Il film di Miloš Forman “Qualcuno volò sul nido del cuculo” esce nel 1975, proprio negli anni in cui in Italia esplode il movimento per la chiusura dei manicomi . Alcuni critici italiani (es. Giovanni Jervis) sottolinearono la dimensione individualista e tragica del film: McMurphy il protagonista si sacrifica, ma non c’è vera trasformazione collettiva. Il film e il romanzo di Kesey hanno dato al pubblico internazionale un’immagine fortissima della psichiatria come istituzione repressiva.
Nel 1973 lo psicologo statunitense David L. Rosenhan pubblicò sulla rivista Science uno studio divenuto celebre con il titolo On Being Sane in Insane Places (tradotto in italiano: “Sull’esser sani in luoghi folli”). Questo esperimento pionieristico metteva alla prova la validità delle diagnosi psichiatriche inviando persone sane sotto copertura in ospedali psichiatrici. Lo studio è considerato una critica importante e influente alla psichiatria dell’epoca, in quanto metteva in discussione la capacità dei medici di distinguere il sano dal malato mentale
Rosenhan trasse conclusioni severe sul sistema psichiatrico. Anzitutto dimostrò empiricamente la fallibilità dei metodi diagnostici: in condizioni normali, gli psichiatri tendevano a “vedere” patologia anche dove non ve n’era (come successo coi pseudopazienti sani), mentre all’opposto, se posti in stato di allerta, potevano scambiare per simulatore un malato autentico. In sintesi, secondo Rosenhan «non possiamo distinguere i sani dai pazzi negli ospedali psichiatrici»
Brenton Tarrant è un suprematista bianco e terrorista australiano autore, il 15 marzo 2019 della strage nelle moschee di Christchurch in Nuova Zelanda ai danni di soggetti di fede mussulmana. Mentre si recava in macchina nei luoghi della sparatoria Tarrant, che si ispirava a Anders Breivik e Luca Traini, ascoltava una canzone dal titolo “Serbia strong o Remove kebah” che dice: << Karadzic guiderà i serbi mostrando che essi non hanno paura di niente(…)>> Chi è Radovan Karadzic?
Un terrorista di stato che ha usato il potere istituzionale e militare per sterminare i mussulmani bosniaci.
Egli è stato un politico e criminale di guerra già presidente dell’autoproclamata Repubblica Serba di Bosnia dal 1992 al 1996.
Latitante dal 1996 al 2008, Karadžić è stato condannato nel marzo 2019 all’ergastolo dal tribunale penale internazionale dell’Aia per genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Karadzic ha intrapreso una guerra che è costata più di centomila morti, 50000 stupri, circa due milioni di sfollati e rifugiati politici, danni materiali incalcolabili in tutta la Bosnia e nell’assedio della città di Sarajevo. 10751 uomini e ragazzi trucidati in pochi giorni nel luglio 1995 solo nell’enclave di Srebrenica città che fu disarmata e lasciata alla mercé degli aggressori nell’indifferenza colpevole delle truppe olandesi dell’ONU che abbandonarono armi, divise e blindati. Un lato oscuro di questa vicenda è la decisione del comando della NATO di negare l’intervento dell’aviazione contro i serbi bosniaci che entravano a Srebrenica violando leqq risoluzioni dell’ONU. Nato nel 1945 in un piccolo villaggio del Montenegro e cresciuto in un clima di ristrettezze Radovan Karadzic si trasferisce dopo le scuole medie a Sarajevo dove in seguito intraprende gli studi di medicina. Si specializza in psichiatria e lavora nella clinica universitaria di Sarajevo senza mai abbandonare la sua vera passione la poesia. Scrive diverse raccolte in un linguaggio cupo e pessimistico. I suoi versi erano rozzi e tradivano un temperamento impulsivo con contenuti improntati ad un misticismo criptico con immagini crude, violente e presagi di sventure. Alla fine degli anni 70 il montenegrino cerca di coniugare l’ interesse per la psichiatria e quello per la poesia anche durante la permanenza di un anno in America con una borsa di studio alla Columbia University. La vita di Karadzcic che era quella di un mediocre poeta e di uno psichiatra svogliato subisce ad un certo punto un improvviso cambiamento. Dopo essersi occupato di psicologia dello sport con risultati discutibili tenta con alcuni amici di truffare lo stato per mettere su un allevamento di polli e costruire una villetta con fatture gonfiate. Finisce in prigione per 11 mesi. Viene scarcerato forse per una collaborazione coi servizi segreti. L’esperienza del carcere è un detonatore che evidenzia un fallimento umano e professionale. Negli anni successivi come riferisce lo psichiatra Ismet Ceric, supervisore di Karadzic per vent’anni, fa uso massiccio