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Comunicare che cosa? Contenuti religiosi? Non c’è libertà o comunicazione se non si supera l’alienazione religiosa. L’alienazione religiosa è a monte e non a valle di ogni altra alienazione. E non c’è vera comunicazione se c’è la religione, in qualunque forma si presenti. Comprendere gli aspetti formali, i processi comunicativi e’ importante ma altrettanto lo è considerare i contenuti che vengono comunicati. Scrive Chiara Giaccardi

“Da una parte, noi scommettiamo che il cristianesimo e il cattolicesimo in particolare abbiano qualcosa da dire a questo nostro tempo. Non è una chiamata alle armi contro la secolarizzazione, ma è un’apertura di senso” ( La scommessa cattolica 2019) .

Si, ma quale senso? Quello del “sacro”?

“Il sacro è qualcosa di del tutto diverso (das ganz Andere), che non può essere ridotto a categorie razionali o morali, ma è un’esperienza originaria dell’uomo”. (R. Otto, Das Heilige, 1917)

«Il sacro è una categoria a priori della coscienza, che precede ogni costruzione culturale o morale e che si manifesta nelle religioni di tutti i tempi.» ( ibidem)

L’esperienza del sacro può essere letta come alienazione: l’uomo attribuisce a un’entità esterna (Dio, il divino) ciò che in realtà è frutto della propria psiche o della propria condizione sociale. In questa chiave, ciò che Otto chiama numinoso sarebbe il risultato dell’irrazionale umano proiettato e sacralizzato. Le analisi sociologiche anche brillanti rischiano di essere scarsamente significative se presuppongono un’antropologia cattolica che fa del sentimento religioso un apriori originario insuperabile. Forse aveva ragione Feuerbach quando diceva che l’essenza della teologia è l’antropologia. ( L. Feuerbach.Das Wesen des Christentums (L’essenza del cristianesimo), pubblicato per la prima volta a Lipsia nel 1841)

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