Psichiatria

Dsm, la rivolta dei medici

NEWS_91336Articolo interessante, come documentazione storica del problema del DSM.

Interessante è la cricostanza per la quale il DSMIV fu pubblicato nel 1994. L’anno prima c’era stata in America una campagna stampa, mi ricordo una copertina del “Times” dal titolo Freud è morto, che decretava la fine della psicoanalisi freudiana naufragata sotto il peso della sua inconsistenza terapeutica, delle critiche epistemologiche di Grunbaum,Assalto_alla_Verit_pagina_1_di_69_grunbaum
documente della pubblicazione dei carteggi del padre della psicoanalisi. Tutti questi elementi concorrevano a dare della psicanalisi un’immagine molto lontana dalla agiografie edulcorate fra le quali spiccava quella di Ernst Jones e più vicina a quella di un gigantesco imbroglio sostenuto da un’intero apparato istituzionale  e ideologico.images Il DSM si inseriva tempestivamente nel vuoto lasciato dalla” morte di Freud” (morte ovviamente simbolica) che Fritz Lang fin dal 1933 aveva rappresentato come un ipnotizzatore criminale che cercava di imporre ad una intera civiltà il diktat “si prega di chiudere gli occhi”. Già Freud nel 1938 nel suo “Compendio di Psicoanalisi” aveva auspicato l’avvento dell’era farmacologica: la psichiatria organistica nel suo sviluppo a partire dagli anni 80-90 si situa in una linea di continuità con il freudismo con cui condivide l’idea di una incurabilità della malattia mentale. Le corporazioni degli psichiatri cercavano, in quegli anni,  un consenso ed una amalgama  facendo quadrato sul DSM come fosse un manifesto politico piuttosto che un un testo che derivava da approfondite e motivate riflessioni teoriche.

Attualmente il disastro del DSMV coincide con la planetaria crisi economica innescata dalle banche e dalla bolla  del  mercato immobiliare americano: come se la crisi del modello liberista si ripercuotesse sugli aspetti sovrastrutturali della società americana, in particolar modo della psichiatria, incapace  di offrire strumenti di contenimento dell’enorme  malessere sociale ed economico delle fasce di popolazione più deboli negli Usa. Le guerre ingiuste ed inique combattute dagli  States su scala planetaria, in difesa dei loro interessi legati al controllo delle fonti energetiche, hanno indebolito sul piano non solo dell’economia  ma anche dell’immagine il paese. Gli psicofarmaci, come si è scoperto negli ultimi decenni, non solo non possono essere un ‘intervento a lungo termine sulla malattia mentale senza provocare danni iatrogeni rilevanti ma  neppure possono essere somministrati  in modo irresponsabile  ai bambini piccolissimi  senza alterare i processi di sviluppo ed incidere pesantemente sulla realtà psichica di questi ultimi costituendo il punto di innesco di veri e propri episodi psicotici.

S

Allen Frances, classe 1942, è un pezzo di storia della psichiatria. Ha presieduto i lavori del comitato scientifico di quel l’American Psychiatric Association (Apa) che, nel 1994, partorì la quarta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Dsm-IV): 886 pagine, 297 disturbi. Oggi, capelli bianchi e abbronzatura alla Robert Redford, Frances è un professore emerito che vorrebbe godersi la pensione in California. Invece, è reduce da un giro di conferenze, anche in Italia, dal titolo «Usi e abusi della diagnosi in psichiatria». Oggetto della sua preoccupazione, e delle sue critiche severe, sono i criteri proposti (li trovate su http://www.dsm5.org) per la quinta edizione del Dsm, la cui uscita è prevista nel maggio 2013. Del Dsm-5 (da romana la numerazione è diventata araba, quindi Dsm-5), ha parlato su queste pagine Gilberto Corbellini più di un anno fa («Disturbi mentali, il catalogo è questo», 22 marzo 2010), raccontandone costi e ricavi ed elencando le principali novità: maggior attenzione agli aspetti dimensionali della diagnosi (cioè non solo la presenza/assenza di un sintomo o di un disturbo, ma anche la sua intensità), semplificazione di diagnosi “complesse” quali schizofrenia e autismo, riduzione del numero dei disturbi di personalità, revisione del quadro nosografico delle “dipendenze”, con introduzione di nuove dipendenze comportamentali, per esempio da internet.
Ma cosa preoccupa Frances, al punto da invitare l’intera comunità dei professionisti della salute mentale a firmare una petizione (www.ipetitions.com/petition/Dsm5) e perorare una users’revolt, una ribellione degli utenti del Dsm? Petizione a cui l’Apa, proprio in questi giorni, ha fornito risposte tese più ad appiattire i contrasti che ad affrontare le critiche, attraverso quelle che lo stesso Frances ha definito «formule bizantine» che sostanzialmente ignorano il problema.
Un punto di partenza per descrivere questa rivolta fantapsichiatrica potrebbe essere il mancato coinvolgimento degli psicologi come comunità professionale nella stesura del Dsm-5. La marginalizzazione degli psicologi è un problema delicato dato che questi non solo applicano il Dsm nella pratica clinica, ma conducono anche ricerche sulla base delle sue categorie diagnostiche. Le critiche contenute nella petizione anti Dsm-5 sono infatti sottoscritte da un lungo elenco di divisions dell’American Psychological Association. Poco prima si era mossa in modo simile la British Psychological Society. L’anno scorso, un autorevole cartello di esperti (Shedler, Beck, Fonagy, Gabbard, Gunderson, Kernberg, Michels e Westen) aveva lanciato un allarme sul futuro diagnostico dei disturbi di personalità, una delle diagnosi più importanti nel campo della salute mentale (basti pensare al loro ruolo in ambito forense). In particolare suscitò scalpore, tra noi addetti ai lavori, l’esclusione dal Manuale di alcuni importanti disturbi di personalità, quali il paranoide, lo schizoide, l’istrionico, il dipendente e soprattutto il narcisistico. Tanto che, nel giugno 2011, l’American Psychiatric Association si sentì costretta a reinserire tra le diagnosi almeno quest’ultimo, accogliendo così in parte le osservazioni dei molti clinici che vedevano nella sua eliminazione l’affacciarsi di una pericolosa scollatura tra la realtà clinica e le categorie diagnostiche, oltre che la preoccupante eliminazione di tutte le manifestazioni psicopatologiche non immediatamente riducibili a meccanismi di tipo biologico. Ma il dissenso era ormai diffuso e, proprio dalle pagine dell’American Journal of Psychiatry, questi clinici internazionalmente noti definivano la diagnostica di personalità targata Dsm-5 «un agglomerato poco maneggevole di modelli disparati e male assortiti, che rischia di trovare pochi clinici disposti ad avere la pazienza e la costanza di farne effettivamente uso nella loro pratica». Anche in Italia si è mosso qualcosa: un gruppo di clinici e ricercatori di diversa formazione (Lingiardi, Ammaniti, Dazzi, Del Corno, Liotti, Maffei, Mancini, Migone, Rossi Monti, Semerari, Zennaro) ha voluto inviare all’Apa una lettera con le proprie perplessità sul tema. E anche l’ultima Newsletter dell’Ordine degli psicologi del Lazio presenta un analogo documento critico.
Ricordo che il Dsm è probabilmente il sistema diagnostico in psichiatria più usato al mondo. Se i suoi meriti sono noti, primo tra tutti il tentativo di creare una lingua comune e principi condivisi per descrivere i disturbi mentali, i punti di debolezza dell’imminente Dsm-5 sono sotto i riflettori. Proviamo a riassumerli: 1. «abbassamento delle soglie diagnostiche» col conseguente accresciuto rischio di falsi positivi (viene diagnosticato un disturbo mentale che non c’è) e relativa medicalizzazione (psicofarmaci compresi) di soggetti non clinici; 2. «inserimento di nuove categorie diagnostiche» dubbie, come la «sindrome psicotica attenuata», che sembra peraltro avere un basso potere predittivo rispetto allo sviluppo successivo di una sindrome psicotica vera e propria, e il «disturbo neurocognitivo lieve», diagnosticabile nella maggior parte degli anziani; oppure l’eliminazione del precedente criterio che impedisce di far diagnosi di «depressione maggiore» in presenza di un lutto (per cui sarà più facile diagnosticare come sindromi depressive, e quindi medicalizzare, alcune reazioni di lutto normali); 3. «minore attenzione al peso dei fattori psicologici, sociali e culturali» nella genesi e nell’espressione dei disturbi mentali; 4. «eccessiva polarizzazione medico-organicista», dal punto di vista sia teorico sia clinico

Unknown

Secondo Gilberto Corbellini nel DSMV verrà abolita la dizione “schizofrenia paranoide”. Con il gruppo di psichiatri “Progetto psichiatria” abbiamo ultimato in questi giorni un articolo “Breivik e la diagnosi di schizofrenia paranoide” che secondo noi non solo esiste ma ha caratteristiche peculiari che la distinguono dalle altre forme della classica quadripartizione di Eugene Bleuler.

DSM-5

Da Il Sole 24 Ore del 22-03-2010, di Gilberto Corbellini

Articolo: Disturbi mentali, il catalogo è questo

Verso il nuovo manuale. L’associazione psichiatrica americana ha investito 25 milioni di dollari coinvolgendo 600 specialisti per ridisegnare la mappa delle patologie. Siamo vicini al varo finale. L’uscita prevista nel 2013

USA. Dopo undici anni di discussioni e un certo numero di falsi annunci dell’imminente pubblicazione, finalmente la fumata bianca.
Habemus DSM-V. o, quantomeno, si sa verso quali modifiche sono orientati i componenti della task force e dei 13 gruppi che lavorano, coordinati da David Kupfer e finanziati dalla American Association of Psychiatry (Apa), sulle categorie fondamentali delle diagnosi psichiatriche. Il 10 febbraio l’Apa ha pubblicato un draft del DSM-V richiedendo commenti e critiche da parte di tutti gli interessati entro il 20 aprile prossimo. Quindi nei prossimi tre anni, saranno organizzate tre fasi cliniche per testare la validità delle revisioni proposte e l’edizione definitiva sarà acquistabile nel maggio del 2013.
Il DSM o Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, è il più diffuso e influente testo di psichiatria nel mondo occidentale. Sulla base di questo strumento, edito dall’Apa, si battezzano e si classificano le malattie mentali, ma soprattutto gli psichiatri e i neurologi diagnosticano e trattano i loro pazienti. Inoltre, le case farmaceutiche progettano e finanziano le sperimentazioni cliniche dei farmaci, e gli enti di ricerca pubblici decidono quali ricerche finanziare.

Ultimo, ma non per importanza, i sistemi sanitari o le compagnie di assicurazione pagano le cure che sono indicate come appropriate. Rappresentando la larghissima diffusione del DSM una fonte di incalcolabile guadagno economico per l’Apa, si comprende l’ingente investimento di 25 milioni di dollari per effettuare la revisione, a cui hanno concorso 600 psichiatri, e anche la decisione di pubblicare un’edizione che probabilmente lascerà insoddisfatti molti, ma che lancia nondimeno una serie di segnali inequivocabili sul cammino che sta percorrendo la psichiatria.
La storia del DSM, dall’I al V, è uno dei capitoli più affascinanti della storia della psichiatria, anzi della storia della medicina del Novecento in generale. Non solo perché è intellettualmente intrigante analizzare i ragionamenti che hanno portato dalle 106 malattie mentali descritte nelle 106 pagine del DSM-1 del 1952 ai 293 disturbi descritti in 886 pagine del DSM-IV del 1994. Ma per il fatto che si tratta di una finestra storica unica sulle difficoltà e i problemi, sia teorici sia pratici, che hanno incontrato i tentativi di fornire alla psichiatria una base scientifica. Cioè una metodologia diagnostica basata sull’eziologia del disturbo clinicamente rilevante, come è nel caso delle definizioni di malattia sviluppate dopo l’avvento della medicina sperimentale o scientifica. […]

L’unico trattamento efficace per superare una condizione di precarietà di natura epistemologica di cui soffre la psichiatria forse sarebbe un salutare pluralismo epistemologico, ispirato però da una rigorosa concezione naturalistica della malattia mentale. Gli avanzamenti delle neuroscienze stanno muovendo in questa direzione, consentendo di tornare a sfruttare euristicamente le teorie per ricondurre i disturbi del comportamento a quello che sono. Cioè alterazioni del funzionamento del cervello.
Dal DSM-IV al DSM-V
– Eliminazione di una serie di sottotipi di schizofrenia (paranoide, disorganizzata, catatonica, eccetera) e maggiore attenzione ai sintomi comuni come allucinazioni e disturbi del pensiero, nonché alla durata e gravità di tali sintomi, nella diagnosi dei disturbi psicotici.
– Introduzione di una diagnosi di depressione ansiosa mista.
– Riduzione da 12 a 5 dei disturbi della personalità. Sono rimasti: borderline, schizotipica, evitante, ossessivo-compulsiva e psicopatica/antisociale.
– Introduzione della categoria di sindromi di rischio, in modo da consentire agli psichiatri di identificare gli stadi precoci di gravi disturbi mentali, come le demenze o le psicosi. […]
– Introduzione della singola categoria diagnostica dei “disturbi autistici” in sostituzione delle attuali diagnosi alquanto indefinite di malattia autistica, malattia di Asperger, disturbo disintegrativo dell’infanzia, e disturbo pervasivo dello sviluppo.
– Introduzione della nuova categoria dei disturbi da dipendenza e simili, in sostituzione della categoria di dipendenza e abuso di sostante.
Questa opzione consente di differenziare il comportamento compulsivo di ricerca della droga dovuto alla dipendenza dalle risposte normali di tolleranzae astinenza.
– Introduzione della categoria delle dipendenze comportamentali, che al momento include solo il gioco d’azzardo, ma dove alcuni vorrebbero includere la dipendenza da internet.
– Aggiunta di una valutazione dimensionale della diagnosi, rispetto al criterio basato solo sulla presenza o assenza di un sintomo, per consentire agli psichiatri di valutare la gravità dei sintomi.

