Politica, Psichiatria

Andrea Zampi e la politica: un elettroshock per l’Italia

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One Flew Over the Cuckoo’s Nest (1975) con Jack Nicholson

 

 

Schermata 03-2456363 alle 09.41.38Domenico Fargnoli

Nella stampa si legge che Andrea Zampi,  l’imprenditore pluriomicida  e suicida umbro, aveva dato segni di grave “squilibrio” mentale. Per ben due volte , riferisce la madre  era stato sottoposto a  “stimolazioni al cervello”. Luigi Cancrini intervistato ad UNO MATTINA il giorno 7/03/2013 ha sostenuto  la necessità che l’intervento psichiatrico risponda ad un criterio psicoterapico abbia cioè un carattere di continuità, di coerenza, di fiducia . Ora nel caso Zampi sembra che la terapia sia stata discontinua ed incoerente: il ricorso all’elettroshock avrebbe inoltre minato irrimediabilmente il rapporto di fiducia medico paziente condannando quest’ultimo  ad agire un vissuto di incurabilità.

Si è parlato molto del fatto che il suicidio, come quello di David Rossi, uno dei principali collaboratori di Mussari nel MPS di  Siena o l’omicidio suicidio come quello di Zampi sarebbero  maturati nell’ambito   della situazione attuale : la crisi economico sociale,il dissesto finanziario andrebbe a sovrapporsi, come causa concomitante,  ad  una  patologia preesistente sfociando in tragedie.

Gli psichiatri non sono in grado a quanto pare di affrontare e risolvere la psicopatologia personale mentre i politici sono assolutamente impotenti ad arginare le problematiche economico sociali. Il risultato  ,devastante ,  viene amplificato in modo sensazionalistico dalla stampa cosicchè si addiviene ad una sorta di isteria collettiva che nasconde il vero senso degli eventi.

Spesso politici e psichiatri colludono nel riaffermare l’incurabilità della malattia mentale, intesa come incapacità del medico di curare ciò che è in linea di principio curabile,  che poi si traduce  in un’ idea  che ha delle ripercussioni anche ben oltre lo specifico della psichiatria:  si stabilisce  uno strano parallelismo, tutto da indagare, con l’ impotenza dell’azione politica che  interessa la  società nel suo complesso.  L’impossibilità di effettuare la  cura della malattia mentale si lega alla concezione, tipicamente cattolica,  che quest’ultima sia una malattia del cervello: l’anima spirituale, come affermato da Massimo Fagioli, in Bambino donna e trasformazione dell’uomo (1980) essendo di natura divina è sempre sana. L’anima può solo subire le perturbazioni prodotte dal cervello che si  ammala .Contro il tessuto cerebrale   si accanisce allora la psichiatria con gli psicofarmaci e l’elettroshock. Ritorna la concezione platonica del soma-sema per cui lo spirito  andrebbe liberato dalla prigione di un cervello e di un corpo malato a costo di danneggiarlo. A suo tempo si bruciava il corpo degli eretici per salvarne l’anima.

Rosy Bindi, nota esponente del PD di matrice cattolica, nel 1996 ha firmato un decreto con il quale si legittimava l’uso della cosidetta TEC ( terapia elettroconvulsivante) quella cui è stato sottoposto anche Andrea Zampi. Il Comitato Nazionale di Bioetica espresse  in quell’occasione, il suo parere ritenendo   che “non vi erano motivazioni tali da suggerire come comportamento bioeticamente vincolante la sospensione totale e generalizzata dell’uso della “TEC” e considerava anzi la “TEC” un trattamento elettivo ed adeguato per alcune specifiche patologie”. Nel decreto del 96  si sosteneva inoltre che

<<(…)in Psichiatria vi è una accreditata letteratura che partendo da una profonda attenzione per la personalità o la dignità del paziente, ritiene che la TEC costituisca uno strumento terapeutico, talora indispensabile, per la riduzione della sofferenza dell’individuo se riferita a quadri clinici ben definiti(…)>>

Va ricordato, come afferma una denuncia dell’Associazione Luca Coscioni  che negli ospedali italiani si ricorre, in virtù del decreto , all’elettroshock. Nel triennio, solo per fare un esempio,  2008-2010 sono stati eseguiti più di 1400 trattamenti.

