Psichiatria

“Qualcuno volò sul nido del cuculo”

Il film di Miloš Forman “Qualcuno volò sul nido del cuculo” esce nel 1975, proprio negli anni in cui in Italia esplode il movimento per la chiusura dei manicomi .
Alcuni critici italiani (es. Giovanni Jervis) sottolinearono la dimensione individualista e tragica del film: McMurphy il protagonista si sacrifica, ma non c’è vera trasformazione collettiva.
Il film e il romanzo di Kesey hanno dato al pubblico internazionale un’immagine fortissima della psichiatria come istituzione repressiva.

Nel 1973 lo psicologo statunitense David L. Rosenhan pubblicò sulla rivista Science uno studio divenuto celebre con il titolo On Being Sane in Insane Places (tradotto in italiano: “Sull’esser sani in luoghi folli”). Questo esperimento pionieristico metteva alla prova la validità delle diagnosi psichiatriche inviando persone sane sotto copertura in ospedali psichiatrici.
Lo studio è considerato una critica importante e influente alla psichiatria dell’epoca, in quanto metteva in discussione la capacità dei medici di distinguere il sano dal malato mentale

Rosenhan trasse conclusioni severe sul sistema psichiatrico. Anzitutto dimostrò empiricamente la fallibilità dei metodi diagnostici: in condizioni normali, gli psichiatri tendevano a “vedere” patologia anche dove non ve n’era (come successo coi pseudopazienti sani), mentre all’opposto, se posti in stato di allerta, potevano scambiare per simulatore un malato autentico. In sintesi, secondo Rosenhan «non possiamo distinguere i sani dai pazzi negli ospedali psichiatrici»

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Psichiatria

Il genocidio di Srebrenica (11-22 luglio 1995) e della Palestina. Lo psichiatra e il pazzo

Brenton Tarrant è un suprematista bianco e terrorista australiano  autore, il 15 marzo 2019 della  strage nelle moschee  di Christchurch in Nuova Zelanda ai danni di soggetti di fede mussulmana. Mentre si recava in macchina nei luoghi della sparatoria Tarrant, che si ispirava a Anders Breivik e Luca Traini,  ascoltava una canzone dal titolo “Serbia strong o Remove kebah” che dice: << Karadzic guiderà i serbi mostrando che essi non hanno paura di niente(…)>>  Chi è Radovan Karadzic?

Un terrorista di stato che ha usato il potere istituzionale e militare per sterminare i mussulmani bosniaci.

Egli è stato un politico e criminale di guerra  già presidente dell’autoproclamata Repubblica Serba di Bosnia  dal 1992 al 1996.