Standard

La “Discussion mèdico-legale sur la folie” (1826) è scritta dall’alienista Étienne-Jean Georget (1795 -1828), allievo di Esquirol e suo collaboratore al manicomio parigino della Salpetrière. La pratica della perizia psichiatrica diventa parte costitutiva del procedimento giudiziario già nel primo Ottocento. Secondo gli psichiatri alienisti, il “reo” giudicato folle dalle perizie non è imputabile. Non è colpevole. E perciò solo un malato da assolvere, da segregare in manicomio, da curare. Molti magistrati non accettano questo genere di assoluzione. Di qui un aspro conflitto tra magistrati e alienisti, efficacemente rappresentato da questo pamphlet del 1826. La discussione è aspra, priva di mediazioni, soprattutto nei casi in cui l’autore del crimine viene definito attraverso la categoria della monomania omicida. Molti crimini atroci e mostruosi, che avevano dominato le cronache giudiziarie francesi a partire dagli anni venti del secolo XIX, popolano lo scenario di tale querelle. Emerge già qui la figura del doppio, assieme ai suoi antecedenti teologici, religiosi, metafisici. La freudiana Ichspaltung – la scissione dell’io, così presente nella letteratura e nella psichiatria dell’800 – trova in questi testi le sue radici teoriche, troppo spesso ignorate o dimenticate.

I famosi ritratti di alienati di Gericault rappresentano ancora oggi un mistero.
Innanzi tutto, sembra che Gericault ne abbia dipinti dieci, ma se ne conoscono soltanto cinque. Gli altri sono dispersi. Inoltre, manca una datazione precisa, perchè è molto difficile stabilire con certezza se Gericault ha concepito i suoi ritratti di alienati prima o dopo la sua partenza per Londra. Quando l’alienista Georget lo presenta al celebre medico e scienziato Esquirol, Gericault, dopo l’insuccesso della Medusa, si trova tra i pionieri della psichiatria moderna. Si ignora cosa abbia spinto l’artista a dipingere questi esempi di umanità sofferente. Forse Georget, che stava conducendo importanti ricerche, gli ha proposto di illustrare i suoi libri? I quadri servivano allo psichiatra per le sue lezioni di patologia? Doveva decorare lo studio del dottore? O è un metodo terapeutico sperimentato su di lui?

Psichiatria

Gericault e Georget

Immagine
Forum di Senza Ragione

Il mercato dell’arte. Le opere d’arte e il loro commercio

Trumpet            

Inviato il: 1 Aug 2004, 01:19 PM

Vorrei riprendere il tema iniziale: molti ritengono che l’opera d’arte una volta creata acquisisca una sua autonomia indipendente dalle intenzioni di chi l’ha realizzata.

Però anche l’artista che fa una libera espressione, non rivolgendosi a nessuno in particolare, opera in un contesto di relazioni, in un ambiente dal quale volutamente ritiene di dover prescindere.

La comprensibilità dell’opera è possibile d’altronde solo se la collochiamo sullo sfondo della situazione nell’ambito della quale nonostante tutto viene generata.

Anche se non conosciamo l’identità dell’autore e le sue vicende biografiche possiamo risalire allo stato mentale, alle condizioni di vita, all’insieme dei valori che per es. caratterizzavano le comunità di cacciatori del neolitico.

La “libera espressione” ed insieme ad essa l’autonomia dell’oggetto artistico dal suo creatore è allora un’illusione?

Potrebbe esserlo qualora noi intedessimo la libera espressione e l’autonomia riduttivamente come pretesa di creare un qualcosa che non sia storicizzabile, non sia collocabile su di uno sfondo che rende possibile l’attribuzione di un senso “artistico” ad un manufatto per quanto originale esso sia, per quanto incomprensibile di primo acchito ci appaia.

Esiste un arte fuori dal tempo, immortale oppure tutto va considerato in base ad un criterio di relatività storica?

Forse non esiste un Arte con al a maisucola ma tanti linguaggi artistici i quali talora sono intraducibili l’uno nell’altro.

Sorgono a questo punto moltissime domande alle quali è veramente difficile rispondere in modo adeguato.

In che misura l’artista è veramente libero di esprimersi in un modo piuttosto che in altro?

Quando utilizziamo l’espressioni figurative facciamo riferimento a schemi precostituiti comprensibili da ogni uomo in ogni epoca oppure operiamo all’interno di forme che le varie civiltà, le varie culture umane hanno sedimentato nel tempo come un patrimonio di esperienze alle quali è inevitabile che attingiamo?

In che modo operano i condizionamenti culturali oltre la volontà del singolo?

Come eventualmente si può pensare di superarli?

Il superamento, nella condizione concreta in cui noi operiamo, potrebbe essere espressione dell’attività di ricerca di un gruppo che lavora affinchè ciascuno trovi una libertà di espressione, che poi altro non è che una sanità di base che nasce da un modo d’essere non razionale.

La domanda che mi pongo continuamente, senza mai essere capace di trovare una risposta esaustiva, è come la psichiatria, con le conoscenze che ha sviluppato sulla fisiologia della mente, possa aiutare a realizzare, attraverso la ricerca dell’analisi collettiva, quella creatività che è innovazione, rottura con una tradizione senza ricadere negli schemi delle avanguardie e della provocazione ad ogni costo che è solo un atteggiamento della coscienza. Senza ricadere nell’iconoclastia e nella critica fine a se stessa che sembra essere diventata l’unica espressione dell’arte nell’era della globalizzazione.

 

Faccio un passetto indietro e parto dall’intervento di Alogon di cui ho fatto una citazione al solo fine di referenziarla. Sto tentando, per quello che posso , di approfondire ulteriormente le motivazioni che mi hanno portato ad aprire questa discusisone, tenendo però presente tutte le nuove argomentazioni che da essa si sono sviluppate.

Avevo letto la prima stesura del suo intervento e mi erano venute alcune idee da concretizzare in un risposta, ma tempo di trovare un PC da cui scrivere e ho visto con piacere che quello stesso intervento era stato modificato e arricchito notevolmente e in più ho avuto modo di leggere l’estremamente interessante interazione che ne è seguita.

Dopo questa lettura mi sono ritrovato in maniera naturale a riorganizzare un po’ tutto quello che volevo scrivere e mi sono reso conto che molti degli spunti di cui volevo parlare, che per la maggior parte erano quesiti, hanno trovato in Alogon riposta. Talvolta una risposta ben definita, talvolta no, nel senso che forse alcune risposte non possono essere così scontate o ovvie, però, in questi casi, diviene comunque doveroso aprire nuove direzioni di ricerca o approfondire quelle già esistenti.

Purtroppo non sono in grado di cimentarmi in una dialettica specifica con molti di coloro che hanno scritto, per lo meno non su un piano della conoscenza artistica come storia dell’arte.

Questo, però, mi ha fatto pensare se io, e tutti quelli che come me, non hanno queste basi o quanto meno questo non è il loro campo, possano comunque rapportarsi ad un’opera d’arte. Non lo so davvero.

Tutto quello che mi viene da dire è che, almeno io, quando mi trovo di fronte un opera d’arte, o anche qualcosa che non è stata ancora “ufficialmente” riconosciuta tale, ho un unico modo per rapportarmici ed è tramite quello che io sono internamente, ma e sufficiente?. Mi capita che ciò che vedo susciti qualcosa in me, credo siano immagini e non so mai se queste immagini siano frutto di una interazione con l’opera d’arte del tutto personale e privata e quasi forse indipendente oppure quelle immagini, quei pensieri, quelle vaghe rappresentazioni interne sono in qualche misura quelle che l’artista vuole comunicare.

A questo punto mi trovo comunque in dovere di specificare che le opere d’arte di Domenico Fargnoli, almeno per quanto mi riguarda, hanno una valenza del tutto particolare rispetto a quanto sopra detto. In questo caso la ricerca sull’arte e sul pensiero creativo sono fuse alla ricerca psichiatrica e sul pensiero umano. Qui forse si potrebbe dire che una conoscenza e comprensione di certi contenuti, che di fatto poi divengono “situazione interna” della persona, si fanno necessarie e questo per i motivi di cui Alogon ha già ampiamente detto.

 

C’è un altro punto di domanda con cui mi sono ritrovato (vanamente) a tentare di dare una risposta: se io acquisto un’opera d’arte da collocare in un luogo, uno studio, una casa, un laboratorio, cos’è che mi muove a farlo? il valore estetico? ciò che rappresenta per l’artista? ciò che rappresenta per me? l’acquisire un’opera d’arte forse è un atto dettato da un movimento in gran parte non cosciente? dopo tutto un’opera d’arte non è un oggetto “utile”, semplicemente “è” e forse in questo sta la sua caratteristica umana più profonda.

 

 

Alogon            

Inviato il: 2 Aug 2004, 05:32 PM

La trasformazione dell’arte in un mercato di oggetti che hanno una valore d’uso, pur essendo apparentemente inutili, e di scambio appartiene alla logica dell’economia capitalistica. Tutto ha un prezzo ed è acquistabile.

Sulle motivazioni del compratore si potrebbero avanzare diverse ipotesi…potrebbe essere il tema di una nuova discussione

 

Messaggio modificato da Alogon il 2 Aug 2004, 05:35 PM

copyright domenico fargnoli

 

 

Trumpet            

Inviato il: 3 Aug 2004, 08:23 AM

Capisco.

Tuttavia con “acquisto” di un’opera d’arte non intendevo ridurre il tema di discussione ad un discorso di compravendita, intendevo altro, per di più personalmente non ho ancora mai avuto modo di acquistare un’opera d’arte. Avevo scelto questo strada per tentare di esprimere un punto di domanda che non una volta mi ha fatto pensare e che, anche se diverso, si riallacciava al pensiero espesso poco prima nell’intervento. Ad ogni modo questo argomento sul mercato dell’arte è molto interessante e pertinente.

La proposta di spostare questo tema di discussione in una nuova mi trova quindi d’accordo.

 

 

Admin            

Inviato il: 3 Aug 2004, 03:46 PM

…potrebbe essere il tema di una nuova discussione.

 

Questa discussione, d’accordo con il moderatore, è stata appena spostata, era precedemente nata all’interno della discussione “Arte”.

The Admin – http://www.admin@senzaragione.it

 

 

Bice            

Inviato il: 3 Aug 2004, 05:42 PM

Vorrei provarmi a rispondere ad alcuni dei quesiti posti da Trumpet (che inizialmente aveva posto nella discussione precedente) anche se non tutti, pur contenendo un nesso, sono strettamente attinenti al tema della discussione appena iniziata.

Credo che possiamo rapportarsi ad un’opera d’arte semplicemente tramite quello che noi siamo internamente, proprio come dici tu….quando altrimenti sono necessarie le “istruzioni d’uso” non siamo più di fronte ad un opera d’arte ma a qualche costruzione cerebrale di cui abbiamo gia accennato.

È ovvio che la conoscenza o familiarità con un certo linguaggio è importante nel senso che può aiutare a comprenderne ed apprezzarne con maggiore profondità certi aspetti, ma penso che l’impatto emotivo che tutti potenzialmente possono vivere resti fondamentale per poter “apprezzare” un’opera d’arte. Reazione emotiva che credo assuma sfaccettature diverse in ognuno di noi per una nostra risposta attiva a quei contenuti che l’artista cerca di rappresentare.

Credo che le opere di Domenico Fargnoli che nascono da una ricerca visiva che si sviluppa di pari passo ad una psichiatrica possano essere apprezzate anche da coloro che non sono a conoscenza di questa precisa ricerca …e non solo per il loro certo valore estetico ( ci si potrebbe collegare al concetto di immagine e contenuti universali?). Magari però la conoscenza della teoria a cui fanno riferimento e quindi la comprensione dei nessi che si determinano appunto tra sviluppo teorico ed elaborazione artistica può contribuire notevolmente ad una processo personale e collettivo di trasformazione.

La capacità di rapportarsi ai contenuti di un’opera d’arte potrebbe essere ciò che spinge taluni ad acquisirla. L’argomento può essere sviluppato in maniera molto complessa ma al momento vorrei limitarmi ad alcune riflessioni. Mi viene da notare che la nascita del mercato dell’arte, cioè l’acquisizione di opere che abbiano solamente un carattere estetico e che non siano state create specificatamente per una committenza, si potrebbe in generale far risalire a poco dopo la metà dell’800 e coincidere appunto con la nascita del concetto di “libera” espressione.