M. Fink, uno psichiatra statunitense che ha fatto parte della Task Force dell ‘APA (American psychiatric Association) , fin dagli anni 50 del secolo scorso ha dimostrato con una serie di lavori che il cosidetto effetto “terapeutico” della TEC altro non sarebbe che il risultato di una disfunzione e di un danno cerebrale. Le modificazioni  riscontrate nel liquido cerebrospinale e nell’ EEG  dopo la TEC erano simili secondo lo scienziato, a quelle prodotte da un trauma craniocerebrale piuttosto che a quelle determinate da una epilessia spontanea. Altri studiosi intorno agli anni 90 hanno sostenuto che la risposta “terapeutica” nella TEC era proporzionale alla dose di elettricità somministrata cioè all’entità del danno e della disfunzione provocata.  La TEC fornisce un chiaro esempio di come lo psichiatra, annullando la circostanza per la quale egli sta procurando un danno al paziente, utilizza gli effetti del danno per ottenere un individuo  meno emozionalmente consapevole, meno autonomo e più manipolabile. I pazienti dal canto loro vanno incontro alla cosidetta “agnosognosia”  tendono cioè a negare o minimizzare la perdità di capacità affettivo-emozionali e cognitive. Il medico danneggia il paziente in modo tale da confonderlo e rendere impossibile la percezione del danno subito.

La strategia era già stata sperimentata, nella sua variante psicologica,  dai sacerdoti    cattolici a partire dalla Controiforma: il prete dopo aver esercitato una violenza sessuale nel confessionale assolveva la vittima così da rendere non più esistente  e quindi comunicabile ad altri, il peccato.

Rosy Bindi ha in comune con Monti, ma anche con Vendola (non dimentichiamolo)  la fede  e l’ideologia cattolica.

Rosy Bindi ha  colluso con la psichiatria organicista nel ritenere incurabile la malattia mentale e si è resa  complice di un danno iatrogeno di proporzioni gigantesche mentre Monti è stato più coerente: ha fatto un vero e proprio TEC , che si è aggiunto a tutti quelli fatti precedentemente  da ventanni di berlusconismo,  all’Italia danneggiandone il corpo sociale ed economico. Vendola aspirerebbe  a produrre dei danni a parte quelli che ha perpetrato nei confronti della regione Puglia ( vedi la connivenza con il S.Raffaele di Milano solo per dirne una).

Il risultato è stato un disorientamento generalizzato, una perdita di memoria a breve ed a lungo termine,  come nell’elettroshock,  che ha consentito una parziale affermazione di Berlusconi, al di là di conclamate menzogne e promesse non mantenute. La protesta del movimento 5stelle appare inoltre , nella fase attuale estremamente confusa, priva di una progettualità politica concreta : nella sua inconsitenza , per non dire teatralità manierata si esprime un vuoto mentale, un deficit  che è un sintomo negativo cioè  il frutto  residuale di tutte le terapie indaguate  e quindi traumatiche , praticate dalla politica nei confronti della malattia del sistema Italia.

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Babylon Post

Scienza

Il lungo viaggio di Rita Levi Montalcini, a vele spiegate “Verso Bisanzio”

Parafrasando Yeats, poeta che amava, la grande scienziata ha perseguito un’ideale meta di conoscenza in grado di sfidare il tempo attraversando i secoli senza strappi


Domenico Fargnoli*
mercoledì 2 gennaio 2013 19:05

 

