimentali senza eguali in tutta la storia dell’arte. Sino ad allora si era concesso qualche avventura fugace e mercenaria, ma appena tornato in Francia incontra il suo primo folle amore, Fernande Olivier, una giovane provocante e di grande bellezza. E’ il colpo di fulmine improvviso. La donna con un matrimonio fallito alle spalle ammalia il pittore a tal punto da travolgerlo in una passione forsennata: non può starle un attimo lontano e pur di assecondarla si dedica ai lavori domestici mentre lei lo osserva pigramente dal letto.

Gli otto anni trascorsi con la Olivier sono intensissimi ma sufficienti ad esaurire la sua passione amorosa, per cui la rottura è inevitabile quando conosce Marcelle Humbert. Decidono di fuggire insieme all’insaputa di tutti. ‘Il mondo comincia adesso e tu sei Eva’ – confidava teneramente alla nuova donna di cui è innamorato e che gli ispira una serie di quadri straordinari; ma fu un amore tragico e breve, poiché Marcelle muore all’improvviso nel 1916. Il pittore resta solo a Parigi mentre in Europa infuria la prima guerra mondiale: è triste, annoiato, partecipa svogliatamente alla realizzazione di una scenografia per la celebre compagnia del Balletto russo di Daghilev. Fra le ballerine conosce Olga Koklova, rimane folgorato dalla sua bellezza e decidono di non separarsi mai più. La sposa un anno dopo e la vita privata di Picasso cambia radicalmente, sembra diventato un borghese benestante mentre ostenta grossi anelli alle dita, però la sua natura irruente e passionale non tarderà a riemergere quando si accorge di non essere adatto al ruolo di marito, nonostante la nascita del figlio Paulo che spesso dipinge in braccio alla madre in quadri rimasti fra i capolavori della pittura moderna. Viene travolto da una carica erotica ossessiva come testimoniano centinaia di disegni quasi pornografici di quel periodo e alcuni quadri di donne lascive circondate da simboli fallici o grottesche figurazioni dei genitali femminili. Nel 1927 Picasso ha compiuto 46 anni, è un artista già ricco e famoso ma profondamente insoddisfatto della sua vita privata con una moglie che diventa sempre più gelosa. Lo si incontra quasi sempre fuori di casa mentre passeggia distrattamente nei boulevards, lasciandosi andare al caso – come teorizzavano in quel periodo i suoi amici surrealisti. E fu per caso che, in un gelido mattino di gennaio, rimase affascinato da una diciasettenne dagli intensi occhi azzurri, bionda e sensuale. Le si avvicinò dicendole “sono Picasso, vorrei farle un ritratto”, la portò al cinema e da quel momento divennero amanti. Era Marie-Therese Walter, una minorenne d’origine svizzera che viveva con la madre e non aveva mai conosciuto il padre. La fanciulla rimase affascinata, soggiogata da quest’uomo di trent’anni più vecchio che la trattava come un padre-padrone, iniziandola a pratiche sessuali prive di ogni tabù.

Marie-Therese è tranquilla, ben educata, si accontenta di vivere nell’ombra senza interferire nella vita privata del suo amante che sopporta sempre meno la moglie isterica e gelosa. Nei primi mesi del ’35, la ragazza gli annunciò di aspettare un bambino e Picasso decise di divorziare sebbene il matrimonio fosse soggetto alla comunione dei beni. La moglie per vendetta lo trascinò in tribunale e fece apporre i sigilli a tutte le proprietà del pittore, compresi i colori, i pennelli e i dipinti in lavorazione: “il peggior periodo della mia vita” definirà in seguito questi mesi terribili, che si conclusero con la definitiva separazione da Olga la quale morirà vent’anni dopo completamente pazza.

Dalla relazione con la giovane amante era nata una bambina che chiameranno Maya, ma Picasso riprende a girovagare per i boulevards, notando un giorno una bella ragazza con cui imbastisce un’intensa relazione erotica . Era Dora Maar, la quale corrispondeva fisicamente al suo tipo di donna preferito: bassa, come lui, formosa, bruna, elegante e colta. L’opposto di Marie-Therese, l’amante-bambina che lo attraeva sessualmente senza interessarlo sul piano intellettuale, ma non volle lasciarla e rimase con lei ancora per una quindicina d’anni, durante i quali andrà sempre a trovarla i giovedì e le domeniche quando la bambina era a casa da scuola. A Dora Maar dedicherà il resto del tempo fino a quando non si stancherà di lei, abbandonandola al suo destino.

Gli anni passano inesorabilmente, la seconda guerra mondiale sconvolge i corpi e le coscienze, Guernica è lì con le sue urla disperate ad ammonire gli uomini che continuano a combattere e morire. Nel 1944 Picasso conosce, a 63 anni, Françoise Gillot, l’allieva ventiduenne di un suo amico pittore. E’ una donna giovane ed affascinante, ha classe, uno stupendo sorriso e quarantun anni meno di lui. Anagraficamente lontani Pablo e Françoise, come novelli Paolo e Francesca, sono invece vicinissimi nello spirito e nel corpo, tanto che nel ’47 avranno il figlio Claude e due anni dopo la figlia Paloma. Ma Picasso – come scriverà poi la stessa compagna – era gelosissimo, avrebbe voluto che si vestisse da monaca affinché nessun altro la guardasse, mentre “le donne entravano e uscivano nella sua vita come lucciole attratte da una lanterna; le fissava sulla tela, le usava sessualmente e quando era stanco le gettava via”. Nonostante la sua inguaribile infedeltà sentiva per Françoise una passione bruciante che gli accendeva la fantasia, l’ispirazione, dandogli – semmai ce ne fosse bisogno – una carica sensuale ed artistica inesauribile.

Cominciava tuttavia a manifestare singolari manie come quella di mettersi in tasca tutto il contante disponibile in casa, enormi mazzette di cartamoneta che contava e ricontava per ore. Françoise Gillot, stanca delle sue manie e dei continui tradimenti, decide di lasciarlo dicendogli persino di odiare la sua pittura mentre Picasso, nello stesso istante, per rabbia le spegneva una sigaretta sulla guancia (la donna in seguito si sposerà con un altro e resterà l’unica ad averlo piantato).

A quel punto chiunque, a 73 anni, si sarebbe rassegnato decidendo di farla finita con le donne. Non certo Picasso che, dal ’54, trascorre ormai la sua vita in Costa Azzurra dove conosce una ventottenne divorziata per la quale perde la testa. E’ Jacqueline Roque. Non si lasceranno più, acquista per lei a cento milioni di franchi un castello da favola, ma il pittore è ricchissimo: una schiera di mercanti d’arte internazionali attende quotidianamente in soggiorno di essere ricevuta con l’intenzione di sborsare qualsiasi cifra pur di accaparrarsi qualcuno dei tanti quadri che l’artista prolificamente dipinge ogni giorno. D’altronde Picasso ha inventato tutta o quasi la pittura contemporanea ed ancora oggi, nonostante abbia lasciato una produzione vastissima e senza eguali, le sue opere sono in assoluto le più costose del XX secolo. Nel castello di Vallauris trascorre quello che è, forse, il periodo più tranquillo della sua vita. Si sveglia a mezzogiorno, trova anche il tempo per giocare con i figli e gli animali che amava tenere con sé: alcune galline, due cani afgani ed una capra. Nel 1955 è morta demente la prima moglie, ma passeranno sette anni di convivenza prima di sposare in gran segreto Jacqueline Roque mentre si accinge a festeggiare il suo ottantesimo compleanno. Il più grande pittore del Novecento continua a lavorare freneticamente, non vuole più vendere le opere che desidera raccogliere in una monumentale collezione privata. Il 25 ottobre 1971 ricorre il suo novantesimo compleanno e continua nel lavoro creativo con l’entusiasmo e il vigore di sempre… fino a quando la morte suona alla porta della sua villa di Mougins in un giorno di aprile del 1973.

Sarebbero passati pochi mesi ed il figlio Paulo, primo ed unico avuto da Olga, si toglie la vita, come farà Dora Maar, negli anni Ottanta. Nessuno tuttavia aveva fatto caso, nel ’77, alla notizia che una vecchia donna si era suicidata. Marie-Therese Walter, l’amante-bambina incontrata da Picasso cinquant’anni prima, aveva deciso di impiccarsi. “

 

Farò ulteriori ricerche perchè, francamente non so cosa pensare…

ho trovato anche questa citazione di Marina Picasso secondo la quale la sua famiglia era incapace di <<sottrarsi all’abbraccio mortale di un genio che aveva bisogno di sangue per firmare le sue tele…per lui contava solo la pittura, la sofferenza o la felicità che gli procurava. Per servirla e disobbedirle, non appena era lui a dominarla, tutti i isistemi erano buoni. Come faceva con un tubetto di colore per estrarre una vibrazione cromatica, non esitava a schiacciare in lui un semplice sguardo(…) Amava le donne per gli istinti sessuali e carnivori che gli ispiravano. Voleva appropriarsi del loro mistero. Amante di carne fresca, le facevaa pezzi le violentava e se ne nutriva. Mescolando sperma e sangue, le esaltava nei suoi dipinti. le sottoponeva alla sua violenza…>>

 

Qui Picasso viene “dipinto” come un mostro di anaffettività…

percezione delirante o realtà? 14 0 20 anni di analisi freudiana hannno liberato Marina od hanno contribuito in una maniera più o meno rilevante a creare l’immagine del cannibale?

Credo che la ricerca della verità su questo tema sia molto complessa.

Come dato certo rimangono i suicidi e la fine tragica di molte persone vicine a Picasso.

Ma questi fatti vanno interpretati e compresi….

copyright domenico fargnoli

 

 

Alogon            

Inviato il: 1 Feb 2007, 03:59 PM

ovviamente le semplificazioni sono pericolose. Ma guardate cosa ha il coraqggio di scrivere Desmond Morris

famoso antropologo

 

“Perchè i geni tradiscono le mogli

E’ tutto scritto nel loro Dna”

L’antropologia spiega il vizio di Einstein, Picasso e altri potenti

 

DI DESMOND MORRIS

Dopotutto, allora, Albert Einstein non ha trascorso proprio ogni sua ora di veglia a scrivere col gessetto complesse formule alla lavagna: secondo alcune lettere, pubblicate questa settimana, dedicò parte del suo tempo anche a corteggiare le donne. E, a quanto pare, con apprezzabile successo. Per molte persone l’idea che Einstein abbia avuto dieci amanti non calza a pennello con l’immagine del grande genio solitario. Perché avrebbe sprecato parte del suo preziosissimo tempo nella logorante attività di portare avanti una serie di relazioni illecite, di avventure che avrebbero creato scompiglio nella sua vita famigliare, pregiudicando in modo particolare il suo rapporto con i figli?