di antidepressivi e soffre di una grave forma di insonnia. Secondo Ceric e la psichiatra junghiana che lo ha analizzato Karadzic ha un disturbo narcisistico della personalità. Alla fine degli anni 80 egli decide di entrare in politica dapprima coi verdi e in seguito fondando il partito dei nazionalisti serbi. Da qui in avanti assistiamo ad una profonda trasformazione della personalità che potrebbe essere l’indizio di un grave processo psicotico. L’assunzione di un ruolo pubblico politico ha un effetto cosmetico sulla psicopatologia: la grandiosità, la vanagloria maschera il vuoto e l’assenza di identità umana , professionale e artistica. Karadzic, montenegrino, si trasforma nell’eroe difensore della causa dei serbi che si autorappresentano, nella poesia epica, come storicamente perseguitati. Ivan Rascovic uno psichiatra serbo croato che aveva teorizzato, ispirandosi alle teorie razziali del nazista Ernst Rudin , la superiorità genetica del popolo serbo ( suo il libro “Il paese folle” ) aveva designato Radovan Karadzic alla suprema carica della repubblica e dell’esercito serbo bosniaco. Raskovic era l’ideologo che aveva alimentato coscientemente l’odio razziale e si riteneva il vero fautore della pulizia etnica. Incredibilmente Karadzic aderisce totalmente al ruolo eroico che Raskovic e i nazionalisti serbi avevano disegnato per lui. Apparentemente per il potere, la visibilità internazionale e il denaro delle razzie e del contrabbando ma soprattutto per la megalomania che lo spinge ad azioni assurde e senza senso lo psichiatra-poeta è disposto ad annullare ogni dimensione umana, entrando nella parte di chi è votato, fino al martirio alla causa del nazionalismo. Per Karadzic la Serbia è il paese della Resurrezione, cioè della rivoluzione attraverso l’identificazione coi martiri Cristiani e l’unificazione mistica con l’anima perenne e atemporale del popolo serbo. Karadzic si identifica con personaggi storici, come San Lazar che combatté’ i turchi nel 1369 e indulge ad una sorta di neronismo. E’ emulo di Nerone quando suona la gusla, il violino monocorde, e recita poesie sulle alture di Sarajevo che brucia sotto i colpi dei suoi mortai. È in compagnia del nazibol Eduard Limonov : quest’ultimo spara con una mitragliatrice sulle case della città assediata. E’ una scena del documentario Serbian epics di Pawel Pawlikowsky del 1992. Personaggio popolare ed estroverso Karadzic si situa in una linea di continuità dal punto di vista psicopatologico con i criminali nazisti a Norimberga. Uno saggio sul montenegrino è quello di Jessica Stern un’accademica americana esperta di terrorismo. In un libro uscito il mese di Febbraio 2020 dal titolo «Il mio criminale di guerra : un incontro personale con un architetto del genocidio>> la scrittrice scandaglia la mente del genocida. Il libro è poco più che un esercizio retorico. Infatti Jessica Stern conclude, con un tocco di fatuità, che malgrado le bugie e i tentativi di manipolazione a suo danno Radovan è tutt’altro che un mostro ma si dimostra affabile, colto e a tratti fascinoso; secondo lei avrebbe avuto ragione lo psichiatra Douglas Kelley che a suo tempo studio’ i 22 criminali nazisti, fra cui Goring, Von Ribbentrop e Speer, al processo di Norimberga nel 1945-1946. Kelley concluse le sue indagini sostenendo che non esiste una nazi-mind un tratto distintivo della mente nazista. I nazisti sarebbero stati, secondo lo psichiatra americano non dei mostri disumani ma persone normali. Come uniche caratteristiche in comune essi avrebbero avuto la smisurata ambizione e gli incredibili ritmi di lavoro motivati dal fanatismo nazionalista oltre che carenza di senso morale. Il test di Rorschach utilizzato per la diagnosi avrebbe mostrato che i leaders nazisti non presentavano malattie mentali o psicopatologie di rilievo. Il Nazismo pertanto, privo di segni patognomonici, sarebbe potuto risorgere ovunque in mezzo alle persone cosiddette ordinarie e quindi anche in America. Chiediamoci quanto Douglas Kelley fosse attendibile. Lo psichiatra sviluppo’ un rapporto di amicizia con Hermann Goring, che gli fece anche dei regali, fino al punto di esprimere ammirazione per il suicidio con il cianuro considerato un abile e brillante tocco finale con cui il nazista aveva messo in scacco le guardie americane e si era guadagnato l’ammirazione dei posteri. Nel 1958 in America Douglas Kelley fu protagonista di un incomprensibile e plateale suicidio di fronte al padre e alla famiglia proprio con il cianuro. Come se l’esperienza di Norimberga avesse agito alla