Rita Levi Montalcini nacque a Torino nell’aprile del 1909. In quello stesso anno Filippo Tommaso Marinetti aveva pubblicato su Le figaro il Manifesto del Futurismo in cui sosteneva che nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro: si glorificava la guerra – sola igiene del mondo – ed il gesto distruttore. Sempre nel 1909 volò il primo aereo italiano, fu fatta la trasvolata della Manica e fu assegnato il premio Nobel a Marconi per la telegrafia senza fili. La grande scienziata torinese appartenente a una famiglia presente nel 1400 nel territorio di Siena, è vissuta più di un secolo e ci appare provenire da un mondo profondamente diverso dal nostro immerso ancora pressoché totalmente nella mentalità vittoriana che negava alle donne accesso all’istruzione universitaria. Nei suoi numerosi libri che contengono riferimenti autobiografici la scienziata chiarisce la natura della sua ribellione all’autorità paterna e maschile e la nascita della vocazione per la medicina maturata in una cultura familiare laica fatta di “liberi pensatori” lontani dalle credenze e dalle ritualità della religione ebraica. La neurobiologia sperimentale nella prima metà del Novecento, negli anni in cui la Montalcini si cimentava durante i corsi universitari coi primi corteggiatori, era immersa nella disputa fra “reticolaristi” i quali sostenevano con Golgi che il cervello fosse costituito da una rete continua e i sostenitori della “teoria neuronale” di Santiago Ramon Y Cajal, (confermata molti decenni dopo dall’avvento della microscopia elettronica), secondo la quale il sistema nervoso era fatto di elementi cellulari fra loro separati. L’embriologia degli anni trenta ai tempi in cui Rita Levi Montalcini cominciò le prime ricerche istologiche con la tecnica innovativa delle culture tissutali, era dominata da un rigido determinismo genetico o da concezioni vitalistiche di stampo ottocentesco. Le ricerche della scienziata torinese avranno il merito di rivoluzionare completamente le conoscenze dello sviluppo embriologico ed indirettamente influiranno sul modo di concepire la nascita umana dando importanza non solo ai fattori genetici ma a quelli ambientali.

Un giorno d’estate del 1940, poco dopo che l’Italia era entrata in guerra a fianco della Germania ed erano già da alcuni anni in vigore le leggi razziali, Rita Levi Montalcini viaggiava in un treno fatto di vagoni senza sedili. Leggeva, in atmosfera pervasa dall’odore di fieno, un articolo che le era stato dato due anni prima dal suo grande maestro Giuseppe Levi. Si trattava di una ricerca del 1934 pubblicata da un allievo di Spermann che nel 1935 era stato insignito del prenio Nobel per aver individuato un fattore denominato “organizzatore” che aveva la proprietà di indurre la differenziazione di organi e di interi embrioni. Victor Hamburger l’autore dell’articolo con il quale in seguito la Montalcini collaborerà durante il suo soggiorno in America durato trent’anni da 47 al 77, studiava l’effetto dell’ablazione di un arto di embrione sui sistemi motori e sensitivi destinati alla sua innervazione: a distanza di una settimana dall’intervento si notava una forte riduzione delle colonne motorie del midollo spinale e dei gangli sensitivi. La scoperta della scienziata torinese del fattore noto come NGF, (Nerve Growth Factor) nasce molti anni prima dall’intuizione che il fenomeno di degenerazione e morte cellulare, e da lei replicato innumerevoli volte nel suo laboratorio domestico, non fosse dovuto alla mancanza di un fattore induttivo cioè da un “organizzatore” necessario alla loro differenziazione come pensava Hamburger ma all’assenza di un fattore trofico, rilasciato di tessuti periferici e convogliato verso i corpi cellulari tramite le fibre nervose che innervano questi tessuti. «A distanza di tanti anni – scrive la Montalcini – mi sono domandata come potessimo dedicarci con tanto entusiasmo all’analisi di questo piccolo problema di neuroembriologia, mentre le armate tedesche dilagavano in quasi tutta Europa disseminando la distruzione e la morte e minacciando la sopravvivenza stessa della civiltà occidentale. La risposta è nella disperata ed in parte inconscia volontà di ignorare ciò che accade, quando la piena consapevolezza ci priverebbe della possibilità di continuare a vivere».