L’artista crea per esprimere un proprio stato interiore: l’opera d’arte si affranca da tematiche religiose, storiche e celebrative così come dal ruolo di registrazione del reale oramai assolto dalla fotografia.

Ci sarebbe da capire perché la società borghese benpensante di fine secolo abbia da un lato emarginato quegli artisti che tramite un linguaggio tutt’altro che consueto facevano affiorare alla coscienza il non razionale che non poteva essere più coartato dalle maniere della “bella” pittura accademica ottocentesca e dall’altro abbiano voluto appropriarsi delle loro opere di cui non potevano fare a meno.

Com’è che poi l’artista ed il suo lavoro, in particolare da dopo gli anni’50, sono diventati sempre più parte dell’ingranaggio di quel sistema economico che apparentemente si voleva contestare e denunciare?

Tramite una nuova concettualizzazione dei processi creativi e dei significati della creazione artistica si potrebbe determinare anche un cambiamento del modo di fruire l’opera d’arte?

 

 

Alogon            

Inviato il: 3 Aug 2004, 07:12 PM

Di una circostanza sono particolarmente orgoglioso: nella mia attività di “artista”, ammesso che io possa essere considerato tale, non sono mai stato condizionato da fattori di ordine economico. Ho fatto quello che ho fatto per una ricerca di espressione convinto da un certo punto in poi che la mia opera potesse essere importante per altre persone. Utile?

Qui si aprirebbe un interrogativo zul significato del termine utilità

copyright domenico fargnoli

 

 

Alogon            

Inviato il: 4 Aug 2004, 03:45 PM

Utile=ciò di cui può farsi uso oppure, recita il vocabolario, frutto che si ricava da un capitale.

Quindi utile si riferisce al mondo dell’attività pratica, alla razionalità dell’economia.

Il mercato dell’arte trasforma un oggetto “inutile” in oggetto utile nel senso della speculazione economica.

Questa operazione è un annullamento del significato dell’attività artistica?

Oppure no?

copyright domenico fargnoli

 

aissa            

Inviato il: 5 Aug 2004, 09:05 PM

Francamente io non riesco a legare questo idea di utile come redditizio in senso economico all’arte. Un libro, una canzone, una tela o una scultura sono per me utili perchè rappresentano un valore economico e di questo io godo? Direi che la loro utilità si lega più a quel mondo interno che me le fa percepire come belle, opere d’arte appunto. Ma la bellezza non è solo canone estetico, la bellezza si lega ad immagini più profonde, indefinite ma riconoscibili, come già dicevo, mi pare, in altro intervento. Dire utile di un’opera d’arte è molto più che dire remunerativo oppure esteticamente soddisfacente. Credo che la sua utilità si leghi senza scampo al rapporto interumano. La creatività è necessaria per sviluppare sempre rapporti nuovi o in nuovi termini e modalità.La vitalià è l’asse portante, io credo, della creatività. Vediamo se riesco a spiegarmi… Acquistare un fondo nel cuore del quartiere più storico di una città può essere preso per un investimento, nel termine più avvilente del termine: investimento immobiliare. Per altri invece può essere un atto creativo che si rende necessario nell’ambito di una complessa trama di rapporti interumani. Quel fondo andrà a rappresentare non l’acquisizione di un immobile ma l’acquisizione di una nuova immagine che si rende manifesta e si concretizza. Investire mi piace pensare che possa anche significare credere e sperare nell’essere umano, cimentarsi nel rapporto e giocarsi tutte le chances che esso ci offre. L’utilità mi piace legarla alla dimensione interna, alla ricezione conrtinua degli stimoli e alla vitalità che spinge a lanciarne. Utile nel senso di necessario per capire, per tracciare una linea tra l’inisistente e l’appena nato, per realizzaare che la fantasia esiste, che il rapporto d’amore ritenuto chimera appare invece possibile. In questo senso io ritengo l’opera d’arte utile e per lo stesso motivo io non credo che nessuna speculazione economica potrà andare a ledere l’attività artistica quando essa ha questo preciso tipo di valore. Superfluo ricordare che le tele di Van Gogh non ebbero all’inizio tutto questo successo. Limite dell’essere umano che le guardava? Probabile, perchè non mi convince tanto l’ipotesi che esse siano diventate “utili” quando cominciarono a costare una fortuna! Per quanto riguarda l’acquisto di un’opera d’arte, io, se si escludono libri e dischi, non ne ho mai effettuato alcuno.., Però questa è curiosa, ora che mi viene in mente la racconto. Comparai nel 1987 un disco a 33 giri di Vasco Rossi. Adesso i 33 giri non esistono quasi più e quella edizione che io acquistai fu poi seguita da una nuova, nella quale grafica di copertina ed anche il titolo furono cambiati. Un conoscente mi ha offerto 400 Euro per quel 33 giri, e mi ha suggerito di tenerlo caro perchè fra pochi anni “mi tornerà utile avere una simile fortuna a portata di mano” Potrei mai arrivare a fargli capire che quel disco rappresenta per me un particolare momento legato alla mia adolescenza e che

questo è il valore che io gli attribuisco e l’utilità che ne ricavo ogni volta che lo suono?

عائشةAisha

 

 

Alogon            

Inviato il: 12 Aug 2004, 11:02 AM

ho trovato alcune considerazini di >Massimo Donà

<<(..)il fare artistico non è guidato dalla razionalità mezzi-fini (la capa-cità di calcolare e misurare i mezzi necessari a raggiungere un fine così efficacemente descritta da Max Weber), in quanto in esso “il fine non è in alcun modo ‘altro’ dal fare stesso” . L’opera finale dell’artista, oltre ad essere da questi sempre percepita secondo uno scarto rispetto al progetto originario, è “pura ‘attualizzazione’” di una inutilità che manifesta (questa è l’esperienza rivelativa dell’arte) la perfezione del “semplicissimo esistere” >>

Inoltre

<<(…)cosa può ‘sperare’ il fare dell’arte?” Se il fare tecnico, non potendo mai raggiungere compiutamente il proprio ‘fine’, deve ‘sperare’ di poterlo compiere, che ne è della speranza nel fare artistico? Dal momento che il fare è la “casa” dell’artista (non suo, ma dell’opera), non si dà speranza nell’arte, essendo essa “originariamente inutile – nel senso che l’utile non la riguarda” .Se nel fare tecnico le opere vengono prodotte in funzione della nostra sopravvivenza, nel fare artistico l’opera stessa coincide con il suo apparire ed in esso riposa.>>

 

Quindi non si dà speranza nell’arte?

copyright domenico fargnoli

 

 

aerre            

Inviato il: 13 Aug 2004, 05:42 PM

La tua espressione artistica Alogon, non è mai stata condizionata da fatti di ordine economico e sono pienamente in accordo con te. Ma per questo allora è “inutile”?

Secondo me tutt’altro.

Nel tuo caso non c’è dissociazione tra utilità per le persone, ad esempio, nel processo di guarigione, e utilità economica. L’una non esclude l’altra.

Un eventuale mercato dell’arte (ipotesi) non sarebbe per te un annullamento del significato della tua attività artistica, ma paradossalmente, un potenziamento.

Ma vorrei riportare altre considerazioni di Donà:<<Il fare artistico mentre fa, nel farsi del suo atto produttivo l’artista è nel buio più assoluto, non sa. L’artista, davvero, sa di non sapere, per questo il suo abito esistenziale è simile a quello del filosofo.>> Nella pratica artistica si raggiunge la perfezione nel senso della fine, della compiutezza, che è poi il fine.<<Mentre il fare tecnico si fonda sulla speranza, mai appagata dal raggiungimento del fine, il fare artistico non spera niente, non ha secondi fini, è il fare del fare>>

Aerre

 

 

Alogon            

Inviato il: 13 Aug 2004, 07:02 PM

Andiamo, come al solito e come è giusto, sul difficile.

La tecnica, così come la conosciamo si fonda sulla soddisfazione dei bisogni più che delle speranze.

L’arte forse può esistere anche nella forma della speranza, del desiderio in quanto anch’esso noi lo pensiamo come sanità.

Ma forse esiste un’arte che nasce dall’appagamento del desiderio, da una pienezza raggiunta cioè da una trasformazione interiore.

Penso poi che l’artista sia molto diverso dal filosofo che come Socrate nei dialoghi platonici faceva finta di non sapere: la sua maieutica era solo razionale non una vera ricerca.

L’artista fa senza sapere ma questo suo fare non è buio ma comunque una forma di pensiero. Ed il pensiero non è fine a se stesso ma ha in sè il riferimento implicito ad un rapporto interumano.

copyright domenico fargnoli

 

 

yox            

Inviato il: 29 Aug 2004, 09:31 PM

L’artista fa senza sapere ma questo suo fare non è buio ma comunque una forma di pensiero. Ed il pensiero non è fine a se stesso ma ha in sé il riferimento implicito ad un rapporto interumano.

 

Mi sembra di capire che in questo caso l’artista opera in un contesto di relazioni interumane che, come è stato più sopra detto, si esprimono secondo una sanità di base che non può non essere che irrazionale.

E’ stato altresì detto che la creatività e la sessualità scatenano affetto di odio ed invidia.

Ancora l’artista ipotizza un nesso tra insorgenza dell’idea e trasformazione interna che avviene per il desiderio pienamente soddisfatto.

A questo punto io ho bisogno di alcuni chiarimenti.

Da dove origina l’idea che diventa fare in un gruppo che molto spesso, di fronte a certe realizzazioni umane, libera pulsioni non propriamente sane rischiando di travolgere chi, al contrario, si avvicina a certe situazioni con la curiosità di un bambino che ancora non conosce il mondo?

L’artista parla dell’opera d’arte come una creazione che avviene per il desiderio pienamente soddisfatto. Ma io chiedo da dove prende questa soddisfazione se il contesto che lo circonda non è sempre “soddisfacente”. Devo dedurre che la soddisfazione del desiderio deriva da altri rapporti vissuti? E poi, rapporti uomo-donna, con tutto quello che questo tipo di rapporto comporta, o di altro tipo? Mi chiedo allora, l’artista ha un padre da ringraziare ? oppure no, ha sviluppato una capacità tutta sua di vedere le cose e al limite il gruppo serve come stimolo alla creazione. Creazione però cui solo l’artista che pensa può dare senso, forse perché la bellezza dell’opera sta nella vitalità che egli riesce ad esprimere di fronte ad un mondo che non lo comprende nella sua interezza ma che anzi, spesso, tenta di opprimerlo.

 

 

Alogon            

Inviato il: 31 Aug 2004, 07:45 PM

propendo per l’ipotesi che l’artista abbia sviluppato un visione tutta sua ma anche una resistenza per cui il gruppo comunque gli serve come stimolo.

Homo novus: senza padre nè madre.

Anche nel rapporto uomo donna il punto chiave è la resistenza che non può che derivare da una cura che poi è diventata formazione e ricerca.

Le ideepoi nascono da sole. Come nascono?

E’ una domanda difficile. Vorrei avere anch’io una risposta…

 

Messaggio modificato da Alogon il 31 Aug 2004, 07:52 PM

copyright domenico fargnoli

 

 

Elleffe            

Inviato il: 13 Sep 2004, 11:01 AM

E’ stato altresì detto che la creatività e la sessualità scatenano affetto di odio ed invidia.

eh,

sembra che yox mi abbia letto nel pensiero, o che da dietro un nascondiglio abbia osservato la mia vita nei giorni appena trascorsi, e le loro conseguenze su di me…

creatività e sessualità…

direi che ultimamente ne sono uscito piuttosto bastonato…

Standard
Forum di Senza Ragione

Arte. Sensibilità per la creatività

Trumpet            

Inviato il: 20 Jul 2004, 09:23 AM

Ce la metto tutta per “rendermi conto” dell’arte anche se forse non in un modo pensato e volontario quando guardo le opere come quelle presenti in questo sito e forse ci riesco anche.

Mi sono chiesto allora come io facessi a dire opera d’arte. La risposta non è arrivata subito e non so se quella che si è formulata nella mia mente sia valida, quindi la propongo qui per confrontarmi con chiunque risponda a questo stimolo.

Ciò che ho pensato è che per percepire l’opera d’arte e definirla tale, almeno per me, è stato necessario conoscere l’artista, il suo pensiero, la sua storia anche personale, la ricerca artistica e non solo, quindi non è stato impossibile riconoscere la creatività artistica in quanto visto.

Subito dopo però mi sono chiesto: e se io avessi modo di vedere un’opera d’arte di uno autore sconosciuto, se non sapessi nulla di lui o lei, ma avessi solo modo di vedere ad esempio un suo dipinto saprei avere la sensibilità necessaria per dire che ciò che vedo è un’opera d’arte o meno?

Ciò su cui sto tentando fare ricerca è proprio questo, e cioè se l’opera d’arte è tale una volta che la creatività dell’artista l’ha creata potendo così “vivere” per proprio conto oppure no, oppure è solo un oggetto se non legata alla realtà umana dell’artista stesso?