stessa stregua di un veleno che lo aveva logorato nel tempo tramite un’identificazione speculare e mortale con Hermann Goring. Kelley e quindi anche Jessica Stern, avevano torto. Karadzic infatti espresse bene e chiaramente ciò che caratterizza “the nazi mind”. In un intervento al parlamento dei bosniaci nell’ottobre 1991 ammonì questi ultimi che se si fossero separati dalla Serbia i mussulmani avrebbero rischiato l’estinzione cioè l’annientamento come di fatto avvenne. Ciò che è tipico della mentalità nazista è la volontà di far sparire fisicamente come nei lager del Terzo Reich, persone che vengono vissute come estranee e diverse. La volontà di annientamento dei serbi si spingeva fino al punto che anche da morti venne negata, tramite la pratica dello smembramento organizzato e sistematico attuata a Srebrenica un’identità ai mussulmani. Preliminare dell’annientamento e dello smembramento e’ l’annullamento, la percezione delirante che non riconosce l’esistenza dell’altro. Il generale Mladić, agli ordini di Karadzic, a Srebrenica disse al comandante olandese :<< Tu non sei niente. Io sono Dio>> Ciò’ avveniva un anno dopo la morte per suicidio di sua figlia Ana. La pulsione di annullamento, la disumanizzazione è il nucleo generatore della malattia mentale, come suggerisce la teoria della nascita di Massimo Fagioli. Durante la latitanza durata 13 anni grazie all’appoggio dei servizi segreti, Karadzic assunse ancora un’altra identità oltre a quella di psichiatra e politico: si trasformò in un guru della medicina alternativa che pretendeva di curare con la spiritualità e la bioenergia. La maschera del santo è il macabro e paradossale travestimento di un omicida di massa. Egli aveva assunto le vesti di un guaritore il cui look, barba e capelli lunghissimi in uno stile new Age, era assurdo e bizzarro. Anche questa volta lo psichiatra-poeta aveva aderito, in modo manieristico, a un cliché, a uno stereotipo alterando i tratti delle precedenti personalità ad eccezione della poesia. Quest’ultima garantiva il continuum psicopatologico fra le varie fasi della sua vita. Dietro un’iniziale apparenza di normalità traspare per effetto di mutazioni successive anaffettività estrema, percezione delirante, manierismo, esaltazione fissata e bizzarria: la pulsione di annullamento rivolta contro la realtà umana crea una serie di fratture nell’esistenza dello psichiatra-poeta e la frammenta in sequenze identitarie fra loro dissociate. L’apparente empatia e affettività, la seduttivita’ magnetica e carismatica nasconde il morso e il veleno del cobra. La mostruosità dei nazisti siano essi tedeschi o serbi, risiede nel loro mimetismo camaleontico che ne maschera la disumanità: nessun senso di colpa o pentimento. Un ultimo tema che posso solo accennare. Lo psichiatra montenegrino fu il leader di un movimento sociale. Populista convinto egli si sentì in obbligo guidare il popolo serbo verso il suo destino utopico, la grande Serbia. Egli vide nella volontà del popolo più presunta che reale, la giustificazione della sua leadership. Il genocidio e le atrocità di massa furono perpetrate nel totale rispetto delle procedure della democrazia rappresentativa. Karadzic e i leaders serbi bosniaci erano ferventi costituzionalisti: essi sottomisero tutte le più importanti decisioni all’assemblea dei rappresentanti nella più scrupolosa osservanza delle norme. La democrazia serba facilitò e accelerò l’omicidio di massa mentre quei paesi che si ritenevano campioni di democrazia non fecero nulla per prevenire o bloccare le atrocità. L’assemblea serbo bosniaca è stato un esempio perfetto di gruppo che sostiene e rinforza le motivazioni e le decisioni criminali dei suoi leaders essendo tutti collettivamente in preda all’onnipotenza e alla paranoia. Come è potuto accadere tutto ciò? Quali processi psichici hanno caratterizzato questa psicosi collettiva? Nazionalismo e populismo quando diventano credenze estreme, idee dominanti alimentate dall’odio costituiscono derive pericolose per gli apparati democratici dietro le quali appare e talora si concretizza, in circostanze favorevoli lo spettro del nazismo, il delirio e la volontà di annientamento. Soprattutto quando i leader politici propugnano idee xenofobe, più o meno apertamente razziste ed antiumane. Il pensiero va all’Italia, agli episodi di antisemitismo e intolleranza razziale, alle atrocità e alle complicità con i lager libici, all’Olocausto dei migranti nel mediterraneo che suonano come un monito per il pericolo di una balcanizzazione mai completamente esorcizzato.