In realtà la ricerca sul piccolo problema embriologico avrebbe demolito le concezioni eugenetiche dei nazisti, dimostrando il carattere delirante dei pregiudizi e delle discriminazioni razziali. Nelle neuroscienze della seconda metà del novecento lo studio dell’interazione fra i fattori genetici ed ambientali avrebbe messo in luce l’importanza predominante di questi ultimi nel processo di differenziazione del sistema nervoso nelle prime fasi dello sviluppo. Oggi noi sappiamo, proprio in virtù di un nuovo settore della conoscenza detto epigenetica, che gemelli omozigoti quasi identici nell’aspetto esteriore hanno cervelli completamente diversi l’uno dall’altro: se siamo arrivati a questo tipo di conoscenza, grazie anche a scienziati del calibro di Gerard Edelmann in tempi recenti, lo dobbiamo agli studi pionieristici di un manipolo di ricercatori degli anni trenta-quaranta di cui faceva parte Rita Levi Montalcini. La grandezza di quest’ultima si lega sicuramente a un fattore irrazionale cioè a un’eccezionale potenza intuitiva e alla capacità di seguire un unico filo conduttore, che non si è mai spezzato, nelle alternanti vicissitudini dell’indagine scientifica: la sua scoperta pur seguendo i rigorosi protocolli della sperimentazione biologica ha avuto però fin dall’inizio un’intrinseca motivazione politica nell’opposizione più o meno consapevole alla mentalità nazista che sopravvive ancor oggi nelle varie forme di xenofobia da cui è afflitto tragicamente l’occidente. Bisogna ricordare che i nazisti pur perseguitando Freud e la sua famiglia in quanto ebrei, furono capaci di assimilare e utilizzare la psicoanalisi, “scienza” ebraica per eccellenza, così come avevano utilizzato la reazione di Wassermann, anch’esso ebreo per la diagnosi della sifilide. La psicoanalisi, anche nella figura di Jung che com’è noto indossò la camicia nera, non si oppose ma colluse con il nazismo con cui condivideva la concezione hobbesiana dell’Homo homini lupus e della massa che deve essere dominata da un capo forte senza il quale si frammenterebbe come una goccia di cristallo “la lacrima di Batavia”. La Montalcini, come scienziata e come donna, è riuscita la dove non solo la psicoanalisi ma anche la psichiatria del Novecento ha clamorosamente fallito. Infatti Binswanger, riconosciuto unanimemente maestro incontrastato della psicopatologia ha cercato un’improbabile e pericolosissima legittimazione della psichiatria nella filosofia di Heidegger, anch’egli nazista, più nazista se possibile di Hitler.

L’eccezionalità della figura di Rita Levi Montalcini e l’importanza fondamentale del suo contributo scientifico non ci esime dal cogliere i limiti della sua concezione dell’uomo là dove, dismessi i panni della ricercatrice abilissima e straordinariamente rigorosa, approda a riflessioni di carattere antropologico. Pur rifiutando l’idea di una naturale aggressività dell’uomo, legata a uno specifico gene, la scienziata individua nella tendenza gregaria e imitativa presente in un ancestrale cervello limbico, l’origine dei comportamenti emotivamente non controllati e violenti della specie umana quali si sono estrinsecati per esempio nei regimi totalitari. La Montalcini, come si evince molto chiaramente dalla intervista televisiva rilasciata a Fabio Fazio in occasione dell’uscita del suo libro La clessidra della vita (Dalai Editore, 2008), ripropone una concezione derivata dal famoso neurologo Hugley Jakson nei primi del Novecento: l’attività nervosa e psichica sarebbe la risultante dell’integrazione di livelli funzionali diversi, gerarchicamente subordinati gli uni agli altri. Ai livelli inferiori ci sarebbero state le funzioni più arcaiche di tipo automatico, mentre a quelli superiori ci sarebbero le funzioni cognitive legate alla neocorteccia e sottoposte al controllo della volontà e della coscienza. È chiaro che questa impostazione limita fortemente la possibilità di avvicinare il pensiero della Montalcini alla Teoria della nascita di Massimo Fagioli. Per quest’ultimo il processo regressivo, la patologia mentale che può estrinsecarsi anche in comportamenti violenti, nasce da uno specifico fattore inconscio la pulsione di annullamento e non dalla dissoluzione dei processi coscienti e razionali che anzi in malattie come la schizofrenia possono apparire ipertrofizzati. Se vogliamo trovare un punto di contatto fra la Teoria della nascita e la ricerca della Montalcini bisogna considerare che in entrambe c’è il rifiuto del determinismo genetico dei processi embrionali e la tendenza a legare l’attività mentale alla funzione della corteccia cerebrale.

