Domenico Fargnoli

Un tifoso protegge e salva un bambino
I fatti avvenuti a Piazza S. Carlo a Torino pongono un problema specifico: il terrorismo e le reazioni che determina sono un fenomeno collettivo. Il termine “psicosi collettiva”, utilizzato in questi giorni nei media e dai giornali non è però assolutamente idoneo a chiarire quanto accaduto.Alla fine dell’Ottocento Gustave Le Bon, autore preferito da Freud, Mussolini e Hitler scrisse che l’individuo nella folla non è più se stesso ma un automa in condizioni simili a quella dell’ipnotizzato. La folla, intrinsecamente psicotica e delinquente, amplificherebbe , diceva l’autore francese, enormemente la suggestionabilità, il contagio delle idee e dei sentimenti. Non possiamo escludere che a Torino qualcuno abbia interpretato in modo delirante un accadimento occasionale (da quello che si evince dalle ultime notizie non si sa neppure di quale natura possa essere stato) ed abbia contagiato tutta la piazza: l’ evento fortuito potrebbe aver rivelato un contenuto latente, lo smarrimento probabilmente presente nella mente di qualcuno fra i tifosi. Oppure più semplicemente ciò che ha innescato la fuga generalizzata è stata un’illusione imprecisata da cui è scaturita una reazione scomposta, senza un chiaro significato patologico. Gli attentatori dell’Isis cercano di agire sul vissuto collettivo e sui punti di vulnerabilità che esso presenta nelle nostre società e nella nostra cultura. Anche a Parigi i terroristi del Bataclan inizialmente presero di mira lo stadio. Ci si chiede allora: le folle degli stadi sono davvero quelle descritte da Le Bon e Scipio Sighele , da Freud caratterizzate in toto dalla perdita dell’identità profonda e della certezza dell’essere dell’individuo? Scriveva Gustave Le Bon
<< Nell’anima collettiva le attitudini intellettuali degli uomini e di conseguenza le loro individualità si annullano>>.
Il calcio è un gioco spettacolare piacevole a vedersi e a praticare. Troppo spesso le partite più che occasioni di relax e divertimento diventano situazioni che scatenano la regressione e la violenza che però interessa un numero limitato di individui facinorosi e non la moltitudine nel suo complesso che ne subisce le conseguenze. Non esiste “un’anima della folla” che predispone alla barbarie e ad azioni inconsulte, la moltitudine non ha caratteristiche “naturalmente “psicotiche.
A Torino la tragedia non è stata un fenomeno di pazzia generalizzata ma è scaturita da norme elementari di sicurezza pubblica non rispettate e da un’ organizzazione dell’evento che non ha tenuto in debita considerazione le caratteristiche di Piazza S. Carlo e non ha valutato l’idoneità del luogo ad accogliere quel particolare pubblico. La reazione di panico non era “senza motivo” completamente assurda come le reazioni degli schizofrenici, in quanto ben tre attacchi terroristici si erano succeduti nei giorni precedenti e tutti gli assembramenti di molte persone sono oggi considerati oggettivamente dei possibili obiettivi di azioni terroristiche imprevedibili e che possono colpire ovunque. E’ di queste ore la notizia che uno degli attentatori al London Bridge aveva la nazionalità italiana ed era venuto spesso a Bologna in visita alla madre. Il pericolo non è solo il fantasma creato da una mente malata ma è veramente fra noi, talora più vicino di quanto siamo propensi a credere.
http://bologna.repubblica.it/cronaca/2017/06/07/news/la_mamma_del_killer_di_londra_ha_fatto_una_cosa_atroce_chiedo_perdono_ai_familiari_delle_vittime_-167469503/
Figlia di Raffaele Collina, partigiano insignito del “certificato al patriota”, Valeria, madre di uno dei terroristi, 68 anni, è stata hippy, poi buddista e infine, dopo aver conosciuto il marito, mussulmana. Un percorso “di consapevolezza”. (?!) Ciò che stupisce è l’apparente normalità, le affermazioni condivisibili della donna. Il passaggio al l’Islam dal buddismo è comunque prendere l’ascensore verso la trascendenza: avrà anche studiato ma qualcosa di strano è accaduto in quell’occasione. Nell’intervista peraltro non compaiono segni di complicità ideologica con il figlio: anzi lei collabora con la Digos per fermarlo.. Se c’è stato un problema esso è intercorso ad un livello non cosciente.
Sembra però che il percorso di vita della donna sia stato segnato dal teatro di Grotowsky cui ella partecipò. in gioventù come “teatrante”. Grotowsky subì l’influenza di Antonin Artaud e quindi più o meno direttamente del surrealismo. Teatro, il più puro e duro del mondo, non solo come rappresentazione scenica ma come ricerca di un’identità umana.
<<Valeria era una vera “teatrante”, come allora si diceva e si faceva. Seria e profonda, rigorosissima nella ricerca, nel traininig fisico e filosofico quotidiano di quel teatro che era, assai più che arte del recitare, disciplina di vita e pensiero: il teatro severo e liturgico di Eugenio Barba e di Jerzy Grotowsky, che Valeria praticava con zelo monacale. Una monaca laica e atea in pantaloni di tela larga e maglie casuali, potente e agile e solenne nei gesti, attenta e calma e gentile nelle parole.>> ( testimonianza di Ugo Tognolini)
La religiosità più o meno latente sotto un apparente ateismo irrompe a un certo punto e il rapporto con un uomo da cui ebbe quel figlio autore della strage a Londra, la porta ad aderire all’Islam. Si separa dal marito che la picchiava e le imponeva in casa altre donne: per questo una volta è rimasta 40 giorni in ospedale. Un episodio che ha sfiorato il femminicidio.