Il termine “genocidio”
Definizione giuridica: la Convenzione ONU del 1948 sul genocidio lo definisce come atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Non basta la distruzione materiale: è centrale l’intento di annientare il gruppo come tale
La Palestina: una mente criminale dietro il genocidio
Un articolo (“Psicologia di Netanyahu. La teoria del pazzo e la sua prassi”, Claudio Resta) interpreta il leader israeliano come qualcuno che può usare la retorica o l’azione in modo estremo o imprevedibile per spaventare gli avversari, proiettando forza anche in contesti dove si rischia escalation, come strumento strategico. L’idea è che presentarsi come potenzialmente “incontrollabile” produca deterrenza. È una lettura psicopolitica che si collega a teorie della politica estera tipiche della Guerra Fredda: “madman theory”.
È la teoria secondo cui un leader può volontariamente costruirsi l’immagine di irrazionale, imprevedibile, pronto a tutto, anche a usare la forza estrema (incluso il nucleare), per spaventare e dissuadere l’avversario. L’idea è: se gli altri ti credono “pazzo”, tenderanno a evitare lo scontro diretto, per paura di reazioni incontrollabili.
In Shakespeare (ma anche nella cultura rinascimentale) c’è un motivo ricorrente: la maschera della follia. Personaggi che fingono la pazzia finiscono per oscillare tra finzione e realtà psichica. Questo crea un’ambiguità: se il folle è troppo convincente, chi può dire dove finisca la recita e dove cominci la vera perdita della salute mentale?
Shakespeare gioca spesso con l’idea che la follia recitata può trasformarsi in vera follia, perché il confine è fragile: Amleto: “antic disposition” (follia strategica), ma il dubbio è che la follia lo divori davvero.
La famosa espressione che usa Amleto nell’atto I, scena 5, è:
“As I perchance hereafter shall think meet / To put an antic disposition on…”
[Poiché forse in seguito giudicherò opportuno assumere un atteggiamento folle (fingere pazzia).»]
Scrive l’autore
“La profondità della convinzione di Netanyahu nella prospettiva darwiniana può spiegare la sua convinzione che la maggioranza degli arabi, compresi quelli dei territori occupati nel 1948, rappresenti una minaccia esistenziale per Israele. Questa idea (la minaccia esistenziale) si è persino estesa a includere i pilastri dell’intero mondo. È una delle idee più frequentemente ripetute, in base all’analisi dei suoi discorsi, delle sue dichiarazioni e dei suoi scritti.
Le idee centrali nel suo sistema di conoscenze sono le seguenti:
a. Considerare la sicurezza di Israele minacciata da tutte le parti.
b. Il “terrorismo” palestinese.
c. L’antisemitismo.
d. La minaccia iraniana e Hezbollah.
e. L’ostilità delle Nazioni Unite verso Israele.
f. Il ricordo dell’Olocausto nazista.
g. L’incapacità dell’Europa di comprendere la “minaccia” a Israele.
Studi psicologici speciali ritengono che tutte queste idee, le più frequenti nei discorsi di Benjamin, siano il risultato di ciò che suo padre instillò nella sua mente, ossia che “tutto il mondo ci odia”. Di conseguenza, qualsiasi critica a Israele fa parte di questa convinzione che “il mondo ci odia”.”