Latitante dal 1996 al 2008, Karadžić è stato condannato nel marzo 2019  all’ergastolo dal tribunale penale internazionale dell’Aia  per genocidio,  crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Karadzic  ha intrapreso una guerra che è costata  più di  centomila morti, 50000 stupri, circa due milioni di sfollati e rifugiati politici, danni materiali incalcolabili in tutta la Bosnia  e nell’assedio della  città di Sarajevo. 10751 uomini e ragazzi trucidati in pochi giorni nel luglio 1995  solo nell’enclave  di  Srebrenica   città che fu disarmata e lasciata alla mercé degli aggressori nell’indifferenza  colpevole delle truppe olandesi dell’ONU che abbandonarono armi, divise e  blindati. Un lato oscuro di questa vicenda è la decisione del comando della NATO di negare l’intervento dell’aviazione  contro i serbi bosniaci che entravano  a Srebrenica violando  leqq risoluzioni dell’ONU. Nato nel 1945 in un piccolo villaggio del Montenegro e  cresciuto in un clima di ristrettezze Radovan Karadzic  si trasferisce dopo le scuole medie a Sarajevo dove in seguito intraprende gli studi di medicina. Si specializza in psichiatria e lavora nella clinica universitaria di Sarajevo senza mai abbandonare la sua vera passione la poesia. Scrive diverse raccolte  in un  linguaggio   cupo e pessimistico. I suoi versi erano rozzi e tradivano un temperamento impulsivo con contenuti improntati ad un misticismo criptico con immagini crude, violente e presagi di sventure. Alla fine degli anni 70  il montenegrino cerca  di coniugare l’ interesse per la psichiatria e quello per la poesia anche durante la permanenza di un anno  in America  con una borsa di studio alla Columbia University. La vita di Karadzcic che era quella di un mediocre poeta e di uno psichiatra svogliato   subisce ad un certo punto  un improvviso cambiamento. Dopo essersi occupato di psicologia dello sport con risultati discutibili  tenta con alcuni amici di truffare lo stato per mettere su un allevamento di polli e costruire una villetta con fatture gonfiate. Finisce in prigione per 11 mesi. Viene  scarcerato forse per una  collaborazione coi servizi segreti. L’esperienza del carcere è  un detonatore che evidenzia un fallimento umano e professionale. Negli anni successivi come riferisce  lo psichiatra Ismet Ceric, supervisore di Karadzic  per vent’anni, fa uso massiccio di antidepressivi e soffre di una grave forma di insonnia. Secondo Ceric  e la psichiatra  junghiana che lo ha analizzato Karadzic ha un disturbo narcisistico della personalità.  Alla  fine degli anni 80  egli decide di entrare in politica dapprima coi verdi e in seguito fondando il partito dei nazionalisti serbi. Da qui in avanti assistiamo ad una profonda  trasformazione  della personalità che potrebbe essere l’indizio di un grave  processo psicotico. L’assunzione di un ruolo pubblico politico ha un effetto cosmetico sulla psicopatologia: la grandiosità, la vanagloria maschera il vuoto e l’assenza di identità umana , professionale e artistica. Karadzic, montenegrino,  si trasforma nell’eroe difensore della causa dei serbi che si autorappresentano, nella poesia epica, come  storicamente perseguitati. Ivan Rascovic uno psichiatra serbo croato che aveva teorizzato, ispirandosi alle teorie razziali del nazista Ernst  Rudin , la superiorità genetica  del popolo serbo (   suo il libro “Il paese folle” ) aveva  designato Radovan Karadzic alla suprema carica della repubblica e dell’esercito  serbo bosniaco. Raskovic era l’ideologo che aveva alimentato coscientemente  l’odio razziale  e si riteneva il vero fautore della pulizia etnica. Incredibilmente Karadzic aderisce totalmente al ruolo eroico che Raskovic e i nazionalisti serbi avevano disegnato per lui. Apparentemente per il potere, la visibilità internazionale e il denaro delle razzie e del contrabbando  ma soprattutto per la megalomania che lo spinge ad azioni assurde e senza senso lo  psichiatra-poeta  è disposto ad annullare ogni dimensione umana, entrando nella parte di chi è  votato, fino al martirio  alla causa del nazionalismo. Per Karadzic la Serbia è  il paese della Resurrezione, cioè  della rivoluzione attraverso l’identificazione   coi martiri Cristiani e  l’unificazione mistica con l’anima perenne e atemporale del popolo serbo. Karadzic si identifica con personaggi storici, come   San Lazar che combatté’ i turchi nel 1369 e   indulge ad una sorta di neronismo. E’ emulo di Nerone  quando suona la  gusla, il violino monocorde, e recita   poesie sulle alture di Sarajevo che brucia sotto  i colpi dei suoi  mortai. È in compagnia del nazibol  Eduard Limonov : quest’ultimo spara con una mitragliatrice sulle case della città assediata.  E’  una scena  del documentario Serbian epics  di Pawel Pawlikowsky del 1992. Personaggio popolare ed estroverso Karadzic si situa in una linea di continuità dal punto di vista psicopatologico  con i criminali nazisti a Norimberga. Uno saggio sul montenegrino   è quello di Jessica Stern un’accademica   americana esperta di terrorismo. In un libro uscito il mese di Febbraio 2020  dal titolo «Il mio criminale di guerra : un incontro personale con un architetto del genocidio>> la scrittrice scandaglia la mente del genocida. Il  libro è poco più che un esercizio retorico. Infatti Jessica Stern conclude, con un tocco di fatuità, che malgrado le bugie e i  tentativi di manipolazione a suo danno  Radovan è tutt’altro che un mostro ma si dimostra  affabile, colto e a tratti fascinoso; secondo  lei avrebbe avuto  ragione lo psichiatra Douglas Kelley che a suo tempo studio’  i 22 criminali nazisti, fra cui Goring, Von Ribbentrop e Speer, al processo di  Norimberga nel 1945-1946. Kelley concluse  le sue indagini sostenendo   che non esiste una nazi-mind un tratto distintivo della mente nazista. I nazisti sarebbero stati, secondo lo psichiatra americano non dei mostri disumani ma persone normali.  