 

 

Nyx            

Inviato il: 21 Jul 2004, 10:32 AM

Vorrei provare a riprendere il discorso…poesia e psichiatria, immagine femminile, arte. Pensavo alla associazione che mi viene da fare fra l’arte e immagine femminile, come se avessero una matrice comune irrazionale sensibile in perenne movimento, imprevedibile. Nonostante che nella storia forse i più grandi artisti siano stati uomini non riesco a legare l’immagine dell’arte a quella maschile…e posso solo pensare all’arte fatta dagli uomini come ricerca della loro immagine femminile che magari non riuscivano a realizzare internamente e doveva essere creata all’esterno allontanata per essere un oggetto confortante di cui avere il controllo; mi viene in mente Marylin Monroe di Warhol… l’appiattimento di un volto, lo svuotamento di un corpo, l’immobilità di un canone puramente estetico.( ho letto su un libriccino dedicato a warhol che aveva a disposizione centinaia di immagini della diva ma che ha appositamente utilizzato sempre la stessa e il motivo era che era morta che le si addiceva un volto immobile senza vita un’immagine univoca che ripetesse all’infinito quanto di eterno e mostruoso ci fosse nel suo personaggio…una rivisitazione della madonna?)

Ma poi mi viene in mente Picasso a come è andato contro all’estetica del ritratto per stravolgere il volto di una donna per renderla ancora più umana benchè la “cornice” dei suoi lineamenti la deformasse. In questo caso credo che non ci sia più il tentativo goffo e impacciato di mettere fuori quello che non si riesce a realizzare internamente ma la realizzazione vera e propria dell’immagine femminile; il peniero va poi al freudismo alla esaltazione che ha avuto nel novecento e la domanda è se tutto ciò è stato per distruggere quell’idea di donna che stava emergendo.

 

 

Trumpet            

Inviato il: 21 Jul 2004, 11:44 AM

:blink:

 

 

Alogon            

Inviato il: 21 Jul 2004, 12:15 PM

A trumpet rispondo dicendo che l’arte primitiva non ha autori eppure è riconosciuta come avente un valore estetico…

certo oggi l’artista ha messo in crisi l’autonomia dei linguaggi e cerca di parlare come si vede bene nel mio omonimo disegno il cui l’artista ha la bocca aperta ed una vocale disegnata sulla lingua.

E’ vero quindi che il linguaggio pittorico, visivo ha un sua codice indiopendente ma altresì vero che l’atteggiamento dell’artista verso l’opera è cambiato. Quest’ultimo non si limita più a produrre oggetti d’arte , ma li commenta, ne chiarisce il senso, ne svela le operazioni mentali soggiacenti.

 

Al bell’intervento di nyx rispondo chiedendomi se l’immagine femminile in realtà sia emersa in modo chiaro solo dopo Picasso, nell’ambito di un’altra ricerca…

 

Messaggio modificato da Alogon il 21 Jul 2004, 03:08 PM

copyright domenico fargnoli

 

aissa            

Inviato il: 22 Jul 2004, 11:46 PM

A me viene in mente un quadro che non è di Picasso e che forse non è nemmeno il caso di citare.. ma io lo cito lo stesso! E’ quel “donna nuda che dorme” di Modigliani che già nel titolo racchiude quel non so che di irrazionale che sa di donna.. Donna nuda che dorme, e sicuramente sogna.

Alla sensibilità dell’artista va aggiunta credo, Trumpet, quell’immagine femminile di cui Nyx ha così bene parlato. Quella sensibilità che riconosce la bellezza alle belle donne, e la speranza della bellezza alle donne brutte. Quella sensibilità che non cede alla bramosia, che non conosce la violenza e fa l’amore per amore e non per predare, strappare la vita. Qualunque opera, anche di ignoto, che esprima una sensibilità di questo tipo, credo sia un’opera d’arte. Qualunque donna che non crede che il suo lato irrazionale sia la parte peggiore di sè, ritengo sia una donna da ammirare. Qualsiasi uomo che riconosce ad una donna la potenzialità infinita dell’irrazionale, è un uomo con l’immagine femminile e la sensibilità necessarie per creare un’opera d’arte. Qualunque donna che sia disposta, nuda, a dormire e sognare, ritengo possa creare un’opera d’arte. lo so che queste non sono risposte nè tantomento grandi approfondimenti sulla ricerca lanciata da Trumpet. Però. parlando una notte con una amica proprio di questi temi, ci si chiedeva perchè l’idea della sensibilità si lega all’idea della sofferenza. Ci si chiedeva il perchè di quel pensiero religioso che associa il sentire al soffrire come conseguenza, a quell’idea mostruosa che qualunque forma di sensibilità si valorizza solo nello stare male, una sorta di espiazione dell’essersi lasciati andare a quel peccato della donna che, nuda, dorme e sogna. E mentre se ne parlava mi veniva in mente che numerosi artisti avevano sposato questa causa, pagando in termini umani prezzi altissimi, insomma quel clichè del genio e follia che tanto pare piaccia ancora e che invece noi scopriamo falso e anche tirannico contro ogni tentativo di realizzazione di una propria fantasia. Mi veniva in mente quella frase di Stefano Benni “non c’è felicità nel sacrificio, ma qualcosa che le somiglia”. Questa non è sensibilità. Mi viene in mente Marcel Proust ed il suo “cessando di essere pazzo diventò stupido “ Questa non è creatività. Forse mancava ancora quell’immagine femminile di quella ricerca…

 

Messaggio modificato da aissa il 25 Jul 2004, 01:15 PM

عائشةAisha

 

 

Libellula            

Inviato il: 23 Jul 2004, 02:00 PM

Vorrei provare a rispondere al’intervento di Trumpet con dei miei pensieri sul tema da lui proposto…molte volte mi sono sentita inadeguata di fronte a un opera d’arte come incapace di leggerne dentro qualcosa…la formazione aiuta solo a conoscere un linguaggio che pero’ e’ del tutto tecnico ,razionale che destruttura centimetro per centimetro l’opera e la analizza con strumenti freddi.

E’ questa l’impostazione con cui ci si dovrebbe approcciare a un opara “d’arte”?

Ora sono certa di no come sono certa che per lopiu’ la gente che va alle mostre,come io stessa facevo in un recente passato,si trova perduta e incapace di “valutare” se non per luoghi comuni…andare a una mostra,guardare un quadro come se questo movimento stesso ti assicurasse di fronte a tutti di possedere sensibilita’….arte-sensibilita’ non e’ affatto un connubbio inscindibile,ne per chi la fa’,ne per chi la vede…

….Alogon appunto ci dice che in effetti anche nella preistoria venivano prodotte immagini di dichiarata valenza estetica…ma ci interessa in questi casi davvero conoscere colui che le ha fatte per poterle valutare?credo proprio di no,credo che bisogni considerare appunto che non sempre si utilizzava un supporto per esprimere un immagine interna frutto di un pensiero irrazionale..solo recentemente,appunto, l’artista esprime se stesso ..da quando forse non c’e’ piu’ la committenza ad ordinare un quadro con un tema specifico..forse Trumpet si riferisce all’arte contemporanea..all’ultimo secolo…

Forse piu’ adesso si ha necessita’ di “conoscere” l’artista stesso che ci propone qualcosa..e per conoscere intendo non tanto una situazione personale ma anche solo come si muove nell’ambiente circostante,forse basta poco per non essere convinti di un tal artista senza bisogno a quel punto di approfondire oltre.

Saper sentire se c’e’ della sanita’ in un opera d’arte non e’ facile ma neanche impossibile se si ha sviluppato una sensibilita’ interna che non ha niente a che fare con la sensibilita’ di cui accennavo prima che nasconde freddezza e religione…io non credo di avere ancora sviluppato quella sensibilita’ e mi trovo spesso in situazioni in cui devo sospendere il giudizio per mancanza di “dati” certi ma…..

….mi vien da sorridere pero’ ripensando alla prima volta che ho visto dal vero le opere di Domenico Fargnoli quando un pomeriggio di una domenica di agosto percorsi una lunga stradina in salita a Firenze che mi porto’ a una villa…non conoscevo l’artista tranne che per alcune cose che lessi,ed ero molto piu’ fredda e insensibile di adesso…. arrivai con una piccola dose di pregiudizio e una piccola (grande?) dose di distruttivita’..ma non potei arrampicarmi alla mia struttura razionale che mi offriva aiuto,mi avrebbe aiutata a scomporre tutti cio’ che vedevo per ridurlo al nulla…non mi fu possibile,non potei appellarmi a niente,fu un impatto forte e completamente disarmante,dovetti cedere a qualcosa di irrazionale che non mi permise di distruggere niente ma mi costrinse ad abbandonarmici…

…una vocina dolce dentro di me disse speranzosa “ma allora e’!”….

Forse non rispondo a Trumpet ma…..

 

 

Trumpet            

Inviato il: 24 Jul 2004, 12:26 PM

Rispondo ad Aissa e siccome un uccellino, no, anzi, una tartarughina mi ha bisbigliato all’orecchio che Nyx si chiedeva il significato della faccina che ho inserito in sua risposta, ciò che mi accingo a scrivere risponderà anche lei.

È comunque doveroso premettere che tale mia risposta non può e non deve essere letta come un giudizio e men che meno un giudizio scisso da una dimensione affettiva e questo per il semplice motivo che, in realtà, è esattamente l’opposto.

Dunque, è oramai chiaro che internet, o meglio ancora un forum, ad esempio, è una forma di rapporto, estremamente diversa da un rapporto interumano diretto e reale che vede persone una di fronte all’altra e che implica il linguaggio articolato come mezzo di comunicazione, quindi, ribadito questo aspetto, diviene immediatamente conseguente che il rimanere in rapporto diviene elemento primario.

Un intervento in un forum, per quanto bello, ricco, che parla di identità, di elaborazione e che regala nuovi spunti di ricerca ed approfondimento (come quello di Nyx ad esempio) necessita di essere inserito in una discussione esistente dove tali temi sono già affrontati, oppure, se le tematiche proposte nell’intervento non hanno precedenti e sono nuovi spunti si apre una nuova discussione, come ad esempio ho fatto io per questa in cui sto scrivendo.

Mi riferisco in particolare all’intervfento di Nyx, in quanto il tuo, Aissa, in realtà si allaccia a quello di Nyx.

Per spiegarmi meglio suggerisco di leggere, in questa discussione, il primo intervento di Alogon e Libellula.

Spero, con questo, di aver portato chiarezza su tutto.

 

 

aissa            

Inviato il: 24 Jul 2004, 08:50 PM

Anch’io mi sento in dovere di rispondere a trumpet, perchè in realtà quello che dici è molto interessante, ed anche importante. E’ interessantissimo quello che dici a proposito del restare in rapporto, così come mi sento di condividere pienamente l’assoluta mancanza di giudizio da parte, spero, di chiunque si introduca in questo forum. Io, con tutti i miei limiti, tento di farlo. Certo a volte la dialettica si fa più difficile, altre volte ognuno dalla sua tastiera si infiamma per molteplici motivi. certo il botta e risposta deve essere diverso perchè, appunto, non si è faccia a faccia col proprio interlocutore e la discussione è collettiva pur nel rispetto degli spazi di ognuno. questo per dire che a volte si prende la via più lunga e tortuosa per esprimere quello che si pensa, sopratutto quando i temi non sono propriamente banali. Così a volte ci tocca dire le cose in modo bizzarro per tentare di legarle a quanto detto in precedenza o fino ad allora. La ricerca che tu prorponi tra sensibilità ed arte è indubbiamente piena di possibili sviluppi, ma certo il rapporto tra un uomo e una donna è il cimento che più stimola alla creatività… direi.

عائشةAisha

 

 

Alogon

Inviato il: 24 Jul 2004, 08:56 PM

Non amo gli emoticon ma non è un giudizio!

copyright domenico fargnoli

 

 

Nyx            

Inviato il: 24 Jul 2004, 09:55 PM

Eviterei di fare di questo forum così interessante una banale chat ed è proprio per questo che a trumpet avevo chiesto il significato della sua emoticon in un’altra sede cercando, appunto, di tenere il rapporto.

Tornando invece al tema di fondo del forum, del mio intervento ed alle risposte che in tutti i sensi ho avuto, ritengo di dover approfondire quanto esprimevo. Alogon mi suggerisce che l’immagine femminile è stata scoperta per non dire inventata molto recentemente e senz’altro si riferiva alla ricerca dell’analisi collettiva. Andando a ritroso allora possiamo dire che prima nell’arte l’immagine femminile o non c’era oppure sottintendeva un pensiero completamente diverso. E, se non c’era l’immagine femminile come noi la intendiamo, allora che cosa ha espresso l’arte fino ad oggi? Prendo spunto proprio dalla ricerca dell’analisi collettiva che propone di pensare la cultura greca (forse tutt’oggi dominante) come fondamentalmente omosessuale in cui la donna è fatta completamente fuori, per pensare che forse l’arte vista fino ad oggi sia figlia di quella cultura e per chiedere se parlare di rapporto uomo donna in una discussione sull’arte sia così fuori tema.

 

 

Bice            

Inviato il: 25 Jul 2004, 12:59 AM

E’ diventato irresistibile non partecipare a questo forum che in verità seguo da tempo perchè offre la possibilità d’interagire e sviluppare “collettivamente” dei pensieri sul significato dell’arte in maniera assolutamente originale.

