
La zattera della Medusa (Le Radeau de la Méduse) è un dipinto a olio su tela ( 491×716 cm) di Théodore Géricault, realizzato nel 1818-19
Psicopatologia del naufragio
Domenico Fargnoli
“ E’ dolce, (..) guardare da terra la grande fatica di un altro (…) è dolce vedere da quali mali tu stesso sia immune” poetava Lucrezio nel “De rerum natura”.
Francesco Schettino, la notte del naufragio della Costa Concordia, abbandonò il suo posto di comando e su uno scoglio osservò per mezz’ora la nave con migliaia di naufraghi. L’ufficiale non gioiva, non poteva essere “dolce”, come per il saggio epicureo, guardare la catastrofe . Forse pensava al suicidio. Quali furono le motivazioni profonde dell’inabissamento della “Concordia”? I media sono dal gennaio 2012 inondati da recriminazioni moralistiche per un peccato di fatuità e stupida megalomania. Si ripercorre, nel tentativo di capire, la storia dei naufragi rievocando l’Ulisse dantesco, Robinson Crusoe, i quadri di Turner, la “Zattera della medusa” di Gericault, Moby Dick di Melville, il Titanic, mischiando la cronaca con l’iconografia, la letteratura con l’attualità, l’eroismo con la boriosità guascone di personaggi insignificanti
Nel rituale dell”Inchino” si è voluto vedere “il fascino di una dimensione estetica”. Lo scorso 27 luglio la “Carnival Sunshine “(oltre 102 mila tonnellate di stazza, lunga 272 metri, larga 35 e alta 62) era passata vicinissima, per un errore di manovra, a “Riva dei Sette Martiri” a Venezia. Cosa c’è di bello nelle enormi navi che si inoltrano pericolosamente nei canali della “Serenissima”? La loro presenza deturpa il paesaggio e distrugge quel che rimane dell’habitat marino mentre migliaia di turisti con cappellini e magliette tutte uguali sciamano nelle calli come stormi di uccelli impazziti, i “piccioni” di Cattelan appollaiati di fronte ai capolavori del Tintoretto.
Forse i comandanti delle grandi navi, quando sfiorano pericolosamente i moli, sono in preda alla “Sindrome di Stendhal”, cioè si smarriscono, si confondono e la loro capacità di giudizio e di azione risulta alterata. Se l’inchino è stato a lungo legittimo a Venezia perchè non dovrebbe essere stato tale anche al Giglio? Forse di fronte agli scogli delle Scole si è attivato, in Schettino, lo slittamento inconsapevole dal sentimento del bello, a cui si fa la riverenza, a quello del sublime di fronte allo spettacolo della natura. Il sublime ha in sé nascosta l’emozione catastrofica e terrifica del pericolo, l’effrazione dell’Io cosciente, come diceva Kant, di fronte alla magnificenza di una scena che improvvisamente si rivela
.
L’ « inchino” non è solo “fascinazione del bello” ma è il frutto, più prosaicamente, di complicità al servizio degli interessi del turismo di massa. Siamo di fronte ad una psicopatologia collettiva, alla fatua sottovalutazione del rischio, a responsabilità estese ed incrociate che alimentano un delirio di onnipotenza nascosto nella normalità: il comandante della “Concordia” è stato l’esecutore involontario di un omicidio di massa i cui veri mandanti sono le Compagnie di navigazione.
Nel canale di Sicilia le carrette del mare, sprovviste di ogni attributo estetico e tecnologico, continuano a scaricare , a ritmo ininterrotto, centinaia, migliaia di profughi, nelle acque antistanti gli scogli di Lampedusa. Gli annegamenti si consumano a pochi metri dalla riva nella notte e nell’anonimato di fronte al pubblico televisivo che è il vero “spettatore del naufragio” di Lucrezio. I superstiti cadono sotto la scure della legge Bossi-Fini e del “decreto Maroni” del 2009 che istituiva il reato di immigrazione clandestina. Gli innumerevoli approdi dei profughi sulle coste siciliane suscitano orrore e disgusto per la disumanità dei traghettatori, per la spaventosa atrocità della guerre e delle rivoluzioni fallite alle spalle dei vinti, per il recupero macabro e l’esposizione dei cadaveri senza nome che evocano il ricordo delle fosse comuni e dei campi di concentramento .
Oggi per noi il naufragio, la catastrofe e’ molto di più che un episodio isolato di cronaca ma diventa l’emblema di un modo di essere, di interpretare la storia e di pensare la vita umana.
Karl Jaspers che aveva attraversato la tragedia della grande guerra, anticipata da quell’apocalisse della modernità che fu l’affondamento del Titanic, considerava il naufragio la vera cifra dell’essere al mondo , la metafora che rivela il senso dell’esistenza e della conoscenza. La profondità dell’animo umano era per il filosofo esposta al rischio della patologia e di un inevitabile fallimento . Torna il ricordo dei versi di Lucrezio Caro che vedeva il neonato come un navigante che è stato salvato dalla furia selvaggia delle onde ed è rimasto sulla nuda terra, inerme e senza sostegno vitale. Il suo lugubre vagito sarebbe solo un presagio di inevitabili mali futuri. L’atto del venire alla luce era per il poeta un evento traumatico, il momento i cui si viene gettati nel mondo e si giunge, dopo una tempesta, ad un approdo non familiare che ci vedrebbe spaesati e senza mezzi. Il fraintendimento del significato del nostro essere a partire da un’ origine da sempre pensata come tragica si trova anche nell’esistenzialismo, inaugurato da Jaspers. La filosofia si confonde con la psicopatologia e il voler andare oltre la coscienza e e la ragione per cercare il senso della nascita umana diventa un naufragio sulla soglia dell’irrazionale, pensato come un abisso tenebroso ed insondabile che inghiotte ogni certezza.
Schettino al Giglio si era spinto sull’orlo di un baratro che non vedeva. Era il protagonista di uno spettacolo solipsistico in cui l’agire diventava all’improvviso assurdo. L’imperativo era affermare delirantemente se stesso ed esorcizzare con un gesto esemplare il terrore dell’annientamento che all’improvviso si materializzava nell’impatto con gli scogli. Dentro la normalità esplode la tragedia, appare una patologia della mente che nessuno è in grado di riconoscere perchè colpisce come l’iceberg che ha affondato il Titanic: si scioglie senza che rimanga traccia e lascia il dubbio che una glaciazione sia mai esistita.
Dopo la vita è fatua e paradossale come suggerisce il titolo di una raccolta di poesie di Ungaretti “Allegria di naufragi”
E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare
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