Come uniche caratteristiche in comune essi avrebbero avuto  la smisurata ambizione   e gli  incredibili ritmi di lavoro motivati dal fanatismo nazionalista oltre  che carenza  di    senso morale. Il  test di Rorschach utilizzato per la diagnosi  avrebbe mostrato che i leaders nazisti non presentavano malattie mentali o  psicopatologie di rilievo. Il Nazismo pertanto, privo di segni patognomonici, sarebbe potuto risorgere ovunque in mezzo alle persone cosiddette ordinarie e quindi  anche in America. Chiediamoci quanto Douglas Kelley   fosse attendibile. Lo psichiatra  sviluppo’ un rapporto di amicizia  con  Hermann Goring, che gli fece anche dei regali,  fino al punto di esprimere ammirazione per il suicidio con il cianuro considerato un abile e brillante tocco finale con cui il nazista aveva messo in scacco le guardie americane e si era guadagnato l’ammirazione dei posteri. Nel  1958 in America  Douglas  Kelley   fu protagonista di un incomprensibile  e plateale suicidio di fronte al padre e alla famiglia proprio con il cianuro. Come se l’esperienza di Norimberga avesse agito alla stessa stregua di  un veleno  che lo aveva logorato nel tempo  tramite  un’identificazione speculare e  mortale con  Hermann Goring. Kelley e quindi anche Jessica Stern, avevano torto. Karadzic infatti  espresse bene e chiaramente   ciò che caratterizza “the nazi mind”. In un intervento al parlamento  dei bosniaci   nell’ottobre 1991   ammonì questi ultimi che se  si fossero separati dalla Serbia i mussulmani avrebbero rischiato l’estinzione cioè l’annientamento come di fatto avvenne. Ciò che è tipico della mentalità nazista è la volontà di far sparire  fisicamente come nei lager del Terzo Reich, persone che vengono vissute  come estranee e diverse. La volontà di annientamento dei serbi   si spingeva fino al punto che anche  da morti  venne  negata, tramite la pratica dello smembramento organizzato e sistematico attuata a Srebrenica  un’identità ai mussulmani. Preliminare dell’annientamento e dello smembramento e’ l’annullamento, la percezione delirante che non riconosce l’esistenza dell’altro. Il generale Mladić, agli ordini di Karadzic, a Srebrenica disse al comandante olandese :<< Tu non sei niente. Io sono Dio>> Ciò’ avveniva un anno dopo la morte per suicidio di sua  figlia Ana.  La pulsione di annullamento,  la disumanizzazione  è il nucleo generatore della malattia mentale, come suggerisce la teoria della nascita di Massimo Fagioli.   Durante la latitanza durata 13 anni grazie all’appoggio dei servizi segreti,  Karadzic assunse ancora un’altra identità oltre a quella di psichiatra e politico: si trasformò in un guru della medicina alternativa che pretendeva di curare  con la spiritualità e la bioenergia. La maschera del santo è il macabro e paradossale  travestimento  di un omicida di massa. Egli aveva  assunto le vesti di un  guaritore  il cui  look, barba e capelli lunghissimi in uno stile new Age,  era assurdo e bizzarro. Anche questa volta lo psichiatra-poeta aveva aderito, in modo manieristico, a un cliché, a uno stereotipo   alterando  i tratti delle precedenti personalità ad eccezione della  poesia. Quest’ultima garantiva  il continuum psicopatologico fra le varie fasi della sua vita.  Dietro un’iniziale apparenza di  normalità  traspare per effetto di mutazioni successive anaffettività estrema, percezione delirante, manierismo, esaltazione fissata e bizzarria: la  pulsione di annullamento  rivolta contro la realtà umana crea  una serie di fratture nell’esistenza dello psichiatra-poeta e la  frammenta in sequenze identitarie fra loro dissociate. L’apparente empatia e affettività, la seduttivita’  magnetica e carismatica  nasconde  il morso  e il veleno del cobra. La mostruosità dei nazisti siano essi tedeschi o serbi, risiede nel loro mimetismo camaleontico che ne maschera la disumanità: nessun senso di colpa o pentimento. Un ultimo tema che posso solo accennare. Lo psichiatra montenegrino fu il leader di un movimento sociale.  Populista convinto egli si sentì in obbligo guidare il popolo serbo verso il suo destino utopico, la grande Serbia. Egli vide nella volontà del popolo più  presunta che reale, la giustificazione della sua leadership. Il genocidio e le atrocità di massa furono perpetrate nel totale rispetto  delle procedure della democrazia rappresentativa. Karadzic e i leaders serbi bosniaci erano ferventi costituzionalisti: essi sottomisero tutte le più importanti decisioni all’assemblea dei rappresentanti nella più scrupolosa osservanza  delle norme. La  democrazia serba facilitò e accelerò l’omicidio di  massa mentre quei paesi che si ritenevano campioni di democrazia non fecero nulla per prevenire o bloccare le atrocità. L’assemblea serbo bosniaca è stato  un esempio perfetto di gruppo che sostiene e rinforza le motivazioni e le decisioni     criminali dei suoi leaders essendo tutti collettivamente in  preda all’onnipotenza e alla paranoia. Come è potuto accadere tutto ciò? Quali processi psichici hanno caratterizzato questa psicosi collettiva?  Nazionalismo e populismo quando diventano  credenze estreme, idee dominanti    alimentate  dall’odio  costituiscono  derive  pericolose per gli apparati democratici dietro le quali appare e talora si concretizza, in circostanze favorevoli lo spettro del nazismo, il delirio e  la volontà di annientamento.  Soprattutto quando i leader politici  propugnano idee xenofobe, più o meno apertamente razziste ed antiumane. Il pensiero va all’Italia, agli episodi di antisemitismo e intolleranza razziale, alle atrocità e alle complicità con i lager libici,  all’Olocausto  dei migranti nel mediterraneo che suonano come un monito per il  pericolo di una balcanizzazione mai completamente esorcizzato.