Anch’io per anni mi sono chiesta cosa distinguesse un’opera d’arte da un’altra che non lo è affatto .

Per anni ho cercato di capire….per poi scoprire che poche possono definirsi opere d’arte ed è quindi inutile cercare di “capire” dove c’è ben poco da scoprire.

Per comprendere, “sentire” un’opera d’arte credo che allo spettatore sia richiesto di effettuare qualcosa di simile alla regressione che deve compiere l’artista per creare, cioè perdere un assetto razionale per entrare in rapporto con quel mondo irrazionale che l’artista, intendo quello autentico, riesce a rappresentare. Rapporto che credo si possa stabilire, per lo meno a livello emozionale, anche senza conoscere la vicenda umana dell’artista per la capacità dell’opera d’arte di esprimere contenuti che sono universali perchè si riferiscono al primo anno di vita, a quella esperienza di vita comune a tutti gli esseri umani. Forse non è esatto e sarei contenta se chi ne sà più di me volesse correggermi….ma stò cercando di capire perchè certe opere, quì mi collego alla risposta di Alogon a Trumpet, possano mantenere il loro valore e la loro potenza intatti per decine di migliaia di anni.

L’altro quesito che m’interessa molto è quello che riguarda l’arte come rappresentazione dell’immagine femminile proposto da Nyx..cosa accade allora quando l’artista è una donna? Il fatto che storicamente i grandi artisti, mi riferisco in particolare alle arti visive, siano stati ed in parte continuino ad essere soprattutto uomini è amputabile solo a condizioni socio-culturali? Quì mi sento in difficoltà…mi è però venuto in mente un intervento di Alogon in una discussione precedente che vado a ricercare e che in parte cito “..il mezzo “artistico” diventa allora in modo inequivocabile mezzo espressivo di contenuti che sono quelli della sessualità umana. Dialettica uomo-donna”.

 

 

Trumpet            

Inviato il: 25 Jul 2004, 01:07 AM

QUOTE (Alogon @ 24 Jul 2004, 09:56 PM)

Non amo gli emoticon ma non è un giudizio!

 

Non ho mai usato una emoticons fino ad adesso, non ne ho mai sentito l’esigenza, se stavolta l’ho fatto è perché, in questa situazione specifica e particolare, avevo, non so perché, voglia di esprimere un qualcosa senza però scrivere, ma in un forum la scrittura è il solo mezzo per comunicare… non sapevo come fare e guardando sulla sinistra dell’editor ho visto il frame con quelle emoticons e ne ho adoperata una, dopo tutto sono emotional icons.

Ad ogni modo sono pronto in qualsiasi momento a sostituire la emoticon da me usata con parole scritte.

 

 

Trumpet            

Inviato il: 25 Jul 2004, 01:17 AM

QUOTE (aissa @ 24 Jul 2004, 09:50 PM)

… ma certo il rapporto tra un uomo e una donna è il cimento che più stimola alla creatività… direi.

 

Argomento interessante, una ricerca del tutto nuova, anzi direi completamente sconosciuta ed inesplorata per me. Apprezzo davvero molto quello che mi hai fatto notare.

 

 

Alogon            

Inviato il: 25 Jul 2004, 10:03 AM

Non pretendo minimamente di rispondere a tutte le domande.

Però mi veniva in mente il tanto celebrato Picasso. Come non ricordare che “Les desmoiselles d’ Avignon” (1906) certo uno dei quadri più importanti di tutta la storia della pittura rappresenta delle prostitute in un bordello? che dire di Otto diX, Groz, Schiele e della loro rappresentazione della donna?

Certo la figura femminile è sempre stata presente nella storia della pittura chiunque l’abbia rappresentata uomini o donne (che appunto dovevano superare pregiudizi socioculturali) ma mi viene il dubbio che l’”immagine” femminile sia ben altra cosa.

Lo studio delle forme d’arte precedenti potrebbe aiutarci solo in parte a comprendere le forme d’arte attuali, l’Homo novus.

La ricerca psichiatrica , l’unica possibile ed attuabile,ha modificato radicalmente i contenuti del fare artistico. E’ quanto in varie occasioni ho avuto modo di affermare:evidentemente non è molto facile accettare questo punto di vista.

copyright domenico fargnoli

 

 

Trumpet            

Inviato il: 25 Jul 2004, 11:43 AM

QUOTE (Nyx @ 24 Jul 2004, 10:55 PM)

Eviterei di fare di questo forum così interessante una banale chat …

 

Puoi stare tranquilla questo non succederà mai.

 

QUOTE (Nyx @ 24 Jul 2004, 10:55 PM)

… e per chiedere se parlare di rapporto uomo donna in una discussione sull’arte sia così fuori tema.

 

 

È più che ovvio che non è fuori tema.

Ad ogni modo il merito del mio intervento non era sul “cosa” bensì sul “come”.

E con questo ho concluso.

 

 

Bice            

Inviato il: 25 Jul 2004, 11:56 AM

Quello che dice Alogon è vero, forse è difficile, accettare il fatto che assieme ad una nuova teoria sull’uomo sia emerso anche un modo completamente diverso d’intendere l’arte e con essa la rappresentazione dell’immagine femminile. Mi sembra però che sia inevitabile fare riferimento per rappresentare ad un linguaggio visivo che in qualche modo deriva dalla ricerca artistica sviluppata dagli inizi del secolo scorso. Dovrebbe la rappresentazione di nuovi contenuti portare anche alla creazione di un linguaggio completamente nuovo? Oppure questo non ci interessa poiché una trasformazione formale è già avvenuta nel momento in cui appunto, le forme rappresentano qualcosa di assolutamente nuovo? Forse tutto questo può “suonare” un po’ intrigato..

Mi è sembrato di capire che nella creazione di un opera l’immagine femminile stia nella ricettività, capacità di accettare il rapporto per poi poterlo rappresentare attraverso linee e colori. L’immagine maschile potrebbe in qualche modo avere a che fare con quel “rapporto” concreto che inevitabilmente l’artista deve stabilire con gli strumenti materiali, capacità “tecnica” necessaria alla creazione ? Sono domande che mi pongo…

 

 

Alogon            

Inviato il: 25 Jul 2004, 01:11 PM

Al solito mi limito ad esprimere alcuni pensieri.

Così come esiste un linguaggio verbale che è antecedente alla esistenza del soggetto, alla nascita di ciascuno, allo stesso modo sicuramente esiste un linguaggio visivo.

Però come il poeta usa parole usuali per esprimere contenuti e stati d’animo “singolari” ed originali ugualmente il pittore può usare forme apparentemente note per esteriorizzare un modo d’essere e di creare nuovo nell’ambito di un gruppo in cui esiste “una connessione” non consapevole fra i vari membri.

Immagine femminile e maschile penso siano due aspetti in continuo rapporto dialettico fra loro all’interno di ciascuno oltre che nel rapporto interumano . Difficile legarle a funzioni specifiche.

 

Messaggio modificato da Alogon il 25 Jul 2004, 01:13 PM

copyright domenico fargnoli

 

 

Trumpet            

Inviato il: 25 Jul 2004, 01:50 PM

QUOTE (Alogon @ 25 Jul 2004, 11:03 AM)

… ma mi viene il dubbio che l’”immagine” femminile sia  ben altra cosa.

La ricerca psichiatrica , l’unica possibile ed attuabile,ha modificato radicalmente i contenuti del fare artistico. E’ quanto in varie occasioni ho avuto modo di affermare:evidentemente non è molto facile accettare questo punto di vista.

 

 

QUOTE (Alogon @ 25 Jul 2004, 02:11 PM)

Immagine femminile e maschile penso siano due aspetti in continuo rapporto dialettico fra loro all’interno di ciascuno oltre che nel rapporto interumano . Difficile legarle a funzioni specifiche.

 

 

Concordo con i pensieri e le valutazioni espressi nei due interventi di Alogon di cui ho riportato le citazioni.

 

 

aerre            

Inviato il: 25 Jul 2004, 03:55 PM

Curiosando qua e là tra gli eventi d’arte menzionati anche dai più autorevoli quotidiani nazionali, ho trovato particolarmente interessanti le opere di un artista cherokee che sta tenendo proprio in questo mese la prima mostra personale in Italia insieme ad un corso d’arte per 25 allievi aspiranti artisti.

Tale “artista” presenterà anche un video ed un’installazione testimonianza di una performance realizzata durante il corso.

Ogni giorno l’”artista”, seduto dietro una scrivania, distruggerà un oggetto portato da ciascun allievo, lasciando che i resti si accumulino nel corso dei giorni sul tavolo. Tutto ciò è stato così commentato:”L’opera d’arte finale, carica di pensiero, è composta dai detriti ottenuti dall’artistica distruzione artisticamente sparsi nello spoglio spazio museale”.

Un’altra performance dell’artista è quella di lanciare delle pietre di diverse dimensioni in un catino contenente del colore acrilico realizzando un dripping. Ancora un’altra opera è costituita da un veicolo caricato con una grossa pietra allo scopo di arrestarne la corsa causandone il ribaltamento.

La mostra di fine corso allestita dai 25 allievi, sarà intitolata “Certamente saremo confusi” (sic!).

A questo punto mi viene in mente un’altra artista diventata famosa per un letto sfatto: un ammasso di lenzuola, tampax usati e schifezze di ogni genere, il tutto esposto nelle più importanti gallerie del mondo.

A quanto pare tutto fa arte.

Aerre

 

 

Alogon            

Inviato il: 25 Jul 2004, 04:40 PM

Appunto: se tutto è arte niente è arte.

A parte questo però si può dire che l’artista cherokee opera in base ad un principio tipico dell’arte concettuale contemporanea: la performance, il gesto o il non gesto artistico mira ad evidenziare il pensiero, l’idea. Quindi procede paradossalmente al contrario in quanto cerca di dimostrare che non è la tecnica che fa il pittore.

Io avevo detto che non è la penna che fa lo scrittore, come non è internet a determinare il processo mentale della connessione.

Il problema degli artisti concettuali è che distrutta la tecnica arrivano al nulla e non all’idea perchè le loro trovate sono giochetti intellettualistici particolarmente stupidi e razionali. Sempre gli stessi.

Però potrei essere d’accordo sul fatto che bisogna capire meglio in generale che cos’è “LA TECNICA” anche perchè in greco antico arte e tecnica venivano designate , credo, con una sola parola.

Naturalmente quando si cerca di affrontare questo tema tutti tendono a metterti fra i piedi Heidegger il quale mi sembra dicesse che la tecnica è “disvelamento”.

Disvelamento ma anche mistero. Qualcosa di insondabile e di irrazionale rispetto al quale l’atteggiamento dell’uomo non può che oscillare ambiguamente fra l’accettazione e l’abbandono.

Leggo su internet le parole di un certo prof D’Alessandro

 

<<(…) la tecnica non costituisce un problema dell’’uomo (come lo sono, invece, gli strumenti tecnologici), perché l’uomo non può dirsi soggetto del Gestell [ termine che designa appunto la tecnica], ma anzi a esso sembra essere assoggettato; come per die Sprache, difatti, “non siamo noi a parlare la lingua, ma è la lingua che parla noi”, così il particolare disvelamento della tecnica moderna non è certo dovuto alla volontà dell’uomo, non è una sua produzione, essendo il darsi proprio del suo stesso inessere. È questo il senso dell’aumanesimo heideggeriano.Come intendere, però, il fatto che l’essenza della tecnica possa essere definita mistero (Geheimnis), senza per ciò stesso correre il rischio di portare la riflessione filosofica nelle secche dell’irrazionale o dell’afasia estatica?>>

 

Da sottolineare il pensiero schizofrenico: è la lingua che parla noi, è la penna che scrive le poesie. è internet che ci regala l’intelligenza collettiva e connettiva.

 

Messaggio modificato da Alogon il 25 Jul 2004, 10:20 PM

copyright domenico fargnoli

 

 

Trumpet            

Inviato il: 26 Jul 2004, 08:34 AM

QUOTE (Bice @ 25 Jul 2004, 12:56 PM)

L’immagine maschile potrebbe in qualche modo avere a che fare con quel “rapporto” concreto che inevitabilmente l’artista deve stabilire con gli strumenti materiali, capacità “tecnica” necessaria alla creazione ? Sono  domande che mi pongo…

 

Mi chiedevo se questa fosse una domanda retorica che sottintendesse, forse nemmeno poi tanto velatamente, che l’immagine maschile potrebbe rappresentare il rapporto con le cose, gli oggetti, l’inanimato, la tecnica produttiva appunto.

Ho per caso frainteso?

 

 

Bice            

Inviato il: 27 Jul 2004, 03:13 AM

E’ ovvio che ciò non debba essere preso alla lettera…come puoi pensare che possa ridurre l’immagine maschile al rapporto con l’inanimato?.

Il fare materiale, ancor di più in questo caso perchè legato alla creazione artistica, non può essere pensato come scisso da una dimensione interna che orienta ed in ultima analisi credo proprio determini l’uso che l’artista fa degli strumenti necessari alla creazione dell’opera.

