Psichiatria

La mente estesa

La mente estesa ( trad. Domenico Fargnoli)

Andy Clark & David Chalmers
Analysis 58.1, gennaio 1998, pp. 7–19

1. Introduzione

Dove finisce la mente e dove comincia il resto del mondo?
A questa domanda si danno solitamente due risposte standard. Alcuni accettano i confini della pelle e del cranio, sostenendo che ciò che è al di fuori del corpo è anche al di fuori della mente. Altri, colpiti da argomenti che suggeriscono che il significato delle nostre parole “non è solo nella testa”, ritengono che questo esternalismo sul significato si estenda anche a un esternalismo sulla mente.

Noi proponiamo di perseguire una terza posizione. Difendiamo una forma molto diversa di esternalismo: un esternalismo attivo, basato sul ruolo attivo che l’ambiente svolge nel guidare i processi cognitivi.

2. Cognizione estesa

Consideriamo tre casi di problem-solving umano:
1. Una persona siede davanti a uno schermo che mostra immagini di varie figure geometriche bidimensionali e deve rispondere a domande sulla possibilità che tali figure si adattino a delle “incastri” rappresentati. Per valutare l’adattamento, deve ruotare mentalmente le figure per allinearle agli incastri.
2. Una persona si trova davanti a uno schermo simile, ma questa volta può scegliere se ruotare mentalmente le figure oppure premere un tasto che fa ruotare fisicamente l’immagine sullo schermo. Supponiamo, non in modo irrealistico, che l’operazione di rotazione fisica sia più rapida.
3. In un ipotetico futuro cyberpunk, una persona siede davanti a uno schermo simile. Questo soggetto, però, possiede un impianto neurale che può eseguire l’operazione di rotazione alla stessa velocità del computer. Deve comunque scegliere quale risorsa usare (l’impianto o la rotazione mentale tradizionale), poiché ciascuna comporta diversi costi in termini di attenzione e attività cerebrale concorrente.

Quanta cognizione è presente in questi casi? Noi suggeriamo che i tre casi siano simili. Il caso (3), con l’impianto neurale, appare chiaramente analogo al caso (1). Ma anche il caso (2), con il pulsante di rotazione, mostra la stessa struttura computazionale del caso (3), distribuita tra agente e computer anziché interamente interna all’agente. Se la rotazione del caso (3) è cognitiva, con quale diritto considerare il caso (2) fondamentalmente diverso? Non possiamo semplicemente indicare il confine pelle/cranio come giustificazione, poiché proprio la legittimità di quel confine è ciò che è in discussione.

Il tipo di caso appena descritto non è affatto così esotico come può sembrare. Non si tratta solo della presenza di risorse informatiche avanzate, ma della tendenza generale degli esseri umani a fare grande affidamento su supporti ambientali. Consideriamo ad esempio:
• l’uso di carta e penna per eseguire moltiplicazioni lunghe,
• il riordinamento delle tessere di lettere nello Scarabeo per facilitare il richiamo di parole,
• l’uso di strumenti come il regolo calcolatore nautico,
• e, più in generale, l’intero apparato di linguaggio, libri, diagrammi e cultura.

In tutti questi casi, il cervello individuale compie alcune operazioni, mentre altre vengono delegate a manipolazioni di media esterni. Se i nostri cervelli fossero diversi, la distribuzione dei compiti sarebbe stata differente.

In effetti, persino i casi di rotazione mentale descritti sopra sono reali: si presentano ai giocatori del videogioco Tetris. In Tetris, le figure che cadono devono essere rapidamente dirette verso la giusta fessura. Si può usare un pulsante di rotazione. Kirsh e Maglio (1994) hanno calcolato che la rotazione fisica di una figura di 90° richiede circa 100 millisecondi, più altri 200 per selezionare il pulsante; ottenere lo stesso risultato con la rotazione mentale richiede circa 1000 millisecondi.

Essi mostrano che la rotazione fisica non serve solo a posizionare la figura, ma spesso anche a determinare la compatibilità tra forma e incastro. Questo è ciò che chiamano azione epistemica: un’azione che modifica il mondo in modo da facilitare o ampliare processi cognitivi come il riconoscimento o la ricerca. Al contrario, un’azione puramente pragmatica modifica il mondo solo perché è desiderato un cambiamento fisico (es. versare cemento in una crepa di una diga).

L’azione epistemica, sosteniamo, richiede una distribuzione del credito epistemico. Se, di fronte a un compito, una parte del mondo funziona come un processo che, se fosse stato svolto nella testa, non avremmo esitato a riconoscere come parte del processo cognitivo, allora quella parte del mondo è parte del processo cognitivo. La cognizione non è tutta nella testa.