Il termine “genocidio”

Definizione giuridica: la Convenzione ONU del 1948 sul genocidio lo definisce come atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Non basta la distruzione materiale: è centrale l’intento di annientare il gruppo come tale

La Palestina: una mente criminale dietro il genocidio

Un articolo (“Psicologia di Netanyahu. La teoria del pazzo e la sua prassi”, Claudio Resta) interpreta il leader israeliano come qualcuno che può usare la retorica o l’azione in modo estremo o imprevedibile per spaventare gli avversari, proiettando forza anche in contesti dove si rischia escalation, come strumento strategico.  L’idea è che presentarsi come potenzialmente “incontrollabile” produca deterrenza. È una lettura psicopolitica che si collega a teorie della politica estera tipiche della Guerra Fredda: “madman theory”.

È la teoria secondo cui un leader può volontariamente costruirsi l’immagine di irrazionale, imprevedibile, pronto a tutto, anche a usare la forza estrema (incluso il nucleare), per spaventare e dissuadere l’avversario. L’idea è: se gli altri ti credono “pazzo”, tenderanno a evitare lo scontro diretto, per paura di reazioni incontrollabili.

In Shakespeare (ma anche nella cultura rinascimentale) c’è un motivo ricorrente: la maschera della follia. Personaggi che fingono la pazzia finiscono per oscillare tra finzione e realtà psichica. Questo crea un’ambiguità: se il folle è troppo convincente, chi può dire dove finisca la recita e dove cominci la vera perdita della salute mentale?

Shakespeare gioca spesso con l’idea che la follia recitata può trasformarsi in vera follia, perché il confine è fragile: Amleto: “antic disposition” (follia strategica), ma il dubbio è che la follia lo divori davvero.

La famosa espressione che usa Amleto nell’atto I, scena 5, è:

“As I perchance hereafter shall think meet / To put an antic disposition on…”

[Poiché forse in seguito giudicherò opportuno assumere un atteggiamento folle (fingere pazzia).»]

Scrive l’autore

“La profondità della convinzione di Netanyahu nella prospettiva darwiniana può spiegare la sua convinzione che la maggioranza degli arabi, compresi quelli dei territori occupati nel 1948, rappresenti una minaccia esistenziale per Israele. Questa idea (la minaccia esistenziale) si è persino estesa a includere i pilastri dell’intero mondo. È una delle idee più frequentemente ripetute, in base all’analisi dei suoi discorsi, delle sue dichiarazioni e dei suoi scritti.

Le idee centrali nel suo sistema di conoscenze sono le seguenti:

a. Considerare la sicurezza di Israele minacciata da tutte le parti.

b. Il “terrorismo” palestinese.

c. L’antisemitismo.

d. La minaccia iraniana e Hezbollah.

e. L’ostilità delle Nazioni Unite verso Israele.

f. Il ricordo dell’Olocausto nazista.

g. L’incapacità dell’Europa di comprendere la “minaccia” a Israele.