Comunque la tua obiezione mi dà lo spunto di riallacciarmi al discorso sulla tecnica già affrontato da Alogon. È curioso che le parole arte e tecnica in greco siano la stessa… perché penso che esse in realtà siano in qualche modo in rapporto tra loro. Magari verrò clamorosamente smentita ma mi piacerebbe tentare d’esprimere qualche riflessione.

Credo che la tecnica non sia qualcosa che può essere appresa passivamente o razionalmente ma ricerca anch’essa che contribuisce in maniera non irrilevante alla creazione dell’immagine dalla quale non può essere separata… è ovvio che con l’arricchirsi del proprio mondo interiore anche il rapporto con gli strumenti di lavoro diventa più facile, organico ed inventivo.

Un quadro, ad esempio, può essere un’opera d’arte solo se è presente la soggettività (sana) dell’artista perché altrimenti….. si sente che c’è qualcosa che non và ed infatti la bella tecnica a ben vedere non è bella per niente ma soltanto tecnicismo.

Forse dovrei tagliare qui per evitare che questo intervento diventi un po’ troppo lungo…ma non riesco a non riferirmi all’articolo di aerre non solo per il collegamento tra la tematica della tecnica ed il fare dell’arte concettuale, di cui parlava Alogon, ma perché l’ho trovato straordinario. È un condensato stupendo delle idiozie che imperversano da decenni nel mondo dell’arte purtroppo non più solo occidentale. È infatti interessante che inizi descrivendo le trovate di un’artista cherokee

addirittura. Accelerato dal fenomeno della globalizzazione questo tipo di linguaggio (se si può chiamare tale) sta dilagando in tutto il pianeta cercando di soffocare ogni tipo di ricerca alternativa. Vorrei solamente accennare ad una mostra di Giovani Talenti dalla Cina che vidi qualche anno fa al PS1 di New York, branch del Museum of Modern Art e luogo deputato alla ricerca artistica. Naturalmente, guarda caso, tutti gli artisti invitati non facevano altro che confermare il dilagare di un’impostazione di tipo concettuale. Ricordo una recensione sulle pagine della cultura di Repubblica forse un paio di anni fa di Achille Bonito Oliva sulla biennale d’arte di Dakar…..un vuoto gioco di parole per giustificare l’utilizzo d’oggetti in disuso anche tra gli artisti africani. Il gioco perverso è quello d’esportare, o meglio imporre, altrove un preciso linguaggio per poi importare lo stesso per confermare la propria egemonia culturale che è poi anche economica. È interessante ricordare che l’arte concettuale, teorizzata in Gran Bretagna, ha avuto il suo primo sviluppo in territorio statunitense dove pure si era recato molti anni addietro Marchel Duchamp per esporre e realizzare i suoi memorabili ready-mades.

Confesso che mentre scorrevo con gli occhi le parole di arre sullo schermo non mi sono potuta trattenere dal ridere, forse anche per il sollievo di non essere sola a denunciare e mascherare il vuoto totale della cultura in cui viviamo ed a costruire un’alternativa autentica e reale.

 

 

Alogon            

Inviato il: 27 Jul 2004, 09:00 AM

Se andiamo in un vocabolario di greco antico cosa troviamo? Troviamo che “tecne” designa un’abilità generica che può riferirsi ad attività varie fra cui l’uso della parola, la retorica. Troviamo anche l’espressione “peìrata tecnes” che vuol dire strumenti dell’arte. In un dizionario etimologico troviamo invece che tecnico significa “conforme all’arte”.

Nel tempo sembra sia accaduto che la tecne, la capacità di creare e di produrre si è identificata con gli strumenti della produzione.

Il punto è questo :possiamo creare anche senza strumenti materiali. Per es lo psichiatra nella psicoterapia non usa strumenti materiali, a parte la sedia e la poltrona peraltro non essenziali, perchè ci si può sedere ovunque se non addirittura stare in piedi.

L’arte della psicoterapia prevede un’invenzione ed una creatività continue che non possono in nessun modo riferirsi ad una “tecnica” sia pure sui generis, standardizzabile. Contrariamente a quanto pensava Freud che riteneva si potesse usare un’espressione come “tecnica psicoanalitica”. In questo caso la parola tecnica viene usata in un’accezione ancora diversa cioè nel senso traslato di “procedimento standardizzato”. Il procedere secondo uno schema prefissato naturalmente fa riferimento alla coazione a ripetere ,all”istinto di morte” e non vedo come possa essere terapeutico .

Credo che neppure nel campo artistico si possa procedere secondo dei dettami fissi salvo che non possiamo fare a meno di usare strumenti materiali, pennello, scalpello, marmo colori ecc. Quindi tecnica in campo artistico serve ad indicare gli strumenti necessari per realizzare l’opera. Ma in quale accademia si insegna la tecnica di fare bassorilievi con la mola per tagliare i metalli?

E’ chiaro che ciascun artista ha i suoi specifici strumenti suscettibili peraltro di cambiare nel tempo.

Il fare artistico si avvale di strumenti ma si può affermare che lo strumento condiziona il risultato?

Se non sono soddisfatto posso in qualunque momento cambiare pennello, colore,

pastello. Possono operare liberamente una scelta in una gamma pressochè infinita di possibilità.

Così come si può dire che internet condiziona le mie prestazioni mentali, le mie capacità percettive ecc?

Quando vado al mare e passo qualche settimana a pescare me la vedo con la tecnologia dei palamiti ed il pc me lo scordo completamente.

Mi condiziona anche al mare?

 

Messaggio modificato da Alogon il 27 Jul 2004, 09:09 AM

copyright domenico fargnoli

 

 

Trumpet            

Inviato il: 27 Jul 2004, 09:41 AM

QUOTE (Bice @ 27 Jul 2004, 04:13 AM)

E’ ovvio che ciò non debba essere preso alla lettera…come puoi pensare che possa ridurre l’immagine maschile al rapporto con l’inanimato?.

 

Bè, in effetti è ovvio, infatti non pensavo nulla, ho chiesto solo delucidazioni sul tuo pensiero, in quanto, appunto, sembra proprio avessi non capito bene.

Molto interessante il tuo intervento.

 

 

aissa            

Inviato il: 27 Jul 2004, 09:44 PM

Solo per rilanciare la scommessa sul piatto, ulteriore citazione a tema…”Tra gennaio e marzo 1932 Picasso dipinse una serie di ritratti di donne dormienti.

, per i quali fece posare Marie Thérèse: il sogno, la lettura, nudo su divano nero e lo specchio. Fu proprio l’influenza e la vicinanza di questa donna che, parallelamente alle nuove sperimentazioni formali, lo portò a scoprire una nuova, sensuale versione del femminile. (…) I seni, simbolo femminile, sono messi in evidenza nella loro rotondità e prosperità.”

Ripeto che non mi sento di poter separare l’idea della creatività dall’immagine femminile. Se l’artista ritrova la propria immagine interna in una donna, la riconosce e si riconosce senza che questo lo porti ad annientarsi o ad annientare l’altro, credo che sia un artista. Sensibilità inclusa.

عائشةAisha

 

 

Alogon            

Inviato il: 28 Jul 2004, 12:26 AM

Sembra che i rapporti di Picasso con le donne siano stati piuttosto tormentati.

Forse nelle citazioni e nelle conclusioni bisogna procedere con molta cautela evitando di essere apodittici. Non sempre del resto il rapporto delle gentil sesso con la creatività è così lineare e sicuramente per un talento eccezionale come quello di Picasso non deve essere stato semplice “ritrovare la propria immagine interna in una donna”. Diciamo che ci ha provato anche se è andato incontro a non poche difficoltà, come del resto è accaduto a molti grandi artisti.

Q!ueste difficoltà le ha anche rappresentate come in “donna allo specchio” del 1932.La modella volge le spalle allo specchio e questo “permette al pittore di rappresentare in modo dissociato due aspetti dello stesso soggetto in una specie di recto verso”

Sogno ed incubo “ E’ difficile resistere ala tentazione di contrapporre la donna moglie all’amante adorata. Due figure una dolce l’altra dura aspra “stanno ad indicare i due sentimenti estremi suscitati in Picasso dalle donne:atttrazione e repulsione”

 

Messaggio modificato da Alogon il 28 Jul 2004, 08:37 AM

copyright domenico fargnoli

 

 

Nyx            

Inviato il: 28 Jul 2004, 01:09 PM

Picasso rappresenta il sogno come una donna, usando la sua donna come modella; e poi aissa parli della donna nuda che dorme e a me viene in mente la “dormiente” di domenico fargnoli. Non credo che abbia usato una modella e forse questo di per sè potrebbe non voler dire niente ma io lo voglio prendere a pretesto per delle riflessioni. Rileggendo il vecchio forum mi hanno colpito alcune frasi di alogon che riporterei di seguito:”il bambino alla prima visione del volto della madre colloca in esso la propria immagine interiore….Inconscio, coscienza, comportamento: la sanità mentale è nell’armonia di questa triade che fa l’uomo adulto e creativo”.

Quindi per essere creativi bisogna essere adulti? E che significa essere adulti? Avere un rapporto uomo donna diverso da quello del bambino al seno in cui ovviamente la differenziazione sessuale è solo fisica? Il bambino fa uno svezzamento, una separazione dalla madre diversa da quella di una bambina? Le donne cresciute, adulte cambiano l’oggetto del loro desiderio, orientano la loro attenzione verso immagini maschili…é già questa una trasformazione artistica?Quindi nell’atto della creazione l’artista fin dove regredisce? Al primo anno di vita? Un’altra citazione di alogon: “Il richiamare alla mente come atto cosciente ed intenzionale mi riporta indietro fino a quel limite, a quelle colonne d’ercole oltre le quali non è più possibile ricordare. Allora si può soltanto creare l’immagine di quanto non è mai stato visto. Immagine comunque adagiata in un letto di sensorialità in un mondo in formazione.” E’ su questo letto che dorme la dormiente? Quindi nel regredire al primo anno di vita non si ha la ripetizione di ciò che accadeva a quel tempo ma la propria immagine viene collocata nel volto più o meno definito di una donna che non è senz’altro la propria madre. Quindi se per essere artisti occorre saper regredire è, mi pare, indispensabile avere una dialettica uomo donna sana.

 

 

Alogon            

Inviato il: 28 Jul 2004, 01:36 PM

Beh innanzitutto bisognerebbe mettersi d’accordo su cosa si può intendere per “dialettica uomo donna sana” e già qui potrenmmo spenderci qualche centinaio di pagine.

Cumunque compare la parola dialettica che significa arte del confronto a partire da posizioni differenziate. E questo è già molto in quanto si prevede anche la possibilità di prendere le distanze qualora la creatività di uno dei due provocasse reazioni non appropriate nell’altro.

Evento, direi non raro.

E’ chiaro che la creatività del bambino è diversa da quella dell’adulto perchè lo sviluppo mentale non è lo stesso. La potenza regressiva è maggiore nell’adulto che si presuppone abbia maggiore vitalità.

Per la questione del volto bisogna tener conto che la visione di esso interviene intorno ai tre mesi. Credo che noi ricreiamo nell’atto creativo o d’amore, fasi anche antecedenti. Linee colori che ancora non portano ad una netta delimitazione…

copyright domenico fargnoli

 

 

aissa            

Inviato il: 28 Jul 2004, 11:24 PM

In effetti ammetto che il mio ultimo intervento non è stato affato cauto, anzi… E’ stato il repentino movimento, una reazione affatto controllata rispetto a quanto avevo letto su questa sorta di biografia artistica di picasso. mi era piaciuto quel quadro intitolato Il Sogno, mi era piaciuto perchè vi era dipinta una donna. Mi era piaciuto istintivamente, come allora mi piaque quello di Modigliani. La reazione, caricata da elaborazioni e sensazioni personali che cpomunque si riallacciano ad eventi che in questa sede non hanno senso di essere, o almeno non così tanto, è stata in effetti un tantinello… esagerata. mi piace però pensare a quel quadro che esprime l’idea del sogno,cioè il non cosciente, ad un volto di donna… anche se è noto che Picasso e le donne non significa propriamente rose e fiori. Era appunto un rilancio, forse mica tanto riuscito, un sasso tirato nello stagno… La dormiente di Fargnoli io la ricordo molto bene e ricordo anche molto bene la sensazione immediata che ebbi quando la vidi esposta la prima volta… era lo stupore! E tuttora mi stupisce quell’insieme di linee e colori che apparentemente indefinitoi fanno invece una foorma che, pur non essendio una figura, è a gli occhi di chi giuarda familiare. Forse perchè si lega proprio a quel primo anno di vita, alla fantasia che, tranne gravi eccezioni, non è perduta. Così come il poeta pur nell’usare parole a cui si attribuisce un significato universale, riesce ad evocare immagini nuove per il solo averle disposte ed usate in m odo originale. Dunque io vorrei chiedere qual’è il legame tra quelle linee e colori di un quadro che fanno una immagine indefinita ed una forma riconoscibile e quelle parole che, scritte per quello che sono, parlano di tutt’altro… C’entra fordse quell’immagine interna? Quella regressioni cui accennava nyx?E quella regressione si lega a quei primi mesi di vita di cui ha parlato Alogon?