L’approccio riduzionistico, però, tipico della prima generazione di neuroscienziati non consente una chiara definizione da parte della ricercatrice torinese del concetto di “mente”. Pertanto la domanda: in quale angolo dell’universo cerebrale si nasconde la galassia chiamata mente?, come anche l’altra da dove nasce il pensiero, da quali cellule? è destinata a rimanere senza risposta. L’approccio riduzionistico che cerca di spiegare il tutto partendo da singoli componenti non permette di ipotizzare – come invece accade con la Teoria della nascita – l’inizio dell’attività psichica come emergenza di quest’ultima dalla realtà biologica alla nascita in risposta allo stimolazione luminosa, come espressione di una complessità non riconducibile alla sommatoria di un molteplicità pressoché infinita di componenti elementari. Rita Levi Montalcini amava la poesia del poeta irlandese Yeats di cui aveva nel suo libro Elogio dell’imperfezione parafrasato due versi che si riferivano al dilemma dell’intelletto umano di fronte alla scelta della perfezione della vita o del lavoro. La scienziata aveva risolto il dilemma optando per l’imperfezione della vita e del lavoro nella ricerca di una perfezione che non avrebbe mai potuto essere completamente raggiunta. Il titolo di un altro libro L’asso nella manica a brandelli sembra ricordare Yeats. Il libro parla del fatto che l’interesse e l’impegno nella la ricerca scientifica è un valido antidoto contro le lacerazioni della vecchiaia. Scriveva Yeats nella sua famosa poesia Verso Bisanzio: «…un uomo anziano non è che una cosa miserabile, un giacca stracciata su di un bastone, a meno che l’anima non batta le mani e canti e canti più forte per ogni strappo del suo abito mortale e altra non c’è scuola di canto che studiare i monumenti della propria magnificenza e quindi io ho navigato i mari e venni alla città sacra di Bisanzio». La scuola di canto per il poeta irlandese è l’arte e lo studio dei “monumenti dell’intelletto” che non invecchia, mentre per Rita Levi Montalcini è la scienza e la ricerca di una verità che va oltre la contingenza degli accadimenti storici. Entrambi si potrebbe dire hanno veleggiato verso Bisanzio, meta e testimonianza ideale di una conoscenza che attraversando senza strappi i secoli, riesca a sfidare il tempo.

Domenico Fargnoli, psichiatra e psicoterapeuta

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Forum di Senza Ragione

I Magazzini del Sale, pittura “globale”

Alogon            

Inviato il: 18 Sep 2004, 09:30 AM

Impressioni sulla mostra al Palazzo Pubblico di Siena?

copyright domenico fargnoli

 

 

Julia

Inviato il: 18 Sep 2004, 05:22 PM

Un invito così succinto alla partecipazione mette in imbarazzo… viene da rispondere “la mostra è bella”. Forse basta, anche se si suppone che dietro alla semplicità raggiunta nell’espressione artistica ci sia un mondo di elaborazioni.

Direi che a me, la mostra dei Magazzini del Sale dà il coraggio di andare avanti.