 

La risposta è che lui, al pari di altri uomini molto creativi, aveva in abbondanza una delle qualità più tipicamente specifiche dell’uomo: il piacere di correre dei rischi. Ogni gesto creativo, ogni formula nuova, ogni innovazione che rompe col passato costituisce un atto di ribellione che, se coronato da successo, demolisce un concetto preesistente e di vecchia data. Pertanto, ogni qualvolta una mente brillante intravede una nuova possibilità, si trova a dover correre un rischio supremo.

 

Una nuova formula, una nuova invenzione possono anche non funzionare; possono, in effetti, rivelarsi un disastro, ma l’uomo di genio, qual è stato Einstein, ha il fegato di tener duro, nonostante tutti i pericoli, sia dentro sia fuori l’ambito intellettuale. Non che Einstein sia in alcun modo un esempio isolato: di fatto, più che costituire un’eccezione, è davvero nella norma, per ciò che concerne il rapporto tra grandi uomini e sesso.

 

C’è anche il gusto atavico del rischio, in una società con sempre meno pericoli. Ogni gesto creativo nasce dal gusto della sfida ed è un atto di ribellione

Scopriamo che il fisico non ha passato la sua vita a scrivere solo formule matematiche.

 

L’impulso dei maschi dominanti risale alla preistoria: il brivido da una caccia all’altra. Nel corso di una sua visita presidenziale in Gran Bretagna John F. Kennedy una volta sconcertò l’anziano Harold Macmillan lamentandosi con lui che se ogni giorno non aveva un rapporto sessuale con una donna soffriva di terribili emicranie.

 

Kennedy è stato insaziabile e irrequieto: si dice che facesse l’amore con un occhio sull’orologio e che liquidasse una donna non appena aveva fatto sesso con lei in tre posizioni diverse. Se possibile, preferiva farlo con due donne alla volta e seduceva qualsiasi giovane gli capitasse di incontrare, dalle starlet alle donne che facevano vita mondana, dalle segretarie alle hostess, senza dimenticare ovviamente le spogliarelliste.

 

Del resto l’impulso nei maschi dominanti di correre i rischi più grandi – un impulso che pare sia congenito – risale alla preistoria. I nostri antenati che vivevano sugli alberi, le scimmie, quando dovevano far fronte a un pericolo non facevano altro che salire su qualche ramo ancora più in alto, dove continuavano ad alimentarsi con un frutto o una bacca.

 

Quando però i nostri primi antenati scesero dagli alberi per vivere a terra, dovettero di colpo smettere di correre in giro in cerca di un riparo e imparare a far fronte a pericolosi rivali e prede non appena iniziarono a cambiare stile di vita nutrendosi di carne. Per trasformarsi in cacciatori di successo divenne così indispensabile un nuovo requisito particolare: l’audacia. Se volevano sopravvivere cibandosi di carne i cacciatori primordiali dovevano essere coraggiosi e correre dei rischi.

 

Le donne delle tribù erano troppo importanti per pensare di esporle ai pericoli: a escludere tale possibilità era il loro vitale ruolo di riproduttrici. Gli uomini, invece, erano sacrificabili. Se, come inevitabile, alcuni di loro perdevano la vita, gli altri potevano contribuire a mantenere inalterati i ritmi riproduttivi dei gruppi umani ancora molto sparuti. E così i maschi si trasformarono in cacciatori in branco, programmati geneticamente per accollarsi dei rischi e portare a termine il compito assegnato: portare a casa da mangiare.

 

Oggi le mansioni equivalenti alle cacce di allora – andare in ufficio o in fabbrica, così come lavorare in una fattoria – sono di gran lunga meno rischiose e pericolose, ma il ben radicato impulso a correre dei rischi sussiste invariato. A riprova di ciò c’è il fatto che gli uomini sono oggi molto più portati agli incidenti delle donne: nel corso della loro vita le donne hanno molte meno possibilità degli uomini di rimanere vittime di incidenti violenti. A trent’anni gli uomini hanno possibilità 15 volte superiori a quelle delle donne di morire in un incidente.

 

Agli uomini speciali – i più avventurosi – non rimangono che due possibilità: o impegnarsi in qualcosa che faccia loro correre dei rischi a livello fisico – come entrare nelle forze aeree speciali, farsi lanciare nello spazio o attraversare a piedi il Polo Sud – o esplorare nuove idee, creare nuove forme d’arte, inventare nuove tecnologie e di conseguenza cambiare lo stile di vita di noi tutti.

 

Gli uomini brillanti, quelli la cui creatività assicura loro un immenso successo, talvolta si ritrovano in situazioni curiose: a tal punto sono ricompensati dalla società per le loro realizzazioni che non riescono più a limitare la loro curiosità ai nuovi problemi del loro campo specifico. La loro curiosità inizia a interessarsi di altre aree. All’improvviso, per esempio, per loro diventano irrinunciabili nuove esperienze sessuali. A essere importante non è l’accoppiamento vero e proprio, che di fatto cambia soltanto di poco.

 

A contare molto, invece, è il brivido della caccia, l’eccitazione per la nuova conquista. Una volta coronata da successo la conquista, la novità della relazione inizia a smorzarsi e ha inizio un’altra caccia. Ogni avventura illecita comporta segretezza e sotterfugi, tattiche e strategie, nonché il terrificante rischio di essere scoperti, ed è tutto questo a renderle la metafora perfetta delle cacce primordiali.

 

A contribuire a queste avventure erotiche è il fatto che la fama, il potere e la ricchezza che questi uomini brillanti ricevono in cambio dei loro successi li rendono quanto mai allettanti per l’altro sesso. Possono anche avere il volto di un ippopotamo arrabbiato, ma grazie al loro status così alto in qualche modo riescono a irradiare ugualmente sex appeal, con grande incredulità e sconcerto degli affascinanti falliti che si occupano per loro di umili incombenze.

 

Si dice che il grande filosofo Betrand Russell, che nonostante tutta la sua innegabile brillantezza intellettuale non avrebbe mai potuto portarsi a letto una donna contando soltanto sul proprio aspetto fisico, soffrisse di “satiriasi galoppante”.

 

Egli affermò di non poter considerare una partner attraente dal punto di vista sessuale per più di qualche anno, dopo di che doveva per forza passare a una nuova conquista. Ebbe avventure con una lunga sequela di donne, e ne sposò alcune. Tra di loro vi furono una giovane segretaria, la moglie di un deputato, la figlia di un chirurgo di Chicago, una ricercatrice, un’attrice, una suffragetta, svariate insegnanti, la moglie di un docente di Cambridge e la governante dei suoi figli.

 

Un suo biografo descrisse la sua vita privata in questi termini: “Un caos di relazioni serie, di appuntamenti galanti segreti, di avventure emotive sul filo del rasoio che mettevano costantemente in pericolo la sua vita con scandali deleteri”. Questo è quel che si dice correre dei rischi al massimo livello.

 

Anche Picasso è stato insaziabile dal punto di vista del sesso, tanto che un suo amico ha detto che ne era letteralmente ossessionato. Fuori e dentro la sua vita c’è stata tutta una lunga processione di donne, Fernande e Eva, Olga e Marie-Therese, Dora e Françoise, Alice e Jacqueline, e molte altre ancora. Si dice che una volta abbia detto: “Non c’è nulla di più simile a un barboncino di un altro barboncino, e la stessa cosa vale anche per le donne”.

 

Similmente, anche Gauguin abbandonò la famiglia e si trasferì a Tahiti, dove gli fu possibile indulgere nella sua passione per le avventure sessuali accogliendo nella sua capanna una diversa ragazza del luogo ogni notte. Talvolta ne accoglieva anche tre in una stessa notte, e continuò la sua personale odissea sessuale perfino dopo che il suo corpo iniziò ad andare palesemente a pezzi per la sifilide che alla fine lo stroncò.

 

Quel genio del cinema che è stato Charlie Chaplin fu un sessuomane ancora più attivo, in grado, come disse, di “avere sei incontri a notte”. Tutte le volte che gli capitava di annoiarsi, si metteva a sedurre una ragazza. Ebbe quattro mogli, tre delle quali appena adolescenti, e un’infinita sfilza di amanti, alcune delle quali giovani in maniera quasi inquietante.

 

La prospettiva di deflorare una vergine costituiva per lui il sommo brivido e quando una di quelle vergini rimase incinta a 16 anni, egli fu costretto a sposarla. Il matrimonio durò soltanto due anni, durante i quali egli godette della compagnia di cinque amanti. Da giovane aveva frequentato i bordelli, ma più avanti nel corso della sua vita fu attratto da donne importanti e di talento e riuscì a sedurre una cugina di Winston Churchill, la figlia del commediografo Eugene O’Neill, le attrici Paulette Goddard, Mabel Normand e Pola Negri, e la ragazza di William Hearst, Marion Davies.

 

Alla fine, tuttavia, la sua mania di correre rischi per il sesso lo portò alla rovina: fu scacciato dall’America con l’etichetta di “dissoluto”, un’etichetta che rovinò un poco la sua fama. Pare proprio che gli uomini di grande talento o potere, da Elvis Presley a Bill Clinton, da Toulouse-Lautrec a John Prescott, siano propensi in modo particolare a mettere in gioco la loro carriera o la loro famiglia allo scopo di soddisfare il loro primordiale istinto di cacciatori.

 

È triste dirlo, ma questa è semplicemente una delle conseguenze dell’impulso naturale umano ad esplorare, uno dei prezzi che noi – e le mogli di tutto il mondo – dobbiamo pagare per essere la specie più innovativa di questo pianeta.

(Copyright Telegraph.uk

Traduzione di Anna Bissanti)

 

(14 luglio 2006)

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Alogon            

Inviato il: 1 Feb 2007, 04:06 PM

…però Berlusconi non è stato citato…a parte gli scherzi è incredibile a quale livello di stupidità si possa giungere nel tetantivo di “spiegare” il pensiero geniale.