3. Esternalismo attivo

In questi casi, l’organismo umano è collegato con un’entità esterna in una interazione bidirezionale, creando un sistema accoppiato che può essere visto come un sistema cognitivo a pieno titolo. Tutti i componenti del sistema svolgono un ruolo causale attivo e insieme governano il comportamento nello stesso modo in cui normalmente lo fa la cognizione.

Se rimuoviamo il componente esterno, la competenza comportamentale del sistema diminuisce, esattamente come accadrebbe se rimuovessimo una parte del cervello. La nostra tesi è che questo tipo di processo accoppiato conti a tutti gli effetti come un processo cognitivo, anche se non si svolge interamente “nella testa”.

Questo esternalismo differisce dall’esternalismo standard di Putnam (1975) e Burge (1979). Nei loro casi classici (es. “Terra Gemella”), le caratteristiche esterne rilevanti sono distali e storiche, alla fine di una lunga catena causale. Non hanno alcun ruolo nel qui-e-ora: se io mi teletrasporto su Terra Gemella, i miei pensieri continuano a riguardare l’acqua terrestre, nonostante mi circondi XYZ.

Nei casi che noi descriviamo, invece, le caratteristiche esterne sono attive, giocano un ruolo diretto e cruciale nel presente, incidono sul comportamento. Sono “nel circuito” del sistema cognitivo, non sospese all’altro capo di una catena causale remota. Questo è ciò che chiamiamo esternalismo attivo, contrapposto all’esternalismo passivo di Putnam e Burge.

L’esternalismo attivo, a differenza di quello passivo, non soffre dell’obiezione dell’irrilevanza causale: se cambiamo le caratteristiche esterne mantenendo costante la struttura interna, il comportamento può cambiare radicalmente.

4. Dalla cognizione alla mente

Finora abbiamo parlato soprattutto di “processi cognitivi” estesi nell’ambiente. Ma che dire della mente vera e propria — credenze, desideri, emozioni?

Consideriamo due casi:
• Inga sente parlare di una mostra al MoMA. Ricorda che il museo è sulla 53ª strada e ci va. Possiamo dire che credeva già prima di consultare la memoria che il museo fosse lì.
• Otto, affetto da Alzheimer, porta sempre con sé un taccuino dove annota le informazioni. Vuole andare al MoMA, consulta il taccuino e legge “53ª strada”. Va al museo.

È naturale dire che Otto credeva che il museo fosse sulla 53ª strada già prima di consultare il taccuino. Per lui, il taccuino svolge lo stesso ruolo che la memoria svolge per Inga.

Se negassimo ciò, dovremmo complicare enormemente le spiegazioni delle sue azioni: non più “Otto crede che il museo sia in 53ª strada”, ma “Otto crede che il museo sia dov’è scritto nel taccuino, e il taccuino dice…”. Una spiegazione inutile, visto che il taccuino è costante nella vita di Otto, proprio come la memoria lo è nella vita di Inga.

Ne segue che la credenza non è sacra ai confini della pelle e del cranio: ciò che conta è il ruolo funzionale. Se l’informazione esterna gioca lo stesso ruolo causale e normativo della memoria interna, essa costituisce una credenza.

5. Oltre i limiti

Quanto lontano possiamo spingerci? Possiamo considerare parte della memoria anche le etichette appese dagli abitanti smemorati di Cent’anni di solitudine? E i file del mio computer? E Internet?

Gli autori rispondono: dipende dal grado di costanza, accessibilità, affidabilità e integrazione. Otto e il suo taccuino soddisfano bene questi criteri. Altri casi sono più dubbi.

E la cognizione socialmente estesa? Sì, in linea di principio: un partner di coppia, un collaboratore fidato, un cameriere che conosce sempre le mie preferenze possono fungere da protesi cognitive. Il linguaggio è il mezzo principale di questa estensione sociale: non uno specchio degli stati interni, ma un complemento che amplia la cognizione.

Infine, il sé: se accettiamo che le credenze disposizionali costituiscano parte della nostra identità, allora anche i supporti esterni che le veicolano entrano a far parte del sé. Otto non è solo un organismo biologico, ma un sistema esteso che comprende anche il suo taccuino.

Questa riconfigurazione ha conseguenze filosofiche, scientifiche e morali: in certi casi, interferire con l’ambiente di una persona può avere la stessa gravità che interferire con la sua persona. Una volta superata l’egemonia dei confini pelle/cranio, possiamo vederci più chiaramente come creature del mondo.

Bibliografia

(come nell’originale: Putnam, Burge, Hutchins, Kirsh, Maglio, Varela, ecc.)

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