 

 

aissa            

Inviato il: 20 Sep 2004, 11:27 PM

Impressioni… Mi levo tanto di cappello difronte a chi ne esce più coraggioso di prima… Io no, canto fuori dal coro e purtroppo temo non sia qualcosa di cui andare fiera… Uscita dalla mostra ero come anestetizzata, mi rendo ora conto che di tutto quel colore mi resta lo stordimento, il difetto di comprensione… Troppa poca sessualità, vitalità… La sensazione di doversi mettere in disparte e tentare di capire, sì, ma un altro giorno. Il desiderio di avere ancora desiderio… Parole, parole… Sono certa di non trovarne di efficaci e di adeguate per verbalizzare la sensazione implacabile, tremenda, di essere sovrastata da un intero universo di colori, di immagini. la paura di aprire gli occhi su quelle tele, quelle trasparenze e quelle sculture e scoprire che in realtà raccontano una storia che conosco molto bene, che non ammette difetti di comprensione, cali di vitalità, assenza di desiderio.una storia raccontata per immagini e con parole adeguate, dal suono consueto ma dal significato del tutto nuovo.Originalità di uno spazio espositivo intriso di tradizione che sembra appena nato per l’allestimento che vi si lega in modo del tutto nuovo, originale. capire che le opera esposte forgiano lo spazio apparentemente consueto a chi lo guarda. Ed io che lo vedo per la prima volta forse qui avevo un vantaggio… Ho però un vantaggio ulteriore, che mi spaventa al solo menzionarlo. Quella storia raccontata io, in realtà, la conosco ed un poco ne faccio parte… No, ne faccio parte da tempo, con tutta la difficoltà.Difficoltà che si lega nel sentire quei dipinti, quelle sculture come immagini ormai rese esplicite, irreversibilmente, di quella stroia di cui faccio parte. Così dunque si può solo momentaneamente farsi da parte, tentare di calmarsi, perchè tornare indietro non si può. Le opere esposte che stanno ovunque, appese, sopspese, sui muri e sul pavimento, occupano lo spazio in tutte le sue dimensioni, avvolgono completamente chi le guarda e riescono ad inserirsi in ogni qualsivoglia punto di vista, ma senza violenza, senza offesa o giudizio, con armonia.. Sfogliare le pagine di un catalogo e scoprirlo poi un libro vero e proprio, psichiatrico, narrativo, suggestivo, esplicativo, seduttivo… E’ troppo per me! L’invidia di ieri non è ancora finita.. Tornare dinuovo a Siena, attraversare Piazza del Campo ed ancora l’ipocondrica reazione che mi tiene in ostaggio. E poi… riscoprirsi parte attiva, spettatore sensibile o tentato tale… Mi tornavano in mente, uscita dai Magazzini del Sale, frasi sentite mille volte “ Trasformazione… dare un nome alle cose” Con un sorriso da idiota devono avermi vista uscire, mentre la persona che mi accompagnava mi chiedeva com’era l’artista che aveva fatto tutto questo, chi era, cosa faceva e perchè. Se io lo capivo e se capivo quello che lui rappresentava, se conoscevo la sua ricerca, se la apprezzavo, se la dialettica era franca ed aperta. E mi tornava in mente quella frase scritta dal citato Massimo Fagioli”Ridemmo insieme per anni…” E’ certo che il coraggio mi ritorna poco a poco tra le mani.Ma e altrettanto certo che non è ancora arrivato il momento in cui riottenerlo mi costa ogni volta un po’ di meno! In ogni modo. eccomi qui…

عائشةAisha

 

 

Trumpet            

Inviato il: 28 Sep 2004, 03:20 PM

Impressioni sulla mostra al Palazzo Pubblico di Siena?

 

La mostra di Domenico Fargnoli.

Difficile dire qualcosa che non sia scontato o fare i consueti complimenti anche se all’artista fanno senz’altro piacere.

Non sono un esperto d’arte, anzi sono piuttosto analfabeta da questo punto di vista, però la mostra “Homo Novus” ha qualcosa di particolare, non saprei ben dire, c’è una dinamicità che tocca tutto quanto, dalle opere d’arte stesse, allo studio degli spazi espositivi, dall’uso dei volumi , ma anche dall’esprimere un pensiero addirittura facendo uso di quelli che altro non erano che anonimi supporti fisicamente necessari per la collocazione delle opere d’arte.