عائشةAisha

 

 

Alogon            

Inviato il: 29 Jul 2004, 09:14 AM

La dormiente che addirittura è del 2000, ha un suo antecedente nel video girato per “una notte d’amore” in cui c’era una scena con una donna che dormiva serena in un ambiente permeato da un’atmosfera particolare.

(IMG:http://www.senzaragione.it/domenico/mostra/images/dormiente_g.jpg)

Sono lusingato dalla vostra attenzione per il mio bassorilievo a cui voi attribuite parentele illustri. Però nel mio ultimo disegno compare “il leone rosso” che mi sembra piuttosto sveglio. Niente affatto dormiente.

E se fosse un’immagine maschile?

(IMG:http://www.senzaragione.it/domenico/mostra/images/il_leone_rosso_g.jpg)

copyright domenico fargnoli

 

 

Nyx            

Inviato il: 29 Jul 2004, 10:51 AM

Touchée. Confrontarsi con l’immagine maschile del leone rosso è molto difficile costringe a non dormire a stare sveglia a non essere più depressa. Costringe ad accettare il rifiuto e come qualcuno mi ha detto, il rifiuto fatto da un leone rosso, genera odio….non ci sono più scuse……non so continuare….

 

 

sideras            

Inviato il: 29 Jul 2004, 01:45 PM

Leggendo gli interventi fatti su questo forum,che trovo molto interessanti,e guardando il quadro del leone rosso mi viene in mente che oltre al rapporto con la donna,che ritengo essere comunque un asse portante,forse l’artista ha un in più al quale però non saprei dire…mi piacerebbe che “qualcuno” portasse avanti questa mia,solo ipotesi che non riesco a trasformare in un pensiero preciso,”qualcuno” che è un artista! Mi veniva anche in mente che un rapporto fra un uomo e una donna forse non basta,o comunque non senza una ricerca personale che sia in grado di trasformare sia l’uomo che la donna,permettendogli quella dialettica che vada oltre l’identificazione,ma oltre questo non so dire….

 

 

Alogon            

Inviato il: 29 Jul 2004, 02:16 PM

L’osservazione di “sideras” è molto pertinente anche se è difficile rispondere alla sua domanda. Non pretendo quindi di esaurire la questione. Propongo solo alcune ipotesi, da verificare , da vagliare.

Se lo specifico dell’artista è il fare senza sapere è indiscutibile che la sua immagine è immediatamente prassi e movimento. Ideazione e realizzazione possono essere un’unico processo attraverso cui prende vita una forma che prima non esisteva. Temporalmente ciò può avvenire anche in modo rapidissimo: ciò che conta è la fusione fra pensiero e corporeità. E’ chiaro che il riferimento al vissuto della sessualità è immediato in quanto la fusione fra realta materiale e non materiale avviene nell’orgasmo. L’ho detto e me ne assumo la responsabilità : nell’orgasmo. “Il qualcosa in più” forse è individuabile nell’insorgere dell’idea come reazione estemporanea ad una situazione di rapporto. Esiste un nesso fra insorgenza dell’idea e la trasformazione interna che avviene per il desiderio pienamente soddisfatto?

Nell’oggetto estetico realtà materiale e non materiale fanno un tutto inscindibile…

Quindi sarebbe falso quanto diceva Freud ne “Il poeta e la fantasia” cioè che il godimento estetico sarebbe affine ad un piacere preliminare….

copyright domenico fargnoli

 

 

acca            

Inviato il: 29 Jul 2004, 02:45 PM

QUOTE (Nyx @ 29 Jul 2004, 11:51 AM)

Confrontarsi con l’immagine maschile del leone rosso è molto difficile costringe a non dormire a stare sveglia a non essere più depressa. Costringe ad accettare il rifiuto e come qualcuno mi ha detto, il rifiuto fatto da un leone rosso, genera odio….non ci sono più scuse.

 

[QUOTE]

 

Mi sapete dire perchè “il rifiuto fatto da un leone rosso” genera odio ?

 

Ho la sensazione che questo “filo” sia molto importante anche per me in questo momento ……

 

 

sideras            

Inviato il: 29 Jul 2004, 02:58 PM

Ricercando un immagine,che non sia ne sui libri ne nel vissuto personale,la ricerca mi porta a pensare che forse il nesso stà nell’immagine psichiatrica,che quell’insorgenza dell’idea stia proprio all’interno di quell’atto creativo che può fare solo la forza dell’interpretazione,che è assolutamente estemporanea,da questo sicuramente si attua una trasformazione che va credo ben oltre un fare artistico e che ci porta però ad una nuova ricerca….

 

Alogon            

Inviato il: 29 Jul 2004, 04:08 PM

Acca potrebbe avere ragione: bisogna esprimersi in linguaggio comprensibile o perlomeno coerente.

Più in generale comunque l’odio è l’affetto dell’invidia. L’invidia è una pulsione che si attiva in relazione alla creatività ed alla sessualità.

 

Rispetto a sideras rispondo che non sarò certo io a non voler sottolineare il legame stretto fra psichiatria ed a arte: perchè però dire che il nesso con l’immagine psichiatrica non è nè personale nè la troviamo nei libri?

Un’affermazione del genere non mi trova concorde ed ancora una volta mi spinge a richiamare l’attenzione sul come articoliamo i nostri discorsi, su come argomentiamo. Non tutti hanno il dono della sintesi e talvolta la contrazione estrema ci porta ad esprimere un pensiero per aforismi i quali o sono verità profonde oppure esattamente il contrario.

 

Messaggio modificato da Alogon il 29 Jul 2004, 04:40 PM

copyright domenico fargnoli

 

 

Alogon            

Inviato il: 30 Jul 2004, 12:53 PM

Vorrei riprendere il tema iniziale: molti ritengono che l’opera d’arte una volta creata acquisisca una sua autonomia indipendente dalle intenzioni di chi l’ha realizzata.

Però anche l’artista che fa una libera espressione, non rivolgendosi a nessuno in particolare, opera in un contesto di relazioni, in un ambiente dal quale volutamente ritiene di dover prescindere.

La comprensibilità dell’opera è possibile d’altronde solo se la collochiamo sullo sfondo della situazione nell’ambito della quale nonostante tutto viene generata.

Anche se non conosciamo l’identità dell’autore e le sue vicende biografiche possiamo risalire allo stato mentale, alle condizioni di vita, all’insieme dei valori che per es. caratterizzavano le comunità di cacciatori del neolitico.

La “libera espressione” ed insieme ad essa l’autonomia dell’oggetto artistico dal suo creatore è allora un’illusione?

Potrebbe esserlo qualora noi intedessimo la libera espressione e l’autonomia riduttivamente come pretesa di creare un qualcosa che non sia storicizzabile, non sia collocabile su di uno sfondo che rende possibile l’attribuzione di un senso “artistico” ad un manufatto per quanto originale esso sia, per quanto incomprensibile di primo acchito ci appaia.

Esiste un arte fuori dal tempo, immortale oppure tutto va considerato in base ad un criterio di relatività storica?

Forse non esiste un Arte con al a maisucola ma tanti linguaggi artistici i quali talora sono intraducibili l’uno nell’altro.

Sorgono a questo punto moltissime domande alle quali è veramente difficile rispondere in modo adeguato.

In che misura l’artista è veramente libero di esprimersi in un modo piuttosto che in altro?

Quando utilizziamo l’espressioni figurative facciamo riferimento a schemi precostituiti comprensibili da ogni uomo in ogni epoca oppure operiamo all’interno di forme che le varie civiltà, le varie culture umane hanno sedimentato nel tempo come un patrimonio di esperienze alle quali è inevitabile che attingiamo?

In che modo operano i condizionamenti culturali oltre la volontà del singolo?

Come eventualmente si può pensare di superarli?

Il superamento, nella condizione concreta in cui noi operiamo, potrebbe essere espressione dell’attività di ricerca di un gruppo che lavora affinchè ciascuno trovi una libertà di espressione, che poi altro non è che una sanità di base che nasce da un modo d’essere non razionale.

La domanda che mi pongo continuamente, senza mai essere capace di trovare una risposta esaustiva, è come la psichiatria, con le conoscenze che ha sviluppato sulla fisiologia della mente, possa aiutare a realizzare, attraverso la ricerca dell’analisi collettiva, quella creatività che è innovazione, rottura con una tradizione senza ricadere negli schemi delle avanguardie e della provocazione ad ogni costo che è solo un atteggiamento della coscienza. Senza ricadere nell’iconoclastia e nella critica fine a se stessa che sembra essere diventata l’unica espressione dell’arte nell’era della globalizzazione.

 

Messaggio modificato da Alogon il 30 Jul 2004, 10:03 PM

copyright domenico fargnoli

 

 

Julia            

Inviato il: 31 Jul 2004, 10:15 AM

Mi viene in mente qualche riflessione sparsa, che non so bene come organizzare ma che spero attinente al tema. Credo che ai tempi di Shakespeare o Molière il saccheggio di interi brani da parte degli autori fosse cosa ordinaria e non scandalosa. Ciò nonostante non tutti hanno avuto la loro fortuna a distanza di secoli. Interessante notare che ambedue lavoravano a stretto contatto con compagnie di attori (cosa che non mi risulta per tanti autori contemporanei), che talvolta erano gli attori stessi a incoraggiare la scritture di un testo e che loro stessi facevano gli attori. Come a dire che laddove la compartimentazione mentale è minore, maggiore è la creatività, oppure che la disposizione alla collaborazione – per niente scontata – sarebbe di per sé indice di creatività… forse questo si sapeva già?

Sui rapporti tra immortalità dell’opera e linguaggio, la traduzione delle opere (scritte) illustra una singolarità, cioè il fatto che esse “invecchiano”. Ogni cinquanta, cento anni vanno rifatte, sono diventate obsolete, datate, forse perché non rendono più quella musicalità, quella polisemia inafferrabile che porta in sé l’opera originale, sfuggendo sempre agli schemi da qualche nuovo spiraglio… sarà allora che, pur avendo lavorato in un determinato contesto come quello elisabettiano, in una determinata lingua più o meno codificata, ogni grande artista crea ogni volta un nuovo linguaggio? in parte riconoscibile e in parte misterioso, forse per quello universale?

E sui legami tra tutto ciò e la ricerca dell’analisi collettiva, non so se azzardare un appunto scontato… la vedo seguita da gente molto “diversa” tra di sé o, più precisamente, mi sembra che la gente ricavi da una stessa fonte spunti assai diversi. Diversi ma forse anche simili?

 

 

Bice

Inviato il: 31 Jul 2004, 10:17 AM

Sono domande affascinanti e complesse…vorrei raccogliere almeno in parte la “sfida” per tentare di costruire un qualche pensiero.

Forse sì, la libera espressione intesa come creazione che prescinde da un contesto di relazioni ed ogni parametro storico culturale è illusione poichè irrimediabilmente come dici tu rimanderebbe ad un arte immortale, fuori dal tempo.

Non potrei apprezzare o capire la pittura medievale senese (magari è un esempio scontato…) se non la collocassi all’interno di un preciso contesto storico.Guardando le opere di Duccio, le piccole scene colorate affollate di persone, è come se sentissi che ciò che viene rappresentato è lo sforzo di tutta una società di dare immagine alla percezione dello spazio fuori di sé, percezione che si era ampliata ed aveva acquisito profondità, mi verrebbe solo da suggerire (perché mi sto addentrando in un territorio che non è il mio), per una modifica, un ‘evoluzione della percezione del proprio mondo interiore. Si potrebbe ipotizzare che i grandi artisti siano stati coloro che in qualche modo sono riusciti a rappresentare ciò che non era ancora storicamente definito facendosi interpreti inconsapevoli di un movimento, un pensiero che poteva anche precedere il suo affiorare alla coscienza collettiva e quindi la sua verbalizzazione ? E’ vero che ciò è quasi sempre stato accompagnata dalla creazione di un nuovo linguaggio che credo possiamo considerare tale per la presenza magari all’interno di un sistema di rappresentazione già costituito di un’”invenzione” ( non so bene quale altra parola usare), come ad esempio in El Greco in cui non è possibile non riconoscerci una sensibilità già moderna?

Allora è forse impossibile ridurre la comprensione dell’arte tout court ad un relativismo storico e ciò che della creazione artistica potrebbe considerarsi “fuori dal tempo” è il suo valore che sembra non sbiadire con il trascorrere dei secoli, argomento questo che mi sembra in parte sia già stato affrontato in questo forum.

Trovo di estremo interesse la domanda che poni riguardo a come una nuova ricerca psichiatrica che ha determinato la nascita di un modo completamente nuovo d’intendere la creazione artistica possa contribuire all’emergere di una “…creatività che è innovazione, rottura con una tradizione senza ricadere negli schemi delle avanguardie e delle provocazioni (…)”. Ti vorrei chiedere se almeno in parte ciò che proponi possa avere un legame con quanto ti avevo già formulato (ed a cui mi avevi risposto) e cioè come la rappresentazione di nuovi contenuti potrebbe determinare anche la nascita di un linguaggio, possibilità espressiva che appunto diventi anch’essa “innovazione, rottura con una tradizione”. Forse invece intendi qualcos’altro ancora che non riesco al momento a cogliere appieno…..

 

 

acca            

Inviato il: 31 Jul 2004, 01:23 PM

Anche io provo ad azzardare delle risposte ai difficili interrogativi di Alogon.