Studi psicologici speciali ritengono che tutte queste idee, le più frequenti nei discorsi di Benjamin, siano il risultato di ciò che suo padre instillò nella sua mente, ossia che “tutto il mondo ci odia”. Di conseguenza, qualsiasi critica a Israele fa parte di questa convinzione che “il mondo ci odia”.”

Un altro passaggio interessante:

“Seguire la vita coniugale di Benjamin Netanyahu rivela una personalità che non prova alcuna vergogna nell’inganno (come diventerà chiaro più avanti). I suoi rapporti con le mogli furono dominati dall’infedeltà, dalla menzogna e dal frodare la moglie e la società quando veniva smascherato. Ciò è stato confermato nei casi di corruzione per i quali è sotto processo, tra cui “corruzione, falsificazione e abuso di fiducia”.

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Dream maker

Secondo alcune fonti antiche, Platone e la filosofia greca credono che gli dèi possano inviare sogni come segni o oracoli. In questo film la creatrice dei ricordi non impianta, cioè non invia dall’esterno semplici dati, ma sogni interiori che diventano la matrice dell’identità replicante. In sostanza, la creatrice di sogni è una figura quasi “platonica”: un’artigiana che plasma l’anima con immagini. Non c’è nel film l’idea del sogno e della nascita come trasformazione interna senza anima o intervento dal di fuori cioè divino: non abbiamo ricordi ma solo memorie non definite dei primi momenti di vita. Ana la dream maker di Blade runner 2049 vive in una bolla narcisistica che annulla il mondo: è veramente nata?
O è anch’essa un replicante, « un lavoro in pelle » più evoluto, creato cioè assemblato in modo diverso dai vecchi modelli? Il narcisismo primario freudiano è un’idea falsa, è l’annullamento della nascita.

Il narcisismo è un «dream maker patologico”
• Nel narcisismo, l’Io non tollera il vuoto, la ferita, la dipendenza.
• Per difendersi, costruisce ricordi falsi o distorti: auto-narrazioni eroiche, passati idealizzati, storie in cui il soggetto è sempre vincente o vittima perfetta.

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Israele e il <<Capitalismo dei disastri >>

Shock Economy: l’ascesa del capitalismo dei disastri (titolo originale The Shock Doctrine: The Rise of Disaster Capitalism) è un saggio della giornalista canadese Naomi Klein, pubblicato nel 2007. Secondo Klein il neoliberismo non è stato un percorso naturale di progresso economico, ma un progetto politico imposto approfittando di momenti di crisi. Lo “shock” diventa un metodo di governo: ogni disastro è anche un’opportunità di business per pochi.

Per la giornalista canadese Israele incarna la trasformazione del “capitalismo dei disastri” in un sistema strutturale: l’insicurezza e la violenza diventano motore economico, e le tecnologie sviluppate per gestirle diventano beni d’esportazione globale.

La rivolta palestinese, la seconda intifada e la risposta militare israeliana generarono un clima di emergenza continua, con attentati suicidi, repressione, coprifuoco, incursioni militari. Durante questi anni Israele ricostruì la propria economia attorno all’industria della sicurezza e della difesa. Klein sostiene che la seconda intifada accelerò la nascita di un “complesso del capitalismo dei disastri” israeliano, in cui imprese private e Stato profittavano dall’insicurezza permanente. Tecnologie testate in Palestina – droni, sistemi di sorveglianza, muri di separazione, scanner biometrici – divennero prodotti di esportazione, venduti come soluzioni anti-terrorismo ad altri paesi (dagli Stati Uniti post-11 settembre, all’India, fino all’America Latina). Klein usa proprio Israele come esempio di come una società possa trasformare una crisi non in una parentesi, ma in una condizione economica strutturale, fondata sulla gestione e la commercializzazione della paura.

7 ottobre

Si determina una “zona di shock permanente”: la guerra e l’insicurezza non sono vissute solo come minaccia ma anche come opportunità economica per aziende israeliane che vendono tecnologie di sicurezza in tutto il mondo. Israele diventa così un caso paradigmatico di capitalismo dei disastri cronicizzato: il trauma non è un evento isolato (guerra, tsunami, uragano), ma una condizione costante che alimenta un’economia di nicchia redditizia.