Un altro passaggio interessante:
“Seguire la vita coniugale di Benjamin Netanyahu rivela una personalità che non prova alcuna vergogna nell’inganno (come diventerà chiaro più avanti). I suoi rapporti con le mogli furono dominati dall’infedeltà, dalla menzogna e dal frodare la moglie e la società quando veniva smascherato. Ciò è stato confermato nei casi di corruzione per i quali è sotto processo, tra cui “corruzione, falsificazione e abuso di fiducia”.
Secondo alcune fonti antiche, Platone e la filosofia greca credono che gli dèi possano inviare sogni come segni o oracoli. In questo film la creatrice dei ricordi non impianta, cioè non invia dall’esterno semplici dati, ma sogni interiori che diventano la matrice dell’identità replicante. In sostanza, la creatrice di sogni è una figura quasi “platonica”: un’artigiana che plasma l’anima con immagini. Non c’è nel film l’idea del sogno e della nascita come trasformazione interna senza anima o intervento dal di fuori cioè divino: non abbiamo ricordi ma solo memorie non definite dei primi momenti di vita. Ana la dream maker di Blade runner 2049 vive in una bolla narcisistica che annulla il mondo: è veramente nata? O è anch’essa un replicante, « un lavoro in pelle » più evoluto, creato cioè assemblato in modo diverso dai vecchi modelli? Il narcisismo primario freudiano è un’idea falsa, è l’annullamento della nascita.
Il narcisismo è un «dream maker patologico” • Nel narcisismo, l’Io non tollera il vuoto, la ferita, la dipendenza. • Per difendersi, costruisce ricordi falsi o distorti: auto-narrazioni eroiche, passati idealizzati, storie in cui il soggetto è sempre vincente o vittima perfetta.
Shock Economy: l’ascesa del capitalismo dei disastri (titolo originale The Shock Doctrine: The Rise of Disaster Capitalism) è un saggio della giornalista canadese Naomi Klein, pubblicato nel 2007. Secondo Klein il neoliberismo non è stato un percorso naturale di progresso economico, ma un progetto politico imposto approfittando di momenti di crisi. Lo “shock” diventa un metodo di governo: ogni disastro è anche un’opportunità di business per pochi.
Per la giornalista canadese Israele incarna la trasformazione del “capitalismo dei disastri” in un sistema strutturale: l’insicurezza e la violenza diventano motore economico, e le tecnologie sviluppate per gestirle diventano beni d’esportazione globale.
La rivolta palestinese, la seconda intifada e la risposta militare israeliana generarono un clima di emergenza continua, con attentati suicidi, repressione, coprifuoco, incursioni militari. Durante questi anni Israele ricostruì la propria economia attorno all’industria della sicurezza e della difesa. Klein sostiene che la seconda intifada accelerò la nascita di un “complesso del capitalismo dei disastri” israeliano, in cui imprese private e Stato profittavano dall’insicurezza permanente. Tecnologie testate in Palestina – droni, sistemi di sorveglianza, muri di separazione, scanner biometrici – divennero prodotti di esportazione, venduti come soluzioni anti-terrorismo ad altri paesi (dagli Stati Uniti post-11 settembre, all’India, fino all’America Latina). Klein usa proprio Israele come esempio di come una società possa trasformare una crisi non in una parentesi, ma in una condizione economica strutturale, fondata sulla gestione e la commercializzazione della paura.
7 ottobre
Si determina una “zona di shock permanente”: la guerra e l’insicurezza non sono vissute solo come minaccia ma anche come opportunità economica per aziende israeliane che vendono tecnologie di sicurezza in tutto il mondo. Israele diventa così un caso paradigmatico di capitalismo dei disastri cronicizzato: il trauma non è un evento isolato (guerra, tsunami, uragano), ma una condizione costante che alimenta un’economia di nicchia redditizia.