Le opere d’arte, prodotto di un pensiero valido, vitale e coeso non sono esposte come in magazzino (a dispetto del nome ove sono esposte) per una mera visione per i visitatori, hanno un filo concettuale che le lega e nonostante ognuna esprima qualcosa di peculiare non esiste casualità nella loro sistemazione.

La mostra ha avuto un grande successo, tanto, ho saputo, da far sì che venga prorogata fino al 3 ottobre, e se non fosse per il fatto che gli spazi espositivi dopo quella data sono occupati si sarebbe andati ancora più in là. Questo solo per dire che evidentemente un riscontro così elevato non è stato causato dalla presenza da amici e parenti, ma soprattutto da intenditori d’arte, e persone qualsiasi che hanno avuto una sensibilità tale da apprezzare ciò che è esposto presso i Magazzini del Sale.

Senz’altro mostra complessa, in quanto qui non si sta parlando di un artista e basta, ma di una persona che in prima istanza è uno psichiatra e psicoterapeuta e i contenuti di una scienza, conoscenza e ricerca trentennale in questo campo sono oggettivamente stati fusi ad ogni singola pennellata ad ogni movimento di torsione del metallo delle sculture.

Ancora più complesso forse è verbalizzare le sensazioni proprie, intendo quelle intime in reazione allo stimolo mostra… non saprei ben dire, almeno nel mio caso è una sensazione di benessere e di incremento di vitalità e forse, resistenza.

In questo contesto è comunque da non dimenticare il libro “Homo Novus” che è appunto uscito ed è stato presentato in concomitanza con la mostra. Anche il libro, come la mostra, elabora non solo contenuti specifici dell’ambito psichiatrico e di quello artistico, ma anche e soprattutto dell’interazione tra queste due realtà addentrandosi poi in maniera molto esaustiva sul concetto di tecnologia e sul suo uso nella diffusione e pubblicazione dei contenuti.

Come era prevedibile e ovvio sia la mostra che il libro hanno suscitato un interesse enorme non solo nel mondo dell’arte e della psichiatria ma per chiunque si sia avvicinato a questa proposizione, compreso l’Amministrazione Comunale di Siena che prontamente e incisivamente ha reagito con sensibilità alla proposta di Domenico Fargnoli.

 

 

alfeo            

Inviato il: 10 Oct 2004, 07:44 PM

…di tutto quel colore mi resta lo stordimento, il difetto di comprensione…

…una storia che conosco molto bene…

 

Condivido queste parole di aissa, perchè sono quasi analfabeta riguardo alle arti figurative, e mi ero tirato in disparte da questa storia solo un pò di tempo fa (anche se in parte l’ho dimenticata). Tuttavia ho l’impressione che la mostra al Palazzo Pubblico sia molto “elegante”… elegante come lo sono le “variazioni Goldberg” di Bach interpretate da Glenn Gould (un monumento della discografia del secolo scorso): c’è la gioia di fare arte, e il livello raggiunto è elevatissimo.

Questo per quanto riguarda i complimenti all’autore.

Ma, soprattutto, volevo dire un’altra cosa. La sera in cui ho visto la mostra, chiudendo gli occhi, con una facilità che non ricordavo più, si è formata l’immagine…: non i pensieri del dormiveglia che si modificano a poco a poco, ma un’ immagine autonoma, un sogno strano e “astratto”… .

 

Messaggio modificato da Alogon il 13 Oct 2004, 02:14 PM

 

 

Alogon            

Inviato il: 13 Oct 2004, 06:46 PM

a proposito d’astrazione….sto analizzando la pittura di Pollock.

C’è una analogia apparente fra alcuni dei suoi quadri ed alcuni dei miei, come fra la sua poetica e la mia soprattuto se consideriamo quanto è scritto nell Homo Novus a proposito della memoria inconscia e la sua relazione con la cinestesi.

Il contenuto della pittura di Pollock è magico-religioso non esente da inclinazioni verso il primitivismo delle raffiguraziuoni indiane. Ha inoltre caratteristiche sottilmente manierate, ripetitive sotto le quali traspare il vuoto.

Le analogie formali, i sensi fisici possono ingannare…

copyright domenico fargnoli

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