 

“La “libera espressione” ed insieme ad essa l’autonomia dell’oggetto artistico dal suo creatore è allora un’illusione?”

“Esiste un arte fuori dal tempo, immortale oppure tutto va considerato in base ad un criterio di relatività storica?”

 

Può essere che che il concetto di “libera espressione” vada completamente riformulato inserendo l’ idea che l’ espressione deve essere libera dalla malattia mentale ? La quale cosa implica che se invece l’ arte intendesse essere libera dal rapporto con gli altri, con il proprio tempo e, come sta emergendo, dall’ immagine femminile per aspirare, ad esempio, all’ immortalità, sarebbe invece completamente dentro al concetto di “non rapporto”.

Mi pare che questa sia una grande novità teorica. Viene a cadere quindi il concetto di “artista maledetto” che dovrebbe rubare a Dio o al Diavolo il genio che lo renderebbe immortale insieme alla sua opera.

L’ opera d’ arte in un nuovo modo di pensare diviene libera da questa falsità, mi verrebbe da dire “faustiana”, per essere l’espressione di un’ immagine tanto più valida quanto più è in grado di spingere chi la guarda al desiderio e alla creatività e quindi anche ad essere molto velocemente “superata”.

 

“In che modo operano i condizionamenti culturali oltre la volontà del singolo?

Come eventualmente si può pensare di superarli?”

 

Più o meno recenti analisi storiche e artistiche delle avanguardie del novecento ci fanno vedere come, malgrado la paranoia delle loro intenzioni programmatiche di fare “tabula rasa” del passato per proporre “una arte completamente nuova, pura e universale”, in realtà rimasero legati al loro tempo e alla storia. Magari, come nel caso degli olandesi di De Stijl, andarono a prendersi modelli culturali più o meno coscienti in Giappone o in America.

Ma andare altrove a cercare modelli è in netta contraddizione con quelli che erano i loro intenti dichiarati.

Ma questi sono i condizionamenti culturali o i condizionamenti formali ?

Potrei pensare che la libertà dai condizionamenti culturali negativi (ad esempio il freudismo) potrebbe rendere liberi di usare condizionamenti formali (o linguaggi che dir si voglia) in un modo completamente diverso e quindi innovativo.

 

“La domanda che mi pongo continuamente, senza mai essere capace di trovare una risposta esaustiva, è come la psichiatria, con le conoscenze che ha sviluppato sulla fisiologia della mente, possa aiutare a realizzare, attraverso la ricerca dell’analisi collettiva, quella creatività che è innovazione, rottura con una tradizione senza ricadere negli schemi delle avanguardie e della provocazione ad ogni costo che è solo un atteggiamento della coscienza. Senza ricadere nell’iconoclastia e nella critica fine a se stessa che sembra essere diventata l’unica espressione dell’arte nell’era della globalizzazione”.

 

Qui dico solo cose che mi sembrano evidenti senza conoscere a pieno tutto ciò che l’ Analisi Colettiva ha mosso e muove nel campo della creatività (e forse questa cosa alla fine non la sa nessuno).

Mi sembra un fatto innegabile che, anche se non sappiamo come, ciò stia accadendo.

Non sembra allo stato attuale che si possa dire che questa ricerca abbia creato nuovi linguaggi espressivi. Cioè la grafica, la pittura, la scultura, il cinema, l’ architettura prodotte da chi segue questa ricerca potrebbero essere ricondotte, a livello di opera singola, a precedenti formali e i critici d’ arte potrebbero facilmente essere in grado di assegnare ogni singolo pezzo a questa o quella corrente artistica degli ultimi due secoli. E’ il senso che appare con evidenza completamente nuovo. Forse la ricerca sul linguaggio espressivo è stata priva fin qui di quelle ansie iconoclaste che invece avevano contraddistinto il moderno. Forse non si è voluto ripetere l’ errore delle avanguardie di mettersi a pensare in maniera astratta prima di fare. Forse la riuscita è proprio legata a non aver voluto, più o meno consapevolmente, inventare coscientemente nuove parole. In altre parole e curiosamente direi che proprio non voler essere “moderni” o creativi a tutti i costi ha liberato la creatività e portato a fare cose del tutto nuove. Penso che non si possa nemmeno escludere che la ricerca sull’ inconscio possa portare anche a linguaggi espressivi completamente nuovi.

 

 

Alogon            

Inviato il: 31 Jul 2004, 02:46 PM

Recentemente, qualche mese fa a Firenze , ho visitato una mostra di manufatti “artistici” del centro America, del Perù. In particolare mi ha colpito un tessuto con un disegno e colori che se non avessi visto la datazione e la provenienza , mi pare 500 dc popolo Maya, avrei potuto attribuire tranquillamente a Picasso .

Se osservo opere degli uomini dell’età della pietra vedo figure di animali ma anche psicogrammi, segni geometrici. che denotano una inequivocabile tendenza all’astrazione.

La pittura cosiddetta “moderna”è stata realmente innovativa od ha solo accentuato elementi preesistenti dando ad essi un senso nuovo all’interno di una diversa valutazione della funzione dell’arte sganciata per es. da presupposti di tipo religioso?

Così rispondo a chi dice che il linguaggio che deriva dalla nostra ricerca psichiatrica non è innovativo come se potesse esistere una frattura fra forma e contenuto.

Credo che stiamo costruendo una nuova sintassi formale in cui ciascun elemento non è valutabile preso isolatamente ma rapportato all’insieme dei significati che contribuiscono a dare ad esso un senso diverso.

Certo non è mai esistito storicamente un rapporto così stretto fra arte e scienza, fra psichiatria ed arte. Ciò fa sì che noi possediamo possibilità di comprensione del linguaggio delle immagini oniriche e non oniriche prima assolutamente impensabili. Bisogna ricordare che i surrealisti parlavano di inconscio ma non si sa esattamente cosa intendessero.

Non lo sapevano loro e non lo sapeva nemmeno Freud.

Il metodo del pensiero che consente un accesso all’irrazionale regala alla possibilità di creare un’accelerazione vertiginosa, amplificata dal fenomeno della cooperazione artistica.

I linguaggi precedenti vengono riassorbiti all’interno di una visione diversa ed essi compaiono come inevitabili a volte inconsapevoli citazioni all’interno però di una visione assolutamente nuova dell’uomo e della realtà. Chi può sviluppare un discorso sulla poesia senza riferirsi almeno una volta ad Omero?

Personalmente non rifiuto quanto è stato fatto di valido in passato ma lo rielaboro all’interno di una prassi , di un fare che non ha assolutamente precedenti.

Un gruppo di artisti riesce a collaborare ad un’unica attività creativa senza dissociazioni o contrasti.

Un gruppo di persone scrive un forum in cui si segue un filo preciso di pensiero e che potrebbe diventare un libro.

Quindi la creazione collettiva forse non è più un utopia ma una realtà concreta che non annulla le singole individualità ma al contrario le esalta all’interno di una esperienza del tutto sconosciuta precedentemente, della socialità e del fare.

Fare insieme senza costrizioni o gerarchie precostituite.

 

Messaggio modificato da Alogon il 31 Jul 2004, 02:53 PM

copyright domenico fargnoli

 

 

acca            

Inviato il: 31 Jul 2004, 06:33 PM

“La pittura cosiddetta “moderna”è stata realmente innovativa od ha solo accentuato elementi preesistenti dando ad essi un senso nuovo all’interno di una diversa valutazione della funzione dell’arte sganciata per es. da presupposti di tipo religioso?”

 

A me sembra che l’ arte moderna abbia fatto un’ operazione inversa, abbia cioè confuso la forma con il contenuto. I presuposti di tipo religioso dalle quali sganciava apparentemente la funzione dell’ arte, rientravano, per così dire, dalla finestra perchè si stabilivano di fatto dei dogmi formali: il famoso “culto della forma”. Operazione del tutto razionale.

Anche le biografie stesse di molti esponenti del moderno, “pericolosamente” affascinati dalle religioni orientali (penso ad esempio ad Itten e alla sua “mistica” del colore), ci parlano di idee religiose.

 

“Così rispondo a chi dice che il linguaggio che deriva dalla nostra ricerca psichiatrica non è innovativo come se potesse esistere una frattura fra forma e contenuto”

 

Mi torna in mente di aver letto che il valore della ricerca artistica legata alla ricerca psichiatrica stia anche nel gettare una luce nuova sul linguaggio delle avanguardie. Un enorme patrimonio formale può così essere ri-creato riscoprendo un senso del fare artistico completamente nuovo.

Si può dire: “Se non è ricerca sul linguaggio questa …..”. Lo è ma in un senso nuovo. Le vecchie categorie interpretative, non mi pare un caso la presenza di tanti linguisti nell’ ambito della stessa ricerca, devono essere trasformate di pari passo. Come sta avvenendo.

La scissione fra forma e contenuto, che era subdolamente presente nell’ arte moderna malgrado tutte le dichiarazioni di intenti, e le varie “angoscie di stile” vengono superate proprio in virtù della ricerca sull’ inconscio.

Non mi posso esimere però da continuare per ora a pensare che un Bergman o un Kieslowski o un Truffaut possano essere considerati ancora degli innovatori del linguaggio cinematografico più importanti di Marco Bellocchio malgrado che io preferisca quest’ ultimo, che i film del primo mi annoino da morire e che non escluda assolutamente che Bellocchio faccia una ricerca relativa allo specifico del linguaggio cinematografico estremamente importante e fruttuosa. La grandezza di Bellocchio però non sta tanto o non solo nella ricerca sul linguaggio cinematografico propriamente detto ma in qualcosa di altro e di più che comprende lo specifico cinematografico al suo interno. E’ evidente che anche all’ ultima mostra del cinema di Venezia tutto questo non sia stato minimamente compreso.

 

 

Alogon            

Inviato il: 31 Jul 2004, 11:32 PM

Quello che volevo dire è che l’arte moderna comunque ha perseguito una ricerca formale che, salvo le debite eccezioni, era libera dal dovere imprescindibile di illustrare un testo sacro. E questo in ogni modo è stato un passo in avanti. Molti pensavano che Dio fosse morto anche se purtroppo non era vero. E’ noto il rapporto fra Nietzsche e avanguardie artistiche.

E’ chiaro che il problema del superamento della mentalità religiosa è estremamente complesso e coinvolge il non cosciente. Senza la teoria della nascita, che comprende la scoperta della vitalità si ricade nel nichilismo e nel nazismo anche se non necessariamente dichiarato. Si rimane sotto l’egida della “cultura pura dell’istinto di morte” che di fatto è religiosa:il superuomo freudiano o peggio ancora Junghiano. Ed è irrilevante la circostanza per la quale Freud si dichiarava ateo.Su questo credo non ci possa essere discussione.

Su Bellocchio non mi esprimo, anche se sono estremamente legato a molti suoi films, perchè non ne voglio fare un’icona od una bandiera.

Credo che dobbiamo evitare atteggiamenti ideologici o ricostruzioni storiche truccate che inglobano già in partenza un giudizio di valore.

Qualcuno è riuscito anche a sostenere che Dante non aveva padri e che forse non era neppure religioso.

Ritengo che le nuove categorie interpretative che derivano dalla ricerca psichiatrica e che ci consentono anche una diversa comprensione del fenomeno artistico debbano essere usate con estrema cautela anche se su alcune valutazioni espresse potrei essere anche d’accordo.

copyright domenico fargnoli

 

 

acca            

Inviato il: 1 Aug 2004, 10:51 AM

Comunque penso che sia estremamente importante recuperare, anche a livello di vocabolario, una chiarezza maggiore sui termini che legano la ricerca psichiatrica ed artistica alla ricerca sul linguaggio (che poi pare che procedano di pari passo e che si influenzino reciprocamente).

Non so infatti, e me ne scuso, se io mi stessi riferendo al linguaggio, allo stile o a qualcos’ altro che continuo a ignorare.

Penso che tutto questo sia estremamente stimolante e che obblighi a una ricerca continua in campi lasciati quasi sempre agli “specialisti” mentre è forse il caso di comprenderli all’ interno della propria cultura. Non è vero che la teoria è arida o fredda, anzi forse questo è un pregiudizio che viene alimentato per mantenere privilegi all’ interno di cerchie ristrette. Poi magari teorie discutibili nel campo della linguistica influenzano le scelte nel campo dell’ arte ma anche in quelli della politica, dell’ informazione, dei rapporti di lavoro, dell’ ambiente in cui viviamo giungendo ad influenzare negativamente la vita di ognuno.

 

 

Alogon            

Inviato il: 1 Aug 2004, 12:44 PM

Immagini che nascono dalle parole o parole che nascono dalle immagini?

Non so in realtà quali siano le priorità in una mente in continuo movimento.

Ho la certezza però che per fare ricerca ci vuole una sanità fondamentale.

Altrimenti il linguaggio è vuoto e l’immagine è piatta.

La cultura in questo caso non serve a niente: è solo accumulo di nozioni, di ricordi,

di citazioni che non arrivano ad una elaborazione, ma che soprattutto non consentono una trasformazione.

 

Messaggio modificato da Alogon il 1 Aug 2004, 12:45 PM

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