Quindi su questo terreno bisogna procedere molto cautamente. Porsi delle domande, chiedersi se magari Picasso non fosse neppure paragonabile a Man Ray…. non parliamo di Kennedy….personalmente ho più dubbi che certezze. So per certo che mi turba l’idea d un’arte che si nutre del sangue di qualcuno.

Quando guardiamo “La gioia di vivere” l’apprezzamento estetico nasconde il cannibale?

Possibile che noi ci sbagliamo così grossolanamente?

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Fiore [omonimia di utente reg.]            

Inviato il: 1 Feb 2007, 04:41 PM

Esiste un film di James Ivory,che nasce come biografia di Picasso e si basa sulla biografia di Francoise Gilot ed un libro “Picasso :creatore e distruttore” di Arianna Stassinopoulos.E’ un film del 1996 ,”Surviving Picasso”. “Francoise Gilot “secondo il film””sarà l’unica donna in grado di sopravvivere all’amore per Picasso e a scegliere di allontanarsi da lui per la propria salvezza.Sarà l’unica a non impazzire o annullare la propria vita per Picasso.E pare che sia proprio questo,non tanto l’abbandono in sè,a gettare Picasso nello sconforto.Complessità del rapporo uomo-donna a certi livelli.Alcuni dipinti,relativi ed opere nei quali Picasso sembra abbia rappresentato l’immagine della donna-Francoise.Quali pensieri vuole rappresentare Picasso ne “L’ombra” (Vallauris,29 dicembre1953,olio e carboncino su tela,Parigi,Musée Picasso)?Picasso affermava:”uno non dipinge ciò che vede,ma ciò che sente,ciò che dice a sè stesso riguardo ciò che ha visto”.

 

 

Alogon            

Inviato il: 1 Feb 2007, 10:31 PM

Conosco il film su Picasso ed è molto interessante quello che tu dici sul rapporto uomo donna.

Però mi sembra di ricordare che Picasso ha anche scritto un testo teatrale che, non vorrei sbagliarmi ma si intitolava “Il desiderio preso per la coda” A suo tempo l’ho letto e mi ricordo che l’impressione che mi lasciò fu di stupore per la sua mediocrità. Una concessione ad una poetica surrealista?

Con ciò voglio solo dire che in questo caso, del teatro, non vedo l’artista. Quindi può darsi al di là di questo episodio che nella vita del pittore catalano ci siano stati altri momenti in cui non è stato “artista”. Magari più di una volta ha citato e copiato il se stesso dei momenti migliori.

Certo tutto ciò non diminuisce la grandezza del personaggio ma ci ammonisce sul fatto che la storia è spietata con i suoi protagonisti.

Essa mette in risalto luci ed ombre.

Direi che la genialità di Picasso è intrisa di imperfezioni, forse è slittata verso fome di anaffettività, di narcisismo che sicuramente hanno lasciato un segno pesante nelle persone che gli erano vicine.

Però la conclusione di tutto questo discorso è che è quasi impossibile essere artisti a tempo pieno:un genio, una persona su cui altri hanno riposto enormi aspettative, quando vacilla, per i motivi più svariati. può produrre guai molto seri.

Del resto ammesso e non concesso, che Picasso abbia avuto per es. nella fase finale della

sua vita problemi psicologici, chi poteva essere in grado di aiutarlo? di entrare nella complessità di una mente di quel genere?

Freud, Binwanger, solo per fare due nomi?

Gli psichiatri disonesti millantano la capacità di intervenire sulla psicopatologia degli artisti, non comprendendo che “la psicopatologia dell’artista” è una contraddizione in termini.

Mi verrebbe fatto di dire che solo un artista è capace di comprendere un altro artista.

Se costui poi è anche in grado di aiutare l’altro in un momento di difficoltà, in una fase cioè non artistica, egli, scusate la ripetizione, è doppiamente artista.

Tornando però un attimo su Man Ray, da cui eravamo partiti, a me sembra che il discorso, rispetto a lui, sia completamente differente.

Man Ray come del resto Duchamp è troppo razionale per essere artista. Freddo e ripetitivo come nei suoi cortometraggi.

Ha fatto alcune foto interessanti ma per il resto metterei in dubbio che sia stato veramente creativo nonostante che sia, a tutt’oggi il riferimento privilegiato di molti videoartisti attuali.

Man Ray appartiene al mondo dei furbi, degli sgamati, come Duchamp.

Ed io ritengo che entrambi abbiano prodotto opere insignificanti che brillano per il vuoto ed il nulla che propongono.

copyright domenico fargnoli

 

 

Alogon            

Inviato il: 5 Feb 2007, 02:50 PM

“La perla tra labbra “ è un’ esplorazione del mondo irrazionale, quello che rende possibile la creatività umana e delle reazioni che esso suscita in chi ad esso abbia un accesso saltuario o conflittuale.

“L’arte senza memoria” propone l’emergere d’ immagini che non sapevamo esistessero: esse si materializzano ma non sono ricordi, non sono riconducibili qualcosa di conosciuto.

Chi le crea deve comprendere egli stesso il loro significato. La comprensione può richiedere una ricerca complessa: così anche l’insieme dello spettacolo teatrale mano a mano si chiarisce dopo una fase iniziale nella quale esso sembra essere stato assemblato casualmente a partire da elementi isolati. Il linguaggio , in tutta questa indagine, assume un ruolo centrale: legandosi alle immagini le parole ci introducono in una dimensione che è “senza ragione”. Diventa protagonista della scena l’oscillazione continua della mente fra attitudini stati, d’animo, modalità di funzionamento completamente diverse tra loro ma tutte in fondo riconducibili ad un centro generatore che è al di fuori della coscienza. Le fluttuazioni espressive muovono un caleidoscopio di sensazioni, idee ed emozioni, che toccano lo spettatore in un modo che non è immediatamente comprensibile.

Sicuramente c’è un nesso profondo fra questo tipo di espressività artistica e la ricerca sulla realtà psichica.

Automatismo, immagini, parola pensata sono tutti termini che rimandano ad elaborazioni , contenuti che sono anche quelli della psichiatria, anche se quest’ultima utilizza uno stile di comunicare che deriva della scienza più che da quello dell’arte.

Nella storia della psichiatria comunque il tentativo di comporre insieme il sapere scientifico e le intuizioni artistiche ha avuto un ruolo tutt’altro che marginale.

Forse nel caso de “La perla tra le labbra” potremmo cercare il suo significato ( significato o senso?) non solo sul versante artistico ma anche su quello che riguarda l’indagine sulla realtà psichica.

Molte domande potrebbero sorgere relative alla fenomenologia dei processi creativi.

Alla creatività artistica bisognerebbe aggiungere un po’ di “scoperta” scientifica…..

copyright domenico fargnoli

 

 

Alogon            

Inviato il: 7 Feb 2007, 12:23 PM

Nel suo libro “Mio nonno Ricasso” la nipote Marina parla del pittore come un mostro di insensibilità, di un genio che si è nutrito del sangue della sua famiglia, amanti figli, nipoti morti per alimentare la sua grandezza. Però l’autrice dopo averci raccontato di essere entrata in possesso dell’eredità e comprata quattro macchine, fra le quali un fuoristrada ed una Ferrari (anche se dice di non averla tenuta per molto) giunge verso la fine della sua opera ( che tutto è fuorché “geniale”) ad una stupefacente conclusione

“Adesso [scrive] –ed è la ragione di questo libro-ho scoperto che siamo stati derubati. Avremmo potuto tranquillamente partecipare alla vita di nostro nonno, se l’irresponsabilità di un padre e di una madre, ma anche quella di una moglie possessiva, non ci avesse privati dell’affetto che Pablito ed io attendevamo con impazienza ad ogni visita>>

Ricasso considerato un dio in terra e circondato dal servilismo, era completamente concentrato nella sua arte. Aveva perso , secondo Marina ogni contatto con la realtà e si era rifugiato in un impenetrabile mondo interiore.

Del resto << Già da bambino si era rinchiuso in un universo artistico>> Comunicava solo con i suoi disegni.

<<Ricasso ha attraversato un secolo ma non viveva come i suoi contemporanei. E del resto non li vedeva neppure (…)>>

Poi aggiunge

<<Sezionava la propria anima, la analizzava. Le sue opere potevano esprimere castità e impudicizia, vitalità e morte, crudeltà e tenerezza, essere provacatorie e ingenue: sapeva far vibrare ogni corda con un’intensità che si trasmetteva a tutti quelli che l’avvicinavano. E li folgorava,”

A parte la diagnosi di autismo infantile ( idiot savant, sindrome di Asperger ? ) per cui la genialità si sarebbe sviluppata, alla Lombroso, su di un terreno difettuale, bisogna decidersi fra due opposte alternative : se Picasso era chiuso in un mondo autistico, schizoide, come faceva a far vibrare i sentimenti altrui con tanta abilità e maestria? O l’autismo o la capacità di sviluppare un linguaggio universale.

E’ su questo punto che il pensiero di Marina e chi l’ha aiutata a ricostruire la sua storia, si inceppa clamorosamente come del resto quando si chiede:

<<In definitiva, chi è stato più egoista? Io o Ricasso?>>

A me, francamente, quest’ultima sembra alla luce di quanto è stato affermato precedentemente, una domanda senza senso.

copyright domenico fargnoli

 

 

 

Fiore [omonimia di utente reg.]            

Inviato il: 7 Feb 2007, 08:37 PM

Nell’ultimo articolo di Left Massimo Fagioli facendo riferimento ad una pagina de “L’Espresso” del 18 gennaio -in relazione al discorso sulla trasformazione della realtà umana,destra e sinistra-afferma che “..si può studiare come la violenza sia nella ragione e non nell’irrazionale di Mozart e Picasso”. Anche Mozart se ben mi ricordo ha avuto un rapporto piuttosto “focoso” con le donne.Se ancora la mia memoria non mi tradisce o mi confonde,ricordo che proprio l’ultima compagna ,forse più per rancore che per reale difficoltà economiche, non abbia avuto quell’affetto nei confronti di Mozart stesso,almeno per rispetto della sua genialità,affinchè non fosse sepolto alla sua morte in una fossa comune anonima.Non che il particolare dellla sepoltura sia importante,ma mi ha colpito l’assenza di affetto,almeno quello che la descrizione cinematografica personalmente ha suscitato. Quello che mi fa riflettere è cosa succede nel rapporto uomo-donna quando c’è il confronto con la genialità,reazioni che possono avere effetti poi sui discendenti,figli e nipoti in particolare? E se Picasso e Mozart,non fossero stati poi quei “mostri” come vengono descritti,il problema è del “diverso” che si rapporta con la genialità? Incapacità di protezione e sviluppo della propria identità anche passando da un sano conflitto?