Israele, pur essendo formalmente una democrazia parlamentare, durante e dopo la seconda Intifada ha assunto caratteri tipici di un “stato d’emergenza permanente”: restrizioni della libertà di movimento dei palestinesi, coprifuoco, blocchi; uso sistematico di check-point, muri, controlli biometrici; sospensione di fatto di diritti civili per una parte consistente della popolazione sotto occupazione. Klein sottolinea che questo clima di eccezione continua ha trasformato Israele in un laboratorio del capitalismo della sicurezza, dove aziende private e apparato statale traggono profitto dal mantenimento del conflitto e dall’esportazione di tecnologie di sorveglianza. Per l’autrice la democrazia israeliana si è ristretta: la logica neoliberale della sicurezza ha preso il sopravvento, riducendo lo spazio del dibattito politico e rafforzando l’idea che la paura e il controllo militare siano strumenti normali di governo. ( vedi “The Palestine Laboratory: How Israel Exports the Technology of Occupation Around the World “ Antony Lowenstein)
Seguendo la logica di Klein, uno shock, un disastro,come quello del 7 ottobre ( strage voluta da Hamas) può essere sfruttato politicamente per:
espandere poteri di emergenza → più controllo interno, censura, limitazioni ai diritti civili. Giustificare azioni militari radicali che in tempi normali avrebbero incontrato maggiore opposizione (es. distruzione massiccia di Gaza, progetto di una deportazione di massa).
Consolidare un’economia della sicurezza: aumento delle commesse militari, esportazione di tecnologie di sorveglianza, crescita di aziende legate alla difesa. Riorganizzare lo spazio politico → rafforzare governi o coalizioni al potere, riducendo lo spazio del dissenso interno.
Il mito del Grande Israele può interagire con questo schema, perché:
la volontà di espansione territoriale e il conflitto permanente che ne deriva creano una condizione di instabilità continua (guerre, occupazione, emergenze), che possono essere viste come “shock” strutturali. In questa condizione, gli apparati di sicurezza, sorveglianza, restrizione della libertà per certe popolazioni (es: i palestinesi) diventano la norma. Non sono “eccezioni” occasionali, ma strumenti integrati nella gestione del potere politico. L’espansione ideologica e materiale (insediamenti, controllo territoriale, barriere, check-point) può dare spazio a politiche che rafforzano il potere centralizzato, riducono la trasparenza e il dissenso, e facilitano il contrasto a ostacoli democratici interni o esterni. Comunque rimane il fatto che pur aprendosi in prospettiva altri scenari di guerra
“La Palestina è l’officina [ privilegiata] di Israele, dove una nazione occupata sulla soglia di casa fornisce milioni di individui sottomessi come un laboratorio per i metodi di dominio più precisi e di maggiore successo.” ( Antony Lowenstein)
Comunicare che cosa? Contenuti religiosi? Non c’è libertà o comunicazione se non si supera l’alienazione religiosa. L’alienazione religiosa è a monte e non a valle di ogni altra alienazione. E non c’è vera comunicazione se c’è la religione, in qualunque forma si presenti. Comprendere gli aspetti formali, i processi comunicativi e’ importante ma altrettanto lo è considerare i contenuti che vengono comunicati. Scrive Chiara Giaccardi
“Da una parte, noi scommettiamo che il cristianesimo e il cattolicesimo in particolare abbiano qualcosa da dire a questo nostro tempo. Non è una chiamata alle armi contro la secolarizzazione, ma è un’apertura di senso” ( La scommessa cattolica 2019) .
Si, ma quale senso? Quello del “sacro”?
“Il sacro è qualcosa di del tutto diverso (das ganz Andere), che non può essere ridotto a categorie razionali o morali, ma è un’esperienza originaria dell’uomo”. (R. Otto, Das Heilige, 1917)
«Il sacro è una categoria a priori della coscienza, che precede ogni costruzione culturale o morale e che si manifesta nelle religioni di tutti i tempi.» ( ibidem)
L’esperienza del sacro può essere letta come alienazione: l’uomo attribuisce a un’entità esterna (Dio, il divino) ciò che in realtà è frutto della propria psiche o della propria condizione sociale. In questa chiave, ciò che Otto chiama numinoso sarebbe il risultato dell’irrazionale umano proiettato e sacralizzato. Le analisi sociologiche anche brillanti rischiano di essere scarsamente significative se presuppongono un’antropologia cattolica che fa del sentimento religioso un apriori originario insuperabile. Forse aveva ragione Feuerbach quando diceva che l’essenza della teologia è l’antropologia. ( L. Feuerbach.Das Wesen des Christentums (L’essenza del cristianesimo), pubblicato per la prima volta a Lipsia nel 1841)
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