Psichiatria

Israele e il <<Capitalismo dei disastri >>

Shock Economy: l’ascesa del capitalismo dei disastri (titolo originale The Shock Doctrine: The Rise of Disaster Capitalism) è un saggio della giornalista canadese Naomi Klein, pubblicato nel 2007. Secondo Klein il neoliberismo non è stato un percorso naturale di progresso economico, ma un progetto politico imposto approfittando di momenti di crisi. Lo “shock” diventa un metodo di governo: ogni disastro è anche un’opportunità di business per pochi.

Per la giornalista canadese Israele incarna la trasformazione del “capitalismo dei disastri” in un sistema strutturale: l’insicurezza e la violenza diventano motore economico, e le tecnologie sviluppate per gestirle diventano beni d’esportazione globale.

La rivolta palestinese, la seconda intifada e la risposta militare israeliana generarono un clima di emergenza continua, con attentati suicidi, repressione, coprifuoco, incursioni militari. Durante questi anni Israele ricostruì la propria economia attorno all’industria della sicurezza e della difesa. Klein sostiene che la seconda intifada accelerò la nascita di un “complesso del capitalismo dei disastri” israeliano, in cui imprese private e Stato profittavano dall’insicurezza permanente. Tecnologie testate in Palestina – droni, sistemi di sorveglianza, muri di separazione, scanner biometrici – divennero prodotti di esportazione, venduti come soluzioni anti-terrorismo ad altri paesi (dagli Stati Uniti post-11 settembre, all’India, fino all’America Latina). Klein usa proprio Israele come esempio di come una società possa trasformare una crisi non in una parentesi, ma in una condizione economica strutturale, fondata sulla gestione e la commercializzazione della paura.

7 ottobre

Si determina una “zona di shock permanente”: la guerra e l’insicurezza non sono vissute solo come minaccia ma anche come opportunità economica per aziende israeliane che vendono tecnologie di sicurezza in tutto il mondo. Israele diventa così un caso paradigmatico di capitalismo dei disastri cronicizzato: il trauma non è un evento isolato (guerra, tsunami, uragano), ma una condizione costante che alimenta un’economia di nicchia redditizia.

Israele, pur essendo formalmente una democrazia parlamentare, durante e dopo la seconda Intifada ha assunto caratteri tipici di un “stato d’emergenza permanente”: restrizioni della libertà di movimento dei palestinesi, coprifuoco, blocchi; uso sistematico di check-point, muri, controlli biometrici; sospensione di fatto di diritti civili per una parte consistente della popolazione sotto occupazione. Klein sottolinea che questo clima di eccezione continua ha trasformato Israele in un laboratorio del capitalismo della sicurezza, dove aziende private e apparato statale traggono profitto dal mantenimento del conflitto e dall’esportazione di tecnologie di sorveglianza. Per l’autrice la democrazia israeliana si è ristretta: la logica neoliberale della sicurezza ha preso il sopravvento, riducendo lo spazio del dibattito politico e rafforzando l’idea che la paura e il controllo militare siano strumenti normali di governo. ( vedi “The Palestine Laboratory: How Israel Exports the Technology of Occupation Around the World “ Antony Lowenstein)

Seguendo la logica di Klein, uno shock, un disastro,come quello del 7 ottobre ( strage voluta da Hamas) può essere sfruttato politicamente per:

espandere poteri di emergenza → più controllo interno, censura, limitazioni ai diritti civili. Giustificare azioni militari radicali che in tempi normali avrebbero incontrato maggiore opposizione (es. distruzione massiccia di Gaza, progetto di una deportazione di massa).

Consolidare un’economia della sicurezza: aumento delle commesse militari, esportazione di tecnologie di sorveglianza, crescita di aziende legate alla difesa. Riorganizzare lo spazio politico → rafforzare governi o coalizioni al potere, riducendo lo spazio del dissenso interno.

Il mito del Grande Israele può interagire con questo schema, perché:

la volontà di espansione territoriale e il conflitto permanente che ne deriva creano una condizione di instabilità continua (guerre, occupazione, emergenze), che possono essere viste come “shock” strutturali. In questa condizione, gli apparati di sicurezza, sorveglianza, restrizione della libertà per certe popolazioni (es: i palestinesi) diventano la norma. Non sono “eccezioni” occasionali, ma strumenti integrati nella gestione del potere politico. L’espansione ideologica e materiale (insediamenti, controllo territoriale, barriere, check-point) può dare spazio a politiche che rafforzano il potere centralizzato, riducono la trasparenza e il dissenso, e facilitano il contrasto a ostacoli democratici interni o esterni. Comunque rimane il fatto che pur aprendosi in prospettiva altri scenari di guerra

“La Palestina è l’officina [ privilegiata] di Israele, dove una nazione occupata sulla soglia di casa fornisce milioni di individui sottomessi come un laboratorio per i metodi di dominio più precisi e di maggiore successo.” ( Antony Lowenstein)

Standard

Lascia un commento