 

 

Guest            

Inviato il: 8 Feb 2007, 12:00 AM

QUOTE (Alogon @ 31 Jan 2007, 11:38 PM)

Devo precisare che sono un grande estimatore di Picasso. Ho cominciato a leggere libri su di lui,

alla biblioteca Comunale si Siena, fin da quando ero studente universitario.

Però non so come interpretare alcuni aspetti della sua biografia quali quelli riferiti da Marina Picasso….

propongo inoltre questa pag che ho trovato su internet

 

“Picasso e le donne

Nel 1904 il ventitreenne Pablo Picasso torna una seconda volta a Parigi con la precisa intenzione di restarvi e di diventare qualcuno. Iniziano gli anni straordinari dei periodi blu e rosa, ma anche quelli in cui l’artista spagnolo darà inizio ad esperienze erotiche e sentimentali senza eguali in tutta la storia dell’arte. Sino ad allora si era concesso qualche avventura fugace e mercenaria, ma appena tornato in Francia incontra il suo primo folle amore, Fernande Olivier, una giovane provocante e di grande bellezza. E’ il colpo di fulmine improvviso. La donna con un matrimonio fallito alle spalle ammalia il pittore a tal punto da travolgerlo in una passione forsennata: non può starle un attimo lontano e pur di assecondarla si dedica ai lavori domestici mentre lei lo osserva pigramente dal letto.

Gli otto anni trascorsi con la Olivier sono intensissimi ma sufficienti ad esaurire la sua passione amorosa, per cui la rottura è inevitabile quando conosce Marcelle Humbert. Decidono di fuggire insieme all’insaputa di tutti. ‘Il mondo comincia adesso e tu sei Eva’ – confidava teneramente alla nuova donna di cui è innamorato e che gli ispira una serie di quadri straordinari; ma fu un amore tragico e breve, poiché Marcelle muore all’improvviso nel 1916. Il pittore resta solo a Parigi mentre in Europa infuria la prima guerra mondiale: è triste, annoiato, partecipa svogliatamente alla realizzazione di una scenografia per la celebre compagnia del Balletto russo di Daghilev. Fra le ballerine conosce Olga Koklova, rimane folgorato dalla sua bellezza e decidono di non separarsi mai più. La sposa un anno dopo e la vita privata di Picasso cambia radicalmente, sembra diventato un borghese benestante mentre ostenta grossi anelli alle dita, però la sua natura irruente e passionale non tarderà a riemergere quando si accorge di non essere adatto al ruolo di marito, nonostante la nascita del figlio Paulo che spesso dipinge in braccio alla madre in quadri rimasti fra i capolavori della pittura moderna. Viene travolto da una carica erotica ossessiva come testimoniano centinaia di disegni quasi pornografici di quel periodo e alcuni quadri di donne lascive circondate da simboli fallici o grottesche figurazioni dei genitali femminili. Nel 1927 Picasso ha compiuto 46 anni, è un artista già ricco e famoso ma profondamente insoddisfatto della sua vita privata con una moglie che diventa sempre più gelosa. Lo si incontra quasi sempre fuori di casa mentre passeggia distrattamente nei boulevards, lasciandosi andare al caso – come teorizzavano in quel periodo i suoi amici surrealisti. E fu per caso che, in un gelido mattino di gennaio, rimase affascinato da una diciasettenne dagli intensi occhi azzurri, bionda e sensuale. Le si avvicinò dicendole “sono Picasso, vorrei farle un ritratto”, la portò al cinema e da quel momento divennero amanti. Era Marie-Therese Walter, una minorenne d’origine svizzera che viveva con la madre e non aveva mai conosciuto il padre. La fanciulla rimase affascinata, soggiogata da quest’uomo di trent’anni più vecchio che la trattava come un padre-padrone, iniziandola a pratiche sessuali prive di ogni tabù.

Marie-Therese è tranquilla, ben educata, si accontenta di vivere nell’ombra senza interferire nella vita privata del suo amante che sopporta sempre meno la moglie isterica e gelosa. Nei primi mesi del ’35, la ragazza gli annunciò di aspettare un bambino e Picasso decise di divorziare sebbene il matrimonio fosse soggetto alla comunione dei beni. La moglie per vendetta lo trascinò in tribunale e fece apporre i sigilli a tutte le proprietà del pittore, compresi i colori, i pennelli e i dipinti in lavorazione: “il peggior periodo della mia vita” definirà in seguito questi mesi terribili, che si conclusero con la definitiva separazione da Olga la quale morirà vent’anni dopo completamente pazza.

Dalla relazione con la giovane amante era nata una bambina che chiameranno Maya, ma Picasso riprende a girovagare per i boulevards, notando un giorno una bella ragazza con cui imbastisce un’intensa relazione erotica . Era Dora Maar, la quale corrispondeva fisicamente al suo tipo di donna preferito: bassa, come lui, formosa, bruna, elegante e colta. L’opposto di Marie-Therese, l’amante-bambina che lo attraeva sessualmente senza interessarlo sul piano intellettuale, ma non volle lasciarla e rimase con lei ancora per una quindicina d’anni, durante i quali andrà sempre a trovarla i giovedì e le domeniche quando la bambina era a casa da scuola. A Dora Maar dedicherà il resto del tempo fino a quando non si stancherà di lei, abbandonandola al suo destino.

Gli anni passano inesorabilmente, la seconda guerra mondiale sconvolge i corpi e le coscienze, Guernica è lì con le sue urla disperate ad ammonire gli uomini che continuano a combattere e morire. Nel 1944 Picasso conosce, a 63 anni, Françoise Gillot, l’allieva ventiduenne di un suo amico pittore. E’ una donna giovane ed affascinante, ha classe, uno stupendo sorriso e quarantun anni meno di lui. Anagraficamente lontani Pablo e Françoise, come novelli Paolo e Francesca, sono invece vicinissimi nello spirito e nel corpo, tanto che nel ’47 avranno il figlio Claude e due anni dopo la figlia Paloma. Ma Picasso – come scriverà poi la stessa compagna – era gelosissimo, avrebbe voluto che si vestisse da monaca affinché nessun altro la guardasse, mentre “le donne entravano e uscivano nella sua vita come lucciole attratte da una lanterna; le fissava sulla tela, le usava sessualmente e quando era stanco le gettava via”. Nonostante la sua inguaribile infedeltà sentiva per Françoise una passione bruciante che gli accendeva la fantasia, l’ispirazione, dandogli – semmai ce ne fosse bisogno – una carica sensuale ed artistica inesauribile.

Cominciava tuttavia a manifestare singolari manie come quella di mettersi in tasca tutto il contante disponibile in casa, enormi mazzette di cartamoneta che contava e ricontava per ore. Françoise Gillot, stanca delle sue manie e dei continui tradimenti, decide di lasciarlo dicendogli persino di odiare la sua pittura mentre Picasso, nello stesso istante, per rabbia le spegneva una sigaretta sulla guancia (la donna in seguito si sposerà con un altro e resterà l’unica ad averlo piantato).

A quel punto chiunque, a 73 anni, si sarebbe rassegnato decidendo di farla finita con le donne. Non certo Picasso che, dal ’54, trascorre ormai la sua vita in Costa Azzurra dove conosce una ventottenne divorziata per la quale perde la testa. E’ Jacqueline Roque. Non si lasceranno più, acquista per lei a cento milioni di franchi un castello da favola, ma il pittore è ricchissimo: una schiera di mercanti d’arte internazionali attende quotidianamente in soggiorno di essere ricevuta con l’intenzione di sborsare qualsiasi cifra pur di accaparrarsi qualcuno dei tanti quadri che l’artista prolificamente dipinge ogni giorno. D’altronde Picasso ha inventato tutta o quasi la pittura contemporanea ed ancora oggi, nonostante abbia lasciato una produzione vastissima e senza eguali, le sue opere sono in assoluto le più costose del XX secolo. Nel castello di Vallauris trascorre quello che è, forse, il periodo più tranquillo della sua vita. Si sveglia a mezzogiorno, trova anche il tempo per giocare con i figli e gli animali che amava tenere con sé: alcune galline, due cani afgani ed una capra. Nel 1955 è morta demente la prima moglie, ma passeranno sette anni di convivenza prima di sposare in gran segreto Jacqueline Roque mentre si accinge a festeggiare il suo ottantesimo compleanno. Il più grande pittore del Novecento continua a lavorare freneticamente, non vuole più vendere le opere che desidera raccogliere in una monumentale collezione privata. Il 25 ottobre 1971 ricorre il suo novantesimo compleanno e continua nel lavoro creativo con l’entusiasmo e il vigore di sempre… fino a quando la morte suona alla porta della sua villa di Mougins in un giorno di aprile del 1973.

Sarebbero passati pochi mesi ed il figlio Paulo, primo ed unico avuto da Olga, si toglie la vita, come farà Dora Maar, negli anni Ottanta. Nessuno tuttavia aveva fatto caso, nel ’77, alla notizia che una vecchia donna si era suicidata. Marie-Therese Walter, l’amante-bambina incontrata da Picasso cinquant’anni prima, aveva deciso di impiccarsi. “

 

Farò ulteriori ricerche perchè, francamente non so cosa pensare…

ho trovato anche questa citazione di Marina Picasso secondo la quale la sua famiglia era incapace di <<sottrarsi all’abbraccio mortale di un genio che aveva bisogno di sangue per firmare le sue tele…per lui contava solo la pittura, la sofferenza o la felicità che gli procurava. Per servirla e disobbedirle, non appena era lui a dominarla, tutti i isistemi erano buoni. Come faceva con un tubetto di colore per  estrarre una vibrazione cromatica, non esitava a schiacciare in lui un semplice sguardo(…) Amava le donne per gli istinti sessuali e carnivori che gli ispiravano. Voleva appropriarsi del loro mistero. Amante di carne fresca, le facevaa pezzi le violentava e se ne nutriva. Mescolando sperma e sangue, le  esaltava nei suoi dipinti. le sottoponeva alla sua violenza…>>

 

Qui Picasso viene “dipinto” come un mostro di anaffettività…

percezione delirante o realtà? 14 0 20 anni di analisi freudiana hannno liberato Marina od hanno contribuito in una maniera più o meno rilevante a creare l’immagine del cannibale?