Ecco la freudiana di turno con le solite teorie fritte e rifritte che mirano a terrorizzare: le folle sono mandrie
di Anna Maria Giannini (Psicologa e psicoterapeuta)
Torino, l’origine psicologica della fuga: quando l’essere massa fa regredire l’individuo
A Torino, in piazza San Carlo, un falso allarme sulla presenza di un ordigno e il cedimento di una ringhiera hanno generato la sera una serie di reazioni di fuga con conseguenze gravissime. La Procura, che all’inizio indagava per procurato allarme, ora procede per ricostruire la dinamica dell’accaduto senza indagati ma con le ipotesi di lesioni plurime e omissione. La Psicologia ha studiato le reazioni complesse delle folle e ha messo in evidenza come emozioni negative, ma anche positive, siano amplificate nelle condizioni di presenza di molti individuiall’interno dello stesso spazio. Sono note le reazioni di contagio e l’attenuazione della responsabilità nella massa: quando si è in gruppo ci si abbandona a comportamenti che in solitudine non troverebbero luogo, ed esempi evidenti sono gli episodi di aggressività delle tifoserie oppure le aggressioni dei cosiddetti “branchi”.
La folla dunque, come già scriveva Freud in Psicologia delle masse e analisi dell’io, genera comportamenti peculiari: le emozioni emergono, il Super-io – riferimento alle norme alle regole – si indebolisce, l’individuo si lascia andare in modo regressivo. Quando ci si trova in una moltitudine può comparire la cosiddetta“deindividuazione”: si abdica cioè al senso di responsabilità e di etica per cedere a condotte collettive anche aggressive e violente, condotte che poco appartengono all’individuo quando non si trova mascherato nella folla.
Il fenomeno del panico collettivo è noto per essere un tipo di reazione che riguarda la percezione di rischio, in grado di trasmettere e generare reazioni scomposte e molto pericolose. A Torino, con tutta evidenza, la percezione di un rischio interpretato come possibile attacco terroristico e minaccia alla vita ha messo in moto primordiali tipologie di risposta: dinamiche quasi istintuali e legate alla sopravvivenza che fanno si che si abbandoni ogni ricorso alla logica, alla razionalità, alla possibilità di compiere una lucida analisi di quanto sta accadendo.
La paura, del resto, è una emozione negativa molto forte e ad alto potenziale di contagio: lo sa bene il Personale di bordo di aerei e navi che, in presenza di un problema, ricorre a procedure estremamente codificate per evitare che si sparga il panico, complessificando la situazione. Quando compare la paura – o ancora di più il panico – in uno spazio affollato, le persone tendono a imitare le azioni di chi hanno vicino e dunque, per esempio, a correre nella stessa direzione. In Psicologia sociale sono stati effettuati diversi esperimenti sui comportamenti di imitazione e i risultati evidenziano chiaramente la tendenza a imitare gli altri soprattutto in condizioni di ambiguità o di incertezza. Così, i cosiddetti “effetto mandria” o l”onda” si generano per imitazione e del tutto ad di fuori della possibilità di analisi critica.
La paura può paralizzare, può generare blocchi, attenua o estingue il ricorso al giudizio e provoca azioni immediate, non necessariamente finalizzate in modo costruttivo. Dunque il correre in direzioni improvvisate, calpestando chi si frappone sulla via della fuga, sono possibili conseguenze del panico e dell’assenza di indicazioni utili e chiare che potrebbero evitare le conseguenze di cui sopra. Anche per questi motivi evitare la presenza di oggetti pericolosi nei luoghi affollati è fondamentale: a Torino la presenza di bottiglie di vetro ha creato conseguenze serie.
Attualmente la comparsa del cosiddetto “panico o psicosi collettiva” sono facilitati dai nuovi fenomeni terroristici, caratterizzati da tratti particolari, non ultimo il fatto che si possa essere attaccati ovunque, in qualsiasi modo e con mezzi di ogni tipo. Di fatto, per quanto le persone cerchino di condurre una vita normale e non farsi condizionare, il timore strisciante di essere colpiti resta sullo sfondo e basta poco a trasformare il timore inpaura ed esasperarlo in vero e proprio panico o terrore. Del resto, le notizie che giungono attraverso i media destano un continuo senso di instabilità e il minimo indizio di rischio può dare luogo ad esiti straordinariamente drammatici.
Particolarmente importante, in questo contesto, è proteggere i più piccoli. I bambini che hanno assistito alle scene terribili di Torino ne hanno certamente riportato un senso di instabilità,sperimentando una crisi delle certezze cui avevano fatto riferimento. A fronte di ciò, è essenziale che gli adulti si adoperino con strategie opportune di rassicurazione e di sostegno,proprio a evitare che i piccoli sviluppino fobie della folla e degli spazi affollati, al punto da avere seri problemi a frequentarli.