Israele, pur essendo formalmente una democrazia parlamentare, durante e dopo la seconda Intifada ha assunto caratteri tipici di un “stato d’emergenza permanente”: restrizioni della libertà di movimento dei palestinesi, coprifuoco, blocchi; uso sistematico di check-point, muri, controlli biometrici; sospensione di fatto di diritti civili per una parte consistente della popolazione sotto occupazione. Klein sottolinea che questo clima di eccezione continua ha trasformato Israele in un laboratorio del capitalismo della sicurezza, dove aziende private e apparato statale traggono profitto dal mantenimento del conflitto e dall’esportazione di tecnologie di sorveglianza. Per l’autrice la democrazia israeliana si è ristretta: la logica neoliberale della sicurezza ha preso il sopravvento, riducendo lo spazio del dibattito politico e rafforzando l’idea che la paura e il controllo militare siano strumenti normali di governo. ( vedi “The Palestine Laboratory: How Israel Exports the Technology of Occupation Around the World “ Antony Lowenstein)

Seguendo la logica di Klein, uno shock, un disastro,come quello del 7 ottobre ( strage voluta da Hamas) può essere sfruttato politicamente per:

espandere poteri di emergenza → più controllo interno, censura, limitazioni ai diritti civili. Giustificare azioni militari radicali che in tempi normali avrebbero incontrato maggiore opposizione (es. distruzione massiccia di Gaza, progetto di una deportazione di massa).

Consolidare un’economia della sicurezza: aumento delle commesse militari, esportazione di tecnologie di sorveglianza, crescita di aziende legate alla difesa. Riorganizzare lo spazio politico → rafforzare governi o coalizioni al potere, riducendo lo spazio del dissenso interno.

Il mito del Grande Israele può interagire con questo schema, perché:

la volontà di espansione territoriale e il conflitto permanente che ne deriva creano una condizione di instabilità continua (guerre, occupazione, emergenze), che possono essere viste come “shock” strutturali. In questa condizione, gli apparati di sicurezza, sorveglianza, restrizione della libertà per certe popolazioni (es: i palestinesi) diventano la norma. Non sono “eccezioni” occasionali, ma strumenti integrati nella gestione del potere politico. L’espansione ideologica e materiale (insediamenti, controllo territoriale, barriere, check-point) può dare spazio a politiche che rafforzano il potere centralizzato, riducono la trasparenza e il dissenso, e facilitano il contrasto a ostacoli democratici interni o esterni. Comunque rimane il fatto che pur aprendosi in prospettiva altri scenari di guerra

“La Palestina è l’officina [ privilegiata] di Israele, dove una nazione occupata sulla soglia di casa fornisce milioni di individui sottomessi come un laboratorio per i metodi di dominio più precisi e di maggiore successo.” ( Antony Lowenstein)

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Onlife

Comunicare che cosa? Contenuti religiosi? Non c’è libertà o comunicazione se non si supera l’alienazione religiosa. L’alienazione religiosa è a monte e non a valle di ogni altra alienazione. E non c’è vera comunicazione se c’è la religione, in qualunque forma si presenti. Comprendere gli aspetti formali, i processi comunicativi e’ importante ma altrettanto lo è considerare i contenuti che vengono comunicati. Scrive Chiara Giaccardi

“Da una parte, noi scommettiamo che il cristianesimo e il cattolicesimo in particolare abbiano qualcosa da dire a questo nostro tempo. Non è una chiamata alle armi contro la secolarizzazione, ma è un’apertura di senso” ( La scommessa cattolica 2019) .

Si, ma quale senso? Quello del “sacro”?

“Il sacro è qualcosa di del tutto diverso (das ganz Andere), che non può essere ridotto a categorie razionali o morali, ma è un’esperienza originaria dell’uomo”. (R. Otto, Das Heilige, 1917)

«Il sacro è una categoria a priori della coscienza, che precede ogni costruzione culturale o morale e che si manifesta nelle religioni di tutti i tempi.» ( ibidem)

L’esperienza del sacro può essere letta come alienazione: l’uomo attribuisce a un’entità esterna (Dio, il divino) ciò che in realtà è frutto della propria psiche o della propria condizione sociale. In questa chiave, ciò che Otto chiama numinoso sarebbe il risultato dell’irrazionale umano proiettato e sacralizzato. Le analisi sociologiche anche brillanti rischiano di essere scarsamente significative se presuppongono un’antropologia cattolica che fa del sentimento religioso un apriori originario insuperabile. Forse aveva ragione Feuerbach quando diceva che l’essenza della teologia è l’antropologia. ( L. Feuerbach.Das Wesen des Christentums (L’essenza del cristianesimo), pubblicato per la prima volta a Lipsia nel 1841)

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