Credo che la ricerca della verità su questo tema sia molto complessa.

Come dato certo rimangono i suicidi e la fine tragica di molte persone vicine a Picasso.

Ma questi fatti vanno interpretati e compresi….

 

…sono daccordo con quanto dice alogon…e riguardo a questo tema volevo solo aggiungere un altro fatto non menzionato e che penso sia molto importante ..ho un libro che si intotola”picasso e Jacqueline”,l’autore e’ un famoso fotografo fotoreporter David Douglas Duncan intimo amico di Picasso e Jacqueline che frequento’ la casa in costa azzurra per tutti gli anni in cui i due vissero insieme fino alla morte di Picasso. E’ un libro che racconta per immagine il quotidiano della loro vita…nelle ultime pagine ci sono solo immagini di lei dopo la morte di Picasso e raccontano il declino di questa donna rimasta sola e il fotografo scrive nell’ultima pagina:”una mattina di ottobre dieci giorni prima dell’anniversario del compleanno di Pablo e tredici anni dopo la sua morte un colpo di pistola isolato esplose nella stanza da letto di Jacqueline a Notre-dame-de-vie.”

Anche lei,l’ultima compagna di Picasso si uccise..non so cosa pensare,e’ difficile parecchio dare una spiegazione a tutte queste morti …………..

 

 

Alogon            

Inviato il: 8 Feb 2007, 11:12 AM

Noi cerchiamo solamente di fare una ricerca e di capire. Non esprimiamo giudizi apodittici

soprattutto riferendoci al passato.

L’unica idea che mi viene in mente è una frase che devo aver letto in “Bambino ,donna e trasformazione” di Fagioli. Mi sembra che ad un certo punto si dica che il rischio per l’artista (tradizionalmente inteso) è quello di pensare di aver messo al mondo dei bambini morti. Morti in quanto il pittore esplica la sua crertività tramite oggetti inanimati.,,,Marina Picasso dice che la sua era una famiglia di morti….scrive esattamente<<(..) noi Picasso siamo persone nate morte, intrappolate in una spirale di pseranze sempre deluse>>

Ho trovato “Bambino cit”.

<<La creatività artistica è un dare forma a quanto è informe nell’ambito però della natura fatta di oggetti inanimati.

“L’oggetto di natura, passivo è deludente non vivrà mai. Presenterà un’esistenza senza vita. Potrebbe essere orribile, a livelli profondi, mettere al mondo bambini morti. Fare cioè cose semplicemente materiali. E l’oggetto quindi non potrà mai essere veramente umano. Sarà odiato e manipolato. Bene, con arte, ma non realmente investito di sessualità. E’un rapporto senza speranza, resta un rimedio all’amorfo, al negativo e non trasformazione reale di esso.(…) E il rapporto con la natura si sa, per quanto artistico sia, è sempre il rapporto di dominio, da padrone a schiavo>>

Più che Picasso mi sembra che il problema riguardi le arti figurative in generale quando siano avulse da una ricerca di una trasformazione nell’ambito del rapporto interumano.

copyright domenico fargnoli

 

 

fiore [omonimia di utente reg.]            

Inviato il: 8 Feb 2007, 04:51 PM

Non so se può avere un valore,in ogni modo il moderatore ha la facoltà di non far passare il messaggio..poco fa stavo ascoltando la seconda parte ,l’adagio,del concerto per clarinetto e orchestra in la maggiore,K 622 di Mozart,parte che ho ascoltato in passato più volte e che apprezzo in modo particolare.Il pezzo è molto struggente,ma la sensazione che questa volta mi ha suscitato è stata molto più particolare..ad un certo punto percepivo emotivamente così forte la musica che mi sembrava di udire quasi un linguaggio,ma non vere parole,come una lingua del tutto particolare non facilmente descrivibile che arrivava a me non solo all’orecchio ma a tutto il corpo e così densa di significato che mi ha colpito così forte da rendere così intensa la mia sensibilità in un turbine i note ,di pensieri avvolti in una atmosfera di indicibile tenerezza che avvolgeva l’aria.Come se il mondo fuori ,passato e presente,con le sue difficoltà le sue brutture,la lotta di tutti i giorni,le teste di pietra,,il dolore fosse così lontano… e la musica faceva “sentire” la sua immagine,l’immagine di un altro mondo,un mondo nuovo,così umano e così semplice d’altro canto,l’immagine di quel filo così prezioso che ci può far sentire veramente tutti serenamente a casa.E’ una dimensione che solo certi artisti sanno riaccendere? Penso allora a quanto potere ci sia veramente nell’arte.Non accetto qesto mondo impazzito ,non accetto gli psicofarmaci ai bambini,non accetto le masturbazioni dei politici.. vorrei avere ancora più forza perchè credo che sentirsi vivi è anche lottare veramente per un futuro diverso..volere fortemente il cambiamento..non riesco,non voglio rassegnarmi ,ora più di prima.

 

 

Guest            

Inviato il: 8 Feb 2007, 05:34 PM

Picasso, Mozart … tante storie edificanti che danno da pensare … allora sorge la domanda: quando si producono ferite gravi e profonde, esiste la possibilità reale di richiuderle? o rimarranno sempre latenti? E forse un’altra domanda: esiste questa possibilità all’interno del rapporto stesso che le ha prodotte, o al massimo si può sperare di elaborare, superare, e magari non riprodurre da un’altra parte?

 

 

Alogon            

Inviato il: 8 Feb 2007, 10:41 PM

Se non ricordo male ho scritto da qualche parte che l’arte nonè consolazione per anime inquiete e tormentate. Questo per quanto riguarda il primo intrvento.

 

Il secondo intervento è un mela avvelenata ed io la lascio lì dove si trova.

copyright domenico fargnoli

 

 

Alogon            

Inviato il: 9 Feb 2007, 03:47 PM

Sempre Fagioli scrive<< Gli artisti consolano l’uomo del suo terrore dell’ignoto e dell’incomprensibile(…)

Sono come le donne che fanno i bambini andando un pò al di là della procreazione meccanica per l’utile della società, per un bello, senza raggiungere la realizzazione completamente creativa di far comparire quanto prima non c’eranel senso più completo del mettere al mondo un essere umano fin falla nascita. Restanop cioè alla realtà materiale non riuscendo ad andare ald ilà, nel cogliere amare e rapportarsi a quanto c’è di realtà fisica nel neonato(…) Sfingi ancora una volta fanno la ribellione parziale al Dio che annulla l’uomo.(…)>>

La rappresentazione dell’immagine e la negazione della sostanza rivela un’impotenza di fondo nell’affrontare la pulsione di annullamento….è per questo che ho qualche titubanza a volermi dichiarare artista?

copyright domenico fargnoli

 

 

Alogon            

Inviato il: 9 Feb 2007, 09:11 PM

com’è quindi che l’arte può evitare di essere consolazione?

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Fiore [omonimia di utente reg.]            

Inviato il: 10 Feb 2007, 12:23 AM

Riporto alcune righe dell’introduzione di “Una notte d’amore” ..”La bellezza non è consolazione,la poesia non è rifugio per anime inquiete e tormentate.L’arte sconvolge,contraddice il buon senso:essa germoglia nei luoghi più impensati sfidando facili credenze,la violenza,la normalità dei cantori di sventure.Forse per creare qualcosa di bello bisogna saper scegliere,intuire quali persone al di là di ciò che viene dichiarato ci vogliono veramente bene.”

 

 

Guest            

Inviato il: 12 Feb 2007, 05:48 PM

Ho letto che Picasso, al momento della nascita, fu creduto morto e quindi privato di cure finchè non si accorsero che in realtà il bambino era vivo…questo episodio avrebbe condizionato la sua infanzia…se è vero, mi viene da pensare che la morte fisica abbia un pò contrassegnato tutta la sua esistenza girandogli intorno, in qualche modo. Penso anche alla morte del suo carissimo amico suicida, di cui Picasso rappresentò il funerale…

 

 

Alogon            

Inviato il: 13 Feb 2007, 09:38 PM

Però potrebbe essere che egli ha resistito fin dall’inizio all’annullamento altrui….cmq molto interessante….

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Alogon            

Inviato il: 14 Feb 2007, 11:31 PM

Se è v ero che Picasso è riuscito a difendere per tutta la vita la sua nascita, minacciatqa fin dall’inizio, è altresì vero che egli è la dimostrazione che l’arte non è terapeutica. Come testimonisa anche il film di Clouzot Il mistero Picasso: la pittura del catalano determinava crisi profonde in coloro che ne venivano a contatto.

Ma se il catalano riusciva a destabilizzare le persone che aveva intorno le molte tragedie accadute testimoniano che i suoi quadri non erano in grado di curare nessuno…altrimenti il più grande pittore avrebbe dovuto essere anche il più abile terapeuta…

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Alogon            

Inviato il: 15 Feb 2007, 11:13 AM

a proposito della disumanità di Picasso leggo nel libro “Guernica di Van Hensenbergen”.

Durante la guerra Picasso dimostrò il suo appoggio donando il denaro della vendita di Songe e mensonge alla Repubblica, comprando latte per i bambini bisognosi di Barcellona, devolvendo 500000 franchi francesi per aiuto agli intellettuali in esilio,ai rifugiati repubblicani e ad altre persone non grate vioè membri del partito comunista ed anarchici. Francoise Gilot ricorda visite potenzialmente pericolose di combattenti della resistenza(…) compromettenti erano anche le spedizioni di denaro in Spagna per assicurare permessi d’ingresso ad esuli spagnoli, il finanziamento di un ospedale per repubblicani feriti a Tolosa, il sostegno finanziario offerto a pittori ebrei…

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Alogon            

Inviato il: 16 Feb 2007, 07:22 PM

Ho trovato un passaggio interessante nel libro di Francoise Gilot “Life wirh Picasso”

traduco liberamente ciò che diceva il pittore catalano<< Ciò che io creo dipingendo è ciò che deriva dal mio mondo interiore. Ma allo stesso tempo io ho necessità del contatto e dello scambio con gli altri(…)

Segue un passo interessantissimo in cui Picasso che si proclama antirazionalista, rivela che il suo vero interesse è il pensiero anzi il movimento del pensiero che lui trascriveva nei quadri quasi fossero stati pagine di un diario.

La sua è una pittura molto diversa da quella di Cezanne. Cezanne osservava la natura e nel ricevere l’impressione di un oggetto fuori di lui coglieva la corrispondenza fra la percezione ed una domanda estetica che preesisteva in lui. Quando invece Picasso faceva un albero non sceglieva l’albero nè lo guardava: egli non aveva un’estetica prestabilita sulla base della quale operare una scelta. Non aveva prederminato l’albero dentro di lui e dipingeva qualcosa che non esisteva senza alcuna attitudine o giudizio estetica

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Fiore [omonimia di utente reg.]            

Inviato il: 16 Feb 2007, 09:48 PM

..ed infatti Picasso stesso diceva che ui dipingeva come un “cieco”,dipingeva cioè ciò che sentiva e non ciò che vedeva. Questo mi fa pensare,nel campo della musica,al jazz e a due frasi di Miles Davis tratte dall’autobiografia “..improvvisazioni,è questo che rende il jazz così favoloso…L’umore di un musicista è la musica che suona.”

 

 

Alogon            

Inviato il: 17 Feb 2007, 11:52 AM

Leggendo il libro della Gilot emergerebbe che a partire dal settantesimo compleanno di Picasso il suo terrore per la morte si accentuò . Inoltre vedendo tutto il tempo una persona giovane che si muoveva intorno a lui ciò appariva come un costante rimprovero per non essere più giovane lui stesso. Non solo ma tale circostanza diventava un’accusa contro la giovane donna stessa….

…Picasso si sentiva in una condizione analoga a quella di Chaplin ( incontrato agli inizi degli anni 50) che in vecchiaia andò incontro ad un declino artistico

<< La vera tragedia-diceva il pittore- risiede nel fatto che Chaplin non può più assumere l’aspetto del clown perchè non è più magro, giovane e non ha più la faccia e l’espressione del suo “piccolo uomo” ma quella di un uomo che è invecchiato. Il suo corpo non è più lo stesso: il tempo lo ha conquistato e lo ha trasformato in un’ altra persona. E ora è un’anima persa>> Trovava ridicolo il sentimentalismo e l’atruismo di stampo cristiano espresso nel film “Limelight” di Chaplin.

copyright domenico fargnoli

 

 

Guest

Inviato il: 17 Feb 2007, 03:08 PM

sono entrata a contatto xon qiesto forum poco tempo fa e da principante , o possiamo dire anche neofita, vorrei rischiare di dire due parole pur conoscendo la severità del moderatore, che devo diere mi intimidisce un po’ ma allo stesso tempo si sente che è una brava persona e pone dei quesityi veramente stimolanti.

Intanto con questi egregi Sognori si capisce cje le cose non sono mai facili, questo è quello che verrebbe da dire in prima battuta, Importante però non fermarsi alle apparenzr e – credo di capire, nonostante il fatto, riopeto, che sono alle prime “armi “ – pensare sempre di cogliere il secondo livello nelle cose, magari anche il terzo e il quarto . Non si smette mai di imparare, se esidte una verità è proprio questa, e aggiungerei che il giorno in cui si smettesse vorrebbe dire che non si stesse più tanto bnene… La vita è una lotta continua e, da quanto capisco, è importante puntare a rafdorzare semptre la propria resistenza. Essa non è mai abbastanza perché non si sa mai cosa avremo da affrontare domani, dopodomani, il giorno dopo ancora. Può sempre accadere di tutto, anzi accade sempre quando meno te l’aspetti , e quindi sono eramente grata ai vari partecipanti di questo Forum che ce lo fanno ben vedere e capire.

Che non bisogna scoraggiarsi mai , forse è quella la lezione più grande che ci insegna la bvita, in tutte le sue sfumatture e sfacettature, e per fortruna ci sono persone che, alla pari dei più grandi uomini e artisti , lo mettono in atto ogni giorno e fanno stare bene gli altri .

 

 

bice            

Inviato il: 18 Feb 2007, 01:37 AM

Tra i tanti aspetti dell’uomo e dell’artista Picasso che non sono riuscita ancora a comprendere c’è quello del significato della presenza costante nella sua opera della figura dalla quale sembra, nonostante tutte le “distruzioni” da lui operate, non essersi mai veramente liberato. Non mi è chiaro se questo abbia potuto rappresentato una sua forza oppure un suo limite.

A parte il fatto che forse sarebbe necessario preliminarmente approfondire cosa si debba intendere, riferendosi alla rappresentazione artistica, con il termine “figura”, vorrei riportare alcune dichiarazioni di poetica di Picasso. I testi nei quali l’artista ci parla in prima persona della sua opera, per quel che io conosca, non sono molti e in alcuni casi contraddittori nel significato e comunque buona parte delle sue affermazioni sono state trascritte da altri.

Nonostante da esse emerga sicuramente un’impostazione antinaturalistica e la difesa di un’arte come espressione delle idee e del pensiero dell’artista, (“Un quadro non è mai pensato e deciso anticipatamente, mentre viene composto segue il mutamento del pensiero, quand’è finito continua a cambiare, secondo il sentimento di chi lo guarda”. “ ( …) se il pittore ha idee, vengono fuori da come dipinge le cose”) vi è altresì teorizzata la necessità di costruire l’immagine partendo da un oggetto esterno, dalla natura. E’ questa impostazione metodologica che, a tratti, mi lascia un po’ perplessa.

 

“Non è dal vero che lavoro, ma davanti alla natura, con essa. Nulla può essere fatto senza la solitudine. Mi sono creato una solitudine che nessuno sospetta”.

A proposito della sua opposizione verso l’arte astratta, egli afferma:

“L’arte astratta non esiste, si deve sempre partire da qualcosa. Si può togliere, dopo, qualsiasi apparenza di realtà, ma l’idea dell’oggetto avrà comunque lasciato il suo segno inconfondibile. Perché è l’oggetto che ha toccato l’artista, ha eccitato le sue idee, ha scosso le sue emozioni. Idee ed emozioni saranno, alla fine, prigioniere della sua opera. (…). Lo voglia o no, l’uomo è lo strumento della natura, che gli impone il suo carattere, la sua apparenza. (…)Non si può andar contro la natura. Essa è più forte dell’uomo. Ci conviene andar d’accordo con la natura. Possiamo permetterci certe libertà, ma soltanto nei particolari”.

Ancora:

“Non esiste, del resto, un’arte figurativa e un’arte non figurativa. Ogni cosa ci appare sotto forma di figura. Persino nella metafisica le idee si esprimono attraverso figure; è quindi evidente che sarebbe assurdo pensare a una pittura senza figurazioni. Un personaggio, un oggetto, un cerchio, sono figure; esse agiscono su di noi più o meno intensamente. (…).Credete che m’interessi il fatto che questo quadro rappresenta due personaggi? Questi due personaggi sono esistiti, ora non esistono più. La loro visione mi ha dato un’emozione iniziale, poco alla volta la loro presenza reale è sfumata, essi per me sono diventati una finzione e poi sono scomparsi, o meglio, si sono trasformati in problemi di ogni genere. Per me non sono più due personaggi, ma forme e colori – forme e colori, intendiamoci, che esprimono tuttavia l’idea dei due personaggi e conservano la vibrazione della loro vita”

Riguardo al surrealismo, più tardi, nel 45, egli afferma: ”tengo alla somiglianza ad una somiglianza più profonda, più reale del reale che raggiunga il surreale. E’ così che concepivo il surrealismo, ma la parola è stata usata in ben altro modo”.

Ancora, nel ‘58, affermava: “Bisogna tornare a dipingere il paesaggio con gli occhi. Per vedere una cosa occorre vederle tutte. Il paesaggio si deve dipingere con gli occhi e non con i pregiudizi che stanno nella nostra testa. Magari con gli occhi chiusi, corresse per timore di aver esagerato ma con gli occhi”

 

E’ interessante che Picasso, fino ad età inoltrata, abbia continuato a considerare le opere cubiste come le migliori anche se si rammaricava che non venissero capite dal pubblico. Questo, insieme al fatto che credo si possa affermare non sia esistita negli ultimi decenni della sua attività un’evoluzione paragonabile a quella dei suoi esordi, mi viene da collegarlo alla contemporanea inadeguatezza che egli provava nel rapporto con la donna di cui parlava Alogon.

Forse anche in un genio, in un’artista certamente straordinario come Picasso, possono essere esistiti degli elementi di razionalità ..non so in questo contesto come meglio esprimermi, che, senza nulla togliere alla sua grandezza, non gli hanno permesso l’accesso completo ad una dimensione assolutamente non cosciente, la sola che permetta un’evoluzione personale ed artistica continua che non conosce l’angoscia della decadenza fisica od il terrore della morte?

 

 

Alogon            

Inviato il: 18 Feb 2007, 01:38 AM

leggo e cerco di capire anche se la tesi della senenscenza di fracoise gilot non mi convince affatto..

paura della morte…paura di impazzire…

Nel libro della Gilot viene riportato un episodio curioso. Nel 53 a Picasso in occasione della morte di Stalin fu commissionato un ritratto dello statitista sovietico per il giornale dei comunisti francesi diretto da Aragon.

Picasso lo eseguì di maklavolgia ed a d operazione terminata si accorse che assomigliava più al padre di Francoise che a Stalin. I comunisti reagirono violentemente alla provocazione.

Ma la domanda che mi pongo io è la seguente: chi era più razionale il pittore o la donna?

Forse sono domande alle quali non sappiamo se potremmo mai rispondere con certezza.

Strano a dirsi ma la crisi fra Gilot e Picaso tocca il suo culmine nel periodo della morte di Stalin….pura coincidenza?

copyright domenico fargnoli

 

 

Alogon            

Inviato il: 20 Feb 2007, 09:53 PM

Da quando l’arte ha cessato di essere un’illustrazione di un testo sacro essa ha a vuto la possibilità di divenire espressione di una dimensione irrazionale. Essa ha cominciato pertanto a produrre un’effetto sullo spettatore che non è solo di ammirazione ma conteneva una promessa di cambiamento. Nei primi decenni del secolo scorso l’arte era pervasa da fermenti rivoluzionari in piena rottura con il passato come nell’estetica futurista.

L’arte da sola però non aveva gli strumenti per produrre una trasformazione così si è legata alla politica , alla psichiatria, alla psiconalisi. Si è annullata nella politica, si è negata con la psichiatria e si è suicidata con la psicoanalisi.

Ad un certo punto sicuramente si è determinata un’impasse ed il mondo artistico a cominciato a girare su se stesso: solo alcuni come Picasso si sono salvati dal ripetere continuamente la storia dell’arte come mera denuncia della disperazione, del fallimento per la perdita di ogn speranza.

Certo l’uomo Picasso non è esente da ombre ma egli rispetto a Duchamp e Man Ray è un gigante: a lui comunque non si può chiedere ciò che non poteva dare.

Nella sua opera io vedo vitalità ed un barlume di speranza che certo hanno annullato coloro che i in nome suo si sono suicidati forse per sfregiarlo con un gesto estremo, per cancellare un messaggio di vita e non di morte.

Mentre in Duchamp, Man Ray e voglio aggiungere Andy Warhol s ipuò cogliere l’anaffettività ed il cinismo violento appena mascherati dal belletto dell’estetica. Con questi ultimi l’arte diviene un Moloch che richiede sacrifici umani per sopravvivere.

copyright domenico fargnoli

 

 

 

fiore [omonimia di utente reg.]            

Inviato il: 21 Feb 2007, 07:39 PM

In riferimento al messaggio di Alogon “…Con storie come queste nel nostro passato,storie esaltate e tristemente reiterate fino ai giorni nostri,forse faccio bene a non volermi considerare un artista.” “Artista” è solo un termine,il passato e quelle storie sono solo un periodo della storia dell’uomo…Picasso inconsapevole dei suoi messaggi di speranza e di vita,pur con i suoi limiti.Oggi alla luce di una nuova psichiatria che fa i suoi passi alla luce di nuove scoperte e di una continua ricerca,sull’augurio che prima o poi anche la politica si riappropri dell’irrazionale,della consapevolezza del rapporto fra arte e psichiatria,la speranza è diventata un’esigenza…intravedere questo mondo nuovo,rappresentarlo in tutte le sue forme..un mondo che sa di buono,che parla di trasformazioni possibili. Si sta aprendo un’epoca nuova,forse tanti non lo sanno,ma che va costruita con il contributo di tutti…l’arte è comunicazione.Se ritieni Alogon che “questo passato “ ormai sta finendo puoi scegliere la parola che vuoi per separare il modo e i contenuti di rappresentare il tuo pensiero dalle storie che hai citato,ma scrivila a lettere maiuscole se il messaggio di vita e di speranza può essere accolto da sempre più persone.

 

 

Alogon            

Inviato il: 21 Feb 2007, 11:24 PM

grazie della lezione…

copyright domenico fargnoli

 

 

Alogon            

Inviato il: 22 Feb 2007, 12:30 AM

Riflettevo sul fatto che un uomo come Picasso che ha sviluppato un’identità straordinaria con tutto ciò che essa comporta,era destinato ad attirare un tipo di donne che potevano avere un tratto, diciamo così, “erotomanico”.

Mi riferisco alla famosa sindrome di Clerambault che è una forma di delirio cronico paranoicale da cui sono affette persone che cercano il rapporto, riuscendoci o meno, con personaggi famosi.

Cercano il rapporto purtroppo non perchè li amino o siano mosse da desiderio ma per il motivo esattamente contrario: sono attratte dalla fama, dal potere e non necessariamente dall’uomo in carne ossa. Non a caso dopo il 53 Picasso si ritraeva come un piccolo nano deforme di fronte ad una donna giunonica.In fondo Francois Gilot non ha scritto “La mia vita” ma ha scritto “La mia vita con Picasso”. Senza il pittore catalano lei sarebbe stata qualcuno?

Forse io colgo quella che potrebbe essere solo una sfumatura paranoicale della personalità della pittrice francese che dopo. peraltro, si distinse per il suo rapporto con Salk uno degli scopritori del vaccino della polio, anch’egli, quando si dice il caso, assurto ad una notorietà mondiale.

Il suicidio dell’ultima compagna di Picasso potrebbe far pensare ad una modalità di relazione delirante, di tipo erotomanico, più o meno manifesta: la morte del pittore fa crollare il delirio ed evidenzia il vuoto, la depressione, e fa scattare l’impulso suicida.

copyright domenico fargnoli

 

 

Guest            

Inviato il: 22 Feb 2007, 04:35 PM

A questo punto vorrei capire meglio un aspetto che non mi è chiaro: perchè Picasso, con un’immagine forte, una forte identità di artista ed una spiccata vitalità (che traspare con evidenza dalle sue opere) non ha incontrato una donna con un’altrettanto forte immagine femminile? la sua solitudine deve essere imputata solo a cause esterne oppure ad una carenza nella sua personalità?

 

 

Alogon            

Inviato il: 22 Feb 2007, 05:05 PM

Fracoise Gilot aveva una forte personalità ma non la creatività di Picasso. Quanto all’altra il pittore

instaurò un rapporto con lei quando si avvicinava all’’ottantina…quando ciòè la maggior parte degli uomini è già grassa se giocano a bocce…

copyright domenico fargnoli

 

 

Alogon            

Inviato il: 24 Feb 2007, 10:07 PM

Leggo però con mia sorpresa nella documentata e certo non superficiale opera “ Picasso a cura di Ingo F. Walther che Picasso si è accreditato come <<il genio del secolo>> non solo per la sue capacità artistiche e la sterminata produzione soprattutto dell’ultimo periodo ma anche perchè perseguiva una precisa strategia. Assecondava con il suo comportamento privato e pubblico quello che la leggenda vuole ci si aspetti da un artista: quest’ultimo viene considerato un essere fuori dalla società e può permettersi libertà vietate all’uomo comune che deve sottostare a convenzioni sociali. “Quod licet Jovi non licet bovi” sentenziavano i latini.<<Soprattutto nelle opere degli ultimi anni un Picasso eternamente potente si presenta ad un pubbblico sfacciatamente voyeuristico: l’artista inesorabilmente produttivo, che agisce quasi in stato di ebbrezza, che sprofonda interamente nel suo lavoro, fu il camuffamento che lo aiutò a vivere tanto a lungo(…) Interessante, ai fini della valutazione dell’importanza da attribuire a Picasso nella storia dell’arte, è il momento della strategia che qui si palesa. Riconoscere questo momento significa contraddire la generale convinzione che l’artista agisca inconsciamente e seguendo la sua immaginazione. La produzione picassiana si mostra invece del tutto razionale….>>

Ammesso e non concesso che quanto riportato nella citazione risponda a verità, potremmo dedurre di trovarci di fronte ad un manierismo, come dire ad una anaffettività, molto abilmente occultata che contraddirebbe le dichiarazioni esplicite di una poetica antirazionalista. Un manierismo che consisterebbe nel produrre citazioni ed imitazioni di se stesso.

Saremmo arrivati ad una conclusione senza dubbio sorprendente per chi prediliga giudizi aprioristici e manichei….

Trovo sempre a partire dalla stessa fonte quest’altro pesantissimo giudizio, che conferma quanto avevo formulato autonomamente:

<<La serie delle parafrasi tradiscono però quello che sarà il tratto predominante dell’arte di Picasso verso la fine degli anni cinquanta: un tratto sempre più tautologico, quasi autistico, che si nutre di un vero e proprio collage di motivi rivisti un’infinità di volte.(…) Molti dei dipinti e degli studi di questo periodo non hanno evidentemente altra ambizione che quella di riempire le tele e spostano così l’attività creativa du di un piano triviale: il loro scopo è puramente commerciale>>

E’ un giudizio pesante formulato a partire da un’analisi molto attenta e circostanziata dell’opera del pittore catalano.

Ciò che nel libro di Marina Picasso appare mal formulato e dissociato e quindi scarsamente attendibile con Walther sembra acquisire plausibilità:una crisi degli ultimi anni.

Picasso diventa, a partire dagli anni sessanta e suo malgrado, un classico, legato ad una forma di figurazione e di rivisitazione del passato…

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Alogon            

Inviato il: 26 Feb 2007, 05:46 PM

Fino a questo momento quindi l’analisi più corretta sembra quella proposta da Bice su questo forum. Negli ultimi anni della vita del pittore “la quantità della produzione testimonia l’inaudita vitalità di Picasso, Il pubblico reagì con ammirazione akll’interrotta attività del più significativo artista del suo tempo. In realtà la meraviglia cela un giudizio distruttivo: infatti la logica conseguenza di un atteggiamento del genere assegna priorità alla quantità e non alla qualità della produzione, La sconfinata ammirazione per l’agilità della mano del vecchissimo Picasso è la stessa che si può avere per un fenomeno da baraccone>> (Ingor F Walther)

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Fiore [omonimia di utente reg.]            

Inviato il: 1 Mar 2007, 03:02 PM

Quasi tutte le mattine mentre mi preparo per andare a lavoro,ascolto la radio..un pò di musica per favorire il risveglio e la velocità di movimento o le notizie di cronaca per sapere cosa c’è di nuovo nel mondo. Proprio questa mattina mi hanno colpito alcune parole di una canzone che ho saputo essere stata presentata a Sanremo in questi giorni e che fa il racconto di un ipotetico malato mentale. A parte la novità del tema della canzone,quello che mi ha disturbato sono proprio le parole che dicono “..la cura della malattia mentale non esiste..” Si può accettare che venga cantato tutto ciò? Cantare l’ignoranza di fronte all’ignoranza, dove con questo termine voglio esprimere il non sapere? Si deve lasciar correre tutto così?

..ed intanto stasera,a Cerbaia,salpa ancora,in via P.Picasso,”La perla tra le labbra”..l’augurio di una lunga navigazione!

 

 

Alogon            

Inviato il: 7 Mar 2007, 11:44 AM

Leggo in Laban “L’arte del movimento”<<Le parole che esprimono sensazioni, emozioni sentimenti o determinno stati mentali o spirituali non potranno che sfiorare il margine delle reazioni profonde che le forme ed i ritmo delle azioni corporee sono capaci di evocare. Il movimento in tutta la sua brevità, può dire di più che intere pagine di descrizione verbale>>

A proposito della danza quindi. Vero o falso?

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Guest            

Inviato il: 7 Mar 2007, 04:24 PM

penso che il linguaggio dei gesti e dei movimenti del corpo riesca a esprimere in modo più immediato la realtà interna di chi quel gesto o quel movimento compie. Il linguaggio verbale, parlato ma, soprattutto, scritto, penso che sia frutto di una rielaborazione, di un “filtro” razionale…

 

 

aissa            

Inviato il: 7 Mar 2007, 05:20 PM

Se consideriamo per un momento l’origine della danza, che era in effetti un rito tribale di preghiera collettiva, essav eniva appunto usata come tramite tra la credenza come fatto privato e la manifestazione di essa a gli altri componenti della collettività e, ovviamente. al dio in questione. Viene di fatto da pensare, quindi, che già allora la parola da ssola -la preghiera o il canto- sembrava non bastare. Allontandosi dall’ambito religioso che ben poco ci interessa, è più ragionevole pensare che la danza ha in sè un potere sicuramente più dirompente, verrebbe per stupidità da dire..perchè è corpo, è fisicità che esprime un sentire, quasi una fusione. Senza dubbio posso affermare che la parte danzata dello spettacolo “la perla tra le labbra” è un momento intensissimo, dove il corpo dei ballerini riesce davvero, attraverso il movimento, a rendere percepibile sia con gli organi di senso che con quella dimensione interna a cui forse allude Laban con reazioni profonde, la delicata bellezza di un amore e l’intensità del rapporto tra un uomo ed una donna.

Direi che la danza è il movimento della parola, di quella parola pensata cui si è più volte fatto riferimento. Il pensiero si articola in parola ed immagini e si dipana, come un filo da una matassa attraverso la danza. Quindi magari è vero quello che laban sostiene, se si intende la danza come massima espressione di un’idea e dell’immagine che ad essa si accompagna…non so però quanto il pensiero senza parola sia capace di farlo

عائشةAisha

 

 

fiore            

Inviato il: 10 Mar 2007, 11:21 AM

Penso che sia importante nella danza la ricchezza inconscia di chi con la danza vuole esprimersi e comunicare . .può succedere che il movimento sostituisca non solo quello che con le parole non si riesce ad esprimere per intensità,ma anche per impossibilità (solo inabilità o patologia?)..e d’altra parte danzare lo si può fare anche in modo razionale,come razionalmente si può dipingere o cantare. Mi viene però da pensare che la massima espressione di comunicazione nel rapporto di amore fra uomo e donna non è fatta solo di parole ,ma richiede anche il corpo , un tango di parole che precede proprio nell’atto d’amore uno stato così particolare e profondo in cui le parole vere e proprie sono assenti…altrimenti perchè,nel corso della sua evoluzione l’uomo ,amando non solo per il fine della procreazione,ma anche e soprattuto per desiderio,non si è limitato solo a diventare bravo nel linguaggio verbale? Forse ci sono sfere del nostro essere al mondo che possono esprimersi meglio e più efficacemente in un modo e altre che richiedono altre forme?

 

 

camillo            

Inviato il: 16 Mar 2007, 09:24 PM

“la perla tra le labbra “…. uno spettacolo teatrale capace di avvincerti per l’emozione dall’inizio alla fine. Mi ha fatto sentire ancora una volta, come nel passato per altri lavori, il desiderio dell’autore di trasformare la propria opera, presentandola in maniera diversa, in un percorso di continua ricerca. Le scenografie, le interpretazioni degli attori e delle ballerine, il video, le musiche,pensieri e sensazioni, collegati dalla stessa “ idea” portante. Due realizzazioni ( Colle Val d’Elsa e Casciano Val di Pesa) con vita propria, accomunate dalla ricerca della bellezza attraverso le sue varie espressioni.

 

 

fiore [omonimia di utente reg.]            

Inviato il: 23 Mar 2007, 09:57 PM

Dal Riformista del 20.3.07,su Segnalazioni,Dispute filosofiche di David Armando:”…Binswanger ha fatto il tentativo di fare il trattamento delle malattie mentali sulla filosofia di Heidegger.Binwanger indusse la sua paziente (Ellen West)al suicidio sulla base della convinzione coerente con la propria impostazione filosofica,che un tale atto costituisse il compimento più autentico della sua esistenza.” Sul n.11 di Left,a p.78,nell’incontro fra l’attore Ascanio Celestini e il vincitore di Sanremo Simone Cristicchi,alla domanda :”Passando alla tua canzone,mi spieghi perchè la fai concludere con un suicidio?”il cantante risponde:”In “Ti regalerò una rosa” Antonio compie un atto del genere perchè per lui è un gesto di dignità.E’ come se volesse tenere per sè l’ultima emozione che non vuole che gli sia strappata via.” Ma Antonio non è nato,secondo l’autore nel 1954? Il tema della canzone certo è nuovo e particolare,ma va bene tutto purchè se ne parli?Cristicchi è giovane,ma un argomento come questo non può essere espresso in modo superficiale o spettacolare.Certo il ruolo di Binswanger,medico,non ha la valenza di un cantante,ma la platea di Sanremo è vasta e la radio manda il motivo sulle varie frequenze.C’è molta gente oggi che sta male,chi in cura con psicofarmaci,chi non accettandoli non sa a chi rivolgersi,non si può cantare la morte,è una questione di speranza e di conoscenza.Perchè non cantare,pur nel racconto di realtà così drammatiche ,di trasformazione,di possibilità che tutto cambi,di ricerca?Che ne pensate?

 

 

Guest            

Inviato il: 14 May 2007, 08:34 AM

credo che le parole drammatiche ,in un mondo di anaffetivita, arrivino prima e sono più facili da capire.anche per me è sempre stato cosi anche se ora dopo aver intrapreso una ricerca stimolato da nuovi eventi e anche da questo forum ho capito che le cose più belle sono le più facili da dire ma spesso non ci riusciamo

 

 

camillo [omonimia di utente reg.]           

Inviato il: 7 Jun 2007, 04:42 PM

“ Maggio 17,alla stazione Leopolda di Pisa è stato presentato un nuovissimo tipo di treno che viaggia a velocità altissima sui binari della ricerca : della bellezza, della creatività, della affettività. Io ero presente ed insieme agli altri viaggiatori convenuti per l’evento., ho percepito l’aria nuova di ciò che veniva proposto. Sulla banchina, che aveva le sembianze di un palcoscenico, tre artisti del silenzio, della parola , del movimento, del gesto, hanno dato vita ad uno spettacolo sulla sordità umana, ma non quella fisica, bensì quella interiore,profonda.Tra luci ed ombre , sapientemente dosate, con le immagini di un video in bianco e nero ed a colori, è stata presentata una storia diversa, per una modalità di vita nuova , lontana dalla ripetitività. Ai lati del treno, le maestose immagini colorate, in trasparenza e su tela del regista della mostra.”

 

 

fiore [omonimia di utente reg.]            

Inviato il: 23 Jun 2007, 10:41 PM

..il video “La perla tra le labbra”..sono rimasta letteralmente senza parole..l’unico aggettivo che riesco a trovare è “penetrante”..ma ora anche avvolgente..adesso ..no.. per ora le parole sono banali.

 

 

Alogon            

Inviato il: 24 Jun 2007, 01:26 PM

…penetrante… mi piace

copyright domenico fargnoli

 

 

fiore [omonimia di utente reg.]            

Inviato il: 24 Jun 2007, 04:28 PM

Le sensazioni che mi ha suscitato la visione del video,difficilmente esprimibili con le parole,è paragonabie ad una “un’esplosione di fioriture”,come se i contenuti del lavoro di ricerca, espressi con più timidezza nelle rappresentazioni precedenti (video,mostre,ecc.) avessero avuto una tale impennata di contenuti,forme espressive,vitalità,che non lasciano indifferenti,anzi danno una forza,una passione!!

..modestamente percepisco che il livello (non in senso tecnico) di queste rappresentazioni è così elevato..come se da un ambito ristretto, più timido e riservato,questa volta si sia spalancata proprio una porta sul mondo.

Personalmente non riesco a elaborare (forse lo so),se la capacità che ho avuto (ed ho) di affrontare ,al di là dei momenti di resistenza più duri,un periodo difficile tutto sommato ,con dignità ed energia,dipende anche da tutto ciò..Oltre la presenza che mi è stata trasmessa,le parole dette al momento giusto..il sapere che ci sono persone e gruppi così..che c’è del buono e del bello,che non è debolezza,ma forza,forza,come ho già detto,che viene dalla passione!

 

 

Alogon            

Inviato il: 24 Jun 2007, 06:20 PM

grazie fiore

copyright domenico fargnoli

 

 

 

fiore [omonimia di utente reg.]            

Inviato il: 28 Jun 2007, 07:05 AM

Ne “L’ombra” di Picasso una figura maschile probabilmente,un’ombra appunto,sembra osservare una donna nuda,sdraiata,immobile,forse in un atelier di pittura (è quello di Picasso?) Il quadro è del 1953,che è anche l’anno della morte di Stalin.Varie particolarità ed eventi nella vita dell’artista,anche nei rapporti con il partito comunista. Nel video “Ombre”,un’ombra di donna viva,in movimento si esprime co la globalità del suo corpo in un mondo di linee,forme,colori..una figura irrazionale che si muove nell’inconscio stesso? Ho percepito come se la figura si muovesse in un ambiente uterino,dove il liquido amniotico è,sono le immagini,il pensiero, rappresentati con la pittura. Mi vengono in mente queste parole lette su Left al termine dell’articolo di M.Fagioli:”..Forse è eccessivo pensare che la possibilità di ricreare il socialismo sta nella identità irrazionale dell’essere umano.”

 

 

Guest            

Inviato il: 27 Feb 2008, 03:17 PM

Chi sa dirmi de “La perla tra le labbra